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Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, teorico del neo-ottomanismo, cerca per il suo paese un equilibrio tra Europa e Oriente.

Ahmet Davutoglu, a cavallo tra due mondi

La Turchia può avvicinarsi all'Europa rimanendo legata al mondo musulmano? La risposta dipende in gran parte da un uomo: il ministro degli esteri turco, influente accademico e teorico del ritorno alla sfera ottomana. 

Pubblicato il 14 Maggio 2010 alle 13:12
Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, teorico del neo-ottomanismo, cerca per il suo paese un equilibrio tra Europa e Oriente.

In un contesto in cui la sua opinione pubblica è sempre meno favorevole all'adesione all'Unione Europea, la Turchia ha nominato un un nuovo ministro degli esteri, un uomo che non proviene dalla politica: Ahmet Davutoglu, un professore universitario di cinquant'anni, diventato prima diplomatico e poi consigliere di politica estera del primo ministro Tayyp Recep Erdogan.

Davutoglu gode di una certa considerazione tra i politici e gli accademici turchi grazie al suo libro Stratejik Derinlik ("Profondità strategica", 2001), in cui parte dalla valutazione positiva del passato imperiale del paese .Il libro tenta di dimostrare che tale passato non costituisce un peso per la Turchia, ma al contrario un punto di forza per accrescere la sua importanza regionale e mondiale. La concezione geopolitica di Davutoglu – che lui chiama "l'autostima della nazione" e gli altri "neo-ottomanismo" – è uno sforzo intellettuale di fermare il declino in cui a suo parere è caduto il paese a partire dal ventesimo secolo. Nella sua visione la Turchia dovrebbe trarre vantaggio dalla fine della Guerra fredda e della contrapposizione est-ovest, dal suo particolare profilo culturale e politico – uno stato musulmano laico e democratico – e soprattutto dalla sua posizione geo-strategica unica – un ponte tra il mondo occidentale e quello islamico e un passaggio obbligato sulla rotta degli idrocarburi verso l'Europa.

Multilateralismo ottomano

Il cambiamento al ministero degli affari esteri è un messaggio abbastanza chiaro. Il predecessore di Davutoglu era l'euro-ottimista Ali Babacan; il professore ha invece subito fatto sapere che continuerà la tradizionale politica turca di "nessun problema con i vicini", ma che l'applicherà nel senso di "massima cooperazione con tutti i paesi interessati". Nei fatti si tratta di un cambiamento di paradigma: la Turchia, stanca dei continui tentennamenti di Parigi e di Berlino sul suo ingresso nell'Unione, e assai contrariata dall'adesione di Cipro nel 2004, torna a una politica regionale decisamente più attenta al vicino mondo musulmano (dai Balcani al Medio oriente, entro il raggio del vecchio Impero ottomano).

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Il primo incontro ufficiale da ministro di Davutoglu è stato simbolico: il 4 maggio 2009 ha ricevuto il viceministro degli esteri dell'Azerbaigian. Insieme a Erdogan, Davutoglu sta lavorando per porre fine al conflitto diplomatico con l'Armenia. La durezza nei confronti di Israele ha assicurato alla Turchia un ampio margine di manovra nel mondo musulmano. Ankara ha teso la mano all'Afghanistan e al Pakistan, alla Cina e al Montenegro. Ma il nuovo ministro degli esteri turco ha manifestato il suo interesse per tutti i paesi vicini: Libano, Russia, Romania, Iraq, Georgia, Iran e Siria.

Oggi è difficile per i 72,5 milioni di turchi stabilire se l'idea tradizionale di uno sviluppo laico e filoccidentale è compatibile con la ricerca di uun ruolo più importante nella regione e nel mondo musulmano. Ahmet Davutoglu è forse uno dei pochi ad avere le idee chiare. (nv)

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