Ancora ostaggio di Berlusconi

Il dibattito sulla sorte dell’ex premier sarebbe inconcepibile in qualunque democrazia occidentale. Ma in Italia tocca il cuore della cultura nazionale, che una sconfitta della giustizia contribuirebbe a rendere immutabile.

Pubblicato il 6 Settembre 2013 alle 12:03

Salvatemi dal carcere o trascinerò il paese insieme a me. Questo, in sostanza, è il messaggio che Silvio Berlusconi – quattro volte primo ministro, proprietario delle tre reti televisive commerciali più importanti del paese, imputato molteplici volte per reati penali – ha appena lanciato al governo italiano. Questo messaggio spiega una volta per tutte la natura esatta della posta in gioco in Italia in questo periodo: l’Italia è uno stato moderno nel quale vige la legalità, oppure è il feudo di un fuorilegge dichiarato? Ora come ora, non è dato sapere quale opinione prevarrà.

Dopo una decina di processi, molti dei quali hanno superato tutti i tre gradi di giudizio previsti dall’ordinamento della giustizia italiana (di primo grado, d’appello e di cassazione), dopo aver creato leggi ad personam per depenalizzare i reati da lui stesso commessi o aver fatto ricorso a tattiche dilatorie affinché i processi si allungassero a dismisura fino a far cadere in prescrizione i reati, o dopo essere stato giudicato colpevole a un grado di giudizio per essere prosciolto al successivo, Berlusconi ha infine ricevuto una condanna penale definitiva e inappellabile per frode fiscale al terzo grado di giudizio.

Condannato a quattro anni di detenzione, ha beneficiato di un condono istituito per svuotare le carceri italiane. Ciò ha ridotto la sua pena a un solo anno di prigione, senza contare che essendo ultrasettantenne gli sarà possibile scontare la pena in una delle sue molteplici dimore di lusso. In ogni caso, in quanto membro eletto del senato, egli gode dell’immunità, non può essere arrestato né obbligato agli arresti domiciliari finché il senato non ne avrà approvato l’espulsione, con una votazione che potrebbe svolgersi a settembre. Adesso ha fatto sapere che se voteranno a favore della sua decadenza egli trascinerà con sé l’intero governo.

[[Che Berlusconi possa effettivamente provocare scompiglio è evidente]]. Egli dirige – in un certo senso ne è proprietario – uno dei due grandi partiti dell’attuale coalizione di governo che si sta faticosamente impegnando per varare riforme di somma importanza, studiate per arrestare l’ormai drammatico declino dell’economia italiana, e in definitiva ispirare un po’ di fiducia negli investitori esteri. Se Berlusconi ritirasse il suo partito dalla coalizione, come ha minacciato di fare, sarebbe difficile formare un altro governo con l’attuale parlamento privo di maggioranza.

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Il timore è che un simile esito possa paralizzare il paese, riportando l’Italia indietro al punto esatto in cui si trovava due anni fa, quando le pressioni dei mercati finanziari parevano prossime ormai a costringerla a chiedere un bailout all’Ue o a prendere in considerazione un’uscita istantanea dall’euro. Al momento il 40 per cento dei giovani italiani è disoccupato, mentre la produzione del settore manifatturiero è inferiore del 26 per cento ai livelli raggiunti nel 2007.

Se Nixon avesse rifiutato di accettare l’impeachment e avesse cercato in qualche modo di restare aggrappato al potere, sarebbe stato destituito all’istante. La stessa cosa accadrebbe a qualsiasi leader nelle più importanti democrazie europee. La maggior parte di loro si dimetterebbe al primo sentore di una grave imputazione nei propri confronti, consapevole che il loro partito non appoggerebbe mai qualcuno che ne può mettere a repentaglio la causa.

L’aspetto veramente preoccupante dell’attuale situazione in Italia non è tanto la sfacciataggine di Berlusconi, quanto il fatto che il suo ricatto sia attuabile e permissibile. Per quanto sconcertante possa sembrare a chi non ha familiarità con l’Italia, perfino i quotidiani più seri e i commentatori più rispettabili appaiono restii a insistere per il rispetto della legge: di rado parlano dei suoi reati nei dettagli e di fatto avvalorano la tesi secondo la quale estromettere Berlusconi dalla scena politica equivarrebbe a privare del diritto di voto i milioni di elettori che lo hanno favorito alle precedenti elezioni, come se in parlamento non esistesse un partito autonomo in grado di rappresentare le loro opinioni, come se non fossero liberi di scegliere un altro leader prima delle prossime elezioni. Come è stato possibile arrivare a tanto?

Una delle cause è la personalità dello stesso Berlusconi: è un uomo intrigante, carismatico, persuasivo e implacabile. Il suo preminente impero mediatico funge da amplificatore di queste sue qualità, consentendogli di plasmare il dibattito nazionale di continuo. I suoi oppositori sono in buona parte visti attraverso lo specchio distorto dei media che egli stesso controlla: se cercano di attaccarlo, sono presentati come soggetti ossessionati da Berlusconi. Se ne denunciano le malefatte, sono accusati loro stessi di cercare di sconfiggerlo nei tribunali invece che alle urne, un segnale di debolezza.

Eppure nessuno di questi motivi – siano essi presi in considerazione singolarmente o tutti insieme – sarebbe sufficiente di per sé a permettere a Berlusconi di tenere una nazione alla sua mercé e col fiato sospeso così a lungo se nella cultura italiana non esistesse qualcosa che predispone il popolo a lasciarsi ammaliare, incantare, persuadere e soprattutto intimidire – al punto da essere pronto, insomma, a credere alle promesse di Berlusconi o ad accettarne la presenza come inevitabile.

Il successo di Berlusconi, pertanto, non è un inconveniente temporaneo o un’anomalia, ma è radicato nel cuore stesso della cultura italiana, e mette il luce lo scetticismo molto diffuso che in Italia sia impossibile far pulizia nella politica o renderla equa anche soltanto in parte. Di conseguenza, quando Berlusconi ripete che le accuse penali contro di lui sono soltanto menzogne, inventate di sana pianta dai suoi avversari, le sue parole trovano terreno fertile.

[[A molte persone in realtà la situazione attuale va benissimo, in quanto legittima le loro stesse piccole trasgressioni]], le loro evasioni fiscali. Di conseguenza, se la giustizia prevarrà e Berlusconi sarà estromesso dalla vita politica, milioni di italiani non la considereranno una vittoria della legalità (qualcosa che potrebbe rendere la vita più difficile per tutti), bensì semplicemente una battaglia vinta dalla controparte.

Dai tempi di Leopardi

In sintesi, le contrapposizioni tra buono/cattivo, morale/immorale, o anche efficace/inefficace in base alle quali noi presumiamo che i politici debbano essere valutati e giudicati, in Italia sono sempre subordinate alla questione preponderante del vincere o dell’essere sconfitti, l’unica cosa in assoluto che conti. E Berlusconi si è sempre presentato, più di ogni altra cosa, come un vincente.

Nel 1826, annotando le sue osservazioni sulle consuetudini italiane, il poeta Giacomo Leopardi rifletteva che nessun italiano è mai stato ammirato o condannato fino in fondo, ma ha sempre avuto sostenitori e denigratori anche dopo la morte. Ciò è sicuramente vero, dagli eroi ai farabutti della vita italiana, da Mazzini, Garibaldi e Cavour, passando per Mussolini fino a Craxi, Andreotti e Berlusconi.

Secondo Leopardi per gli italiani era difficile immaginare un leader come qualcosa di più del capo di una fazione o di un gruppo di interessi particolari, e quindi non avrebbero mai cambiato opinione su di lui, quali che siano le conseguenze della sua leadership. Poiché di fatto una certa parte dei suoi elettori crede che egli stia portando avanti la loro battaglia contro un vecchio nemico, i suoi reati e i suoi errori sono irrilevanti.

Pertanto, quando i saggi columnist di alcuni dei quotidiani più illustri e stimati del paese suggeriscono che potrebbe essere meglio salvare Berlusconi e il governo, di fatto avallano la convinzione consacrata dal tempo secondo cui la politica sarà sempre corrotta. Se a Berlusconi sarà risparmiato il carcere, anche solo gli arresti domiciliari, e se gli sarà consentito continuare a fare politica, la percezione che un leader politico è più un signorotto feudale che un cittadino come gli altri sarà confermata, e non ci sarà alcuna possibilità che il comportamento degli italiani cambi per molti anni a venire.

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