Nei giorni scorsi, solo in Italia e in Spagna si sono registrate diverse migliaia di morti, con più di 800 morti il 31 marzo soltanto in questi due paesi. Questa notizia non ci arriva da un altro pianeta o da un continente lontano. Ci arriva dai paesi vicini, ai quali siamo legati. Noi, gli autori di questo testo, siamo tra coloro che amano la cultura mediterranea. Ma non bisogna amarla per avere paura delle terribili devastazioni che il coronavirus ha già causato in questi paesi.
La pandemia ha dato origine in tutta Europa a testimonianze impressionanti di aiuto reciproco e di solidarietà. Migliaia di giovani si offrono volontari per aiutare gli anziani che vivono da soli nei loro appartamenti; la Sassonia accoglie i pazienti italiani gravemente colpiti dal virus, la Sarre offre aiuto ai pazienti francesi bisognosi di cure e altri Land fanno lo stesso, così come lo stato federale tedesco. Si crea un nuovo clima: tutti si sforzano di aiutare, di empatizzare e di dare speranza agli altri.
Ma sulla questione decisiva, i paesi del Nord rimangono reticenti nei confronti dei loro fratelli e sorelle del Sud. Rifiutano categoricamente l’idea di creare un fondo garantito da tutti gli stati dell’Unione europea, che permetterebbe di assumere collettivamente il peso finanziario schiacciante della crisi. Una tale misura eviterebbe che uno shock, che colpirebbe fondamentalmente tutti gli Stati membri, sia fatale per quelli che, prima della crisi, erano già alle prese con un pesante debito pubblico.
Una coscienza comune
Per questo motivo chiediamo alla commissione europea di creare un "fondo corona" che possa prendere in prestito sui mercati finanziari internazionali a lunghissimo termine e poi trasferire queste risorse agli Stati membri. Un tale meccanismo eviterebbe agli stati di aumentare ulteriormente il loro debito. Il fondo avrebbe i mezzi, prelevati dal bilancio dell’Unione, per pagare gli interessi su questi prestiti.
I "coronabond" che chiediamo non devono essere modellati sugli "eurobond" che sono stati proposti in risposta alla crisi dell’euro nel 2010-2012. L’obiettivo era quello di fornire una garanzia comune per ripulire gran parte del debito pubblico accumulato in passato. I "coronabond" verrebbero utilizzati per assumere collettivamente i debiti che i governi sono obbligati a contrarre oggi o che contrarranno nei prossimi mesi per affrontare la crisi.
Si tratta quindi di una misura limitata nel tempo che permetterebbe all’Italia e ad altri paesi la cui stessa esistenza è minacciata di sopravvivere politicamente ed economicamente alla crisi attuale e al periodo che seguirà. Non fare nulla, in questo caso, equivarrebbe a non assistere una persona in pericolo.
Non capiamo perché la cancelliera e il vicecancelliere tedeschi siano così riluttanti a prendere questa iniziativa, necessaria per la solidarietà e la stabilità europea.
Questa solidarietà implica anche una comune consapevolezza della crisi. Si tratta ora di trovare il modo di affermare che siamo uniti e "legati dalla stessa magia", come dice il nostro inno. Che senso ha l’Unione europea se non dimostra, in questi tempi di coronavirus, che gli europei stanno serrando i ranghi e lottando insieme per un futuro comune? È una questione di solidarietà, è anche una questione di interesse. In questa crisi, noi europei siamo tutti sulla stessa barca. Se il Nord non aiuta il Sud, non solo perde se stesso, ma perde anche l’Europa.
Peter Bofinger, professore di economia all’Università di Würzburg; Daniel Cohn-Bendit, ex membro del Parlamento europeo; Joschka Fischer, ex ministro degli esteri; Rainer Forst, filosofo; Marcel Fratzscher, economista, presidente dell’Istituto tedesco di ricerca economica ; Jürgen Habermas, filosofo; Axel Honneth, filosofo e sociologo; Julian Nida-Rümelin, filosofo; Volker Schlöndorff, regista; Peter Schneider, scrittore; Simon Strauss, scrittore; Margarethe von Trotta, regista.