Come ridurre il deficit democratico

Aumentare i poteri del Parlamento europeo non basterà a legittimare l’Ue. Dato che il vero potere è nelle mani dei parlamenti nazionali bisogna coinvolgerli maggiormente nel processo decisionale.

Pubblicato il 19 Giugno 2013 alle 12:09

L’Unione europea soffre da tempo di una mancanza di legittimità, ma la crisi dell’euro ha aggravato il problema. Non c’è una soluzione ottimale che possa improvvisamente far sì che l’Ue sia rispettata, ammirata, o diventi anche solo popolare tra molti europei. Le sue istituzioni sono geograficamente lontane, difficili da conoscere e spesso si occupano di aspetti tecnici astrusi.

Se i leader dell’Ue non riusciranno a diventare più credibili agli occhi degli elettori, se non ne saranno legittimati, alcune parti dell’Unione potrebbero iniziare a staccarsi. Per esempio, a un certo punto i governi della zona euro potrebbero cercare di rafforzare la loro valuta prendendo alcuni provvedimenti decisivi in direzione di un sistema più integrato di decisione delle politiche economiche. Ma poi è sufficiente che un parlamento nazionale, un’elezione generale o un referendum blocchino questi provvedimenti e il futuro dell’euro è a rischio.

Le istituzioni politiche guadagnano in legittimità dai loro output e dai loro input: gli output sono i vantaggi che le istituzioni dovrebbero garantire, gli input le elezioni con le quali chi esercita il potere è chiamato a rispondere del proprio operato. La crisi dell’euro ha indebolito entrambe queste forme di legittimità.

Gli output non sono certo granché: la crescita economica è negativa nella maggior parte dell’Europa, la disoccupazione nella zona euro ha superato il 12 per cento e la disoccupazione giovanile in Spagna e Grecia è addirittura oltre il 50 per cento. Per molti cittadini non è così evidente che l’Ue o l’euro stiano garantendo loro alcun vantaggio.

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Nel frattempo la legittimità derivante dagli input è confusa. Tenuto conto della complessità del processo decisionale, vista la dispersione dei poteri in più istituzioni, le gerarchie della responsabilità nell’Ue non sono mai state molto trasparenti. Ma la percezione del deficit democratico è un problema sempre più grande per i paesi fortemente indebitati della zona euro. La troika, non eletta e formata dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale, ha obbligato i parlamenti nazionali ad accettare tagli di bilancio e riforme strutturali. Le grandi decisioni relative ai programmi di bailout nell’Ue sono prese dai ministri delle finanze dei paesi della zona euro e dai capi di governo.

Che fare, quindi, per incrementare la legittimità dell’Ue? I leader europei dovrebbero accelerare la costituzione di un’unione bancaria per rafforzare il sistema finanziario, la Germania dovrebbe stimolare la domanda aiutando le economie dell’Europa meridionale a crescere e le riforme strutturali dovrebbero ripristinare la competitività delle economie. La disoccupazione a quel punto inizierebbe a calare, i leader dell’Ue sembrerebbero più competenti e il sostegno agli euroscettici e ai populisti si dileguerebbe.

Ma i leader dell’Ue devono fare anche dell’altro: devono rendere l’Ue più responsabile dal punto di vista del potere, più pronta a rispondere del proprio operato. Per molti europarlamentari la soluzione è semplice: quando le decisioni sono prese a livello dell’Ue il Parlamento europeo dovrebbe esercitare il controllo democratico. Di conseguenza, se più decisioni si prendono a livello dell’Ue, pensano, il Parlamento dovrebbe acquisire maggiori poteri su di esse.

Ma il parlamento, malgrado il buon lavoro che ha fatto su alcune leggi, non è riuscito a convincere molte persone che agisce in rappresentanza dei loro interessi. Molti europarlamentari hanno pochi contatti con i sistemi politici nazionali. E la priorità del parlamento sembrano spesso incrementare i propri poteri, ottenere un budget Ue maggiore e dare all’Ue un ruolo più importante, ma non sembra che molti elettori le condividano. Ciò può spiegare per quale motivo, sebbene i poteri parlamentari siano cresciuti progressivamente sin dalle prime elezioni dirette del 1979, l’affluenza alle urne sia andata calando da un’elezione a un’altra (passando dal 63 per cento degli aventi diritto nel 1979 al 43 per cento nel 2009).

Un’altra ragione per cui il parlamento europeo non può essere la principale forma di controllo democratico del processo decisionale della zona euro è che la maggior parte dei capitali necessari per i bailout arrivano dai parlamenti nazionali, non dal budget dell’Ue. È vero: le decisioni sui bailout e i presupposti necessari a ottenerli a certe clausole sono prese a livello dell’Ue dai capi di governo o dai ministri delle finanze. Ma le loro decisioni devono essere integrate dai parlamenti nazionali, che pertanto rivestono un ruolo cruciale sia nei paesi donatori sia in quelli beneficiari: il Bundestag deve approvare le cifre necessarie al bailout di Cipro, mentre il parlamento cipriota ha dovuto votare per liquidare le banche dell’isola.

Cartellino rosso

Ci sono buone ragioni per aumentare il coinvolgimento dei parlamentari nazionali nella governance della zona euro. Negli ultimi anni parecchi enti hanno cominciato a riunire i parlamentari e gli europarlamentari. Il recente trattato per la stabilità fiscale ha fissato una “conferenza” tra i primi e i secondi per discutere a fondo di politica economica. In ogni caso queste riunioni, per quanto utili, sono puramente consultive e non danno ai parlamentari sufficienti interessi nell’Ue.

I parlamentari nazionali potrebbero far sì che l’Ue risponda maggiormente del proprio operato in due modi. Prima di tutto i collegamenti tra i parlamenti nazionali dovrebbero essere rafforzati. Il trattato di Lisbona ha dato vita alla procedura del “cartellino giallo”, grazie alla quale se un terzo o più dei parlamenti nazionali crede che una proposta della commissione infranga il principio di sussidiarietà – l’idea che le decisioni dovrebbero essere prese al livello più basso compatibile con l’efficienza – sono autorizzati a chiedere che essa sia ritirata. La commissione deve quindi ottemperare a ciò o giustificare perché intende proseguire nella sua decisione. Questa procedura, utilizzata un’unica volta finora, potrebbe evolvere in un “cartellino rosso”, con la quale i parlamenti nazionali potrebbero costringere la commissione a ritirare una data proposta. Un sistema simile potrebbe permettere ai parlamenti nazionali di fare gruppo e unirsi per far sì che la commissione proponga il ritiro di una legge superflua.

In secondo luogo a Bruxelles dovrebbe essere istituito un forum dei parlamenti nazionali. Invece di copiare il lavoro legislativo del parlamento europeo, dovrebbe rivolgere domande e scrivere rapporti su alcuni aspetti dell’Ue e della governance europea che comportano un processo decisionale unanime. Il forum potrebbe monitorare il Consiglio europeo, sfidare le decisioni di politica estera, difesa e sicurezza. Per le questioni relative alla zona euro questo nuovo ente potrebbe essere convocato in forma ridotta, senza i parlamentari dei paesi non appartenenti alla zona euro, e approvare i pacchetti di salvataggio dei bailout. Potrebbe anche mettere in discussione, e magari nominare il presidente dell’eurogruppo. Nel lungo periodo i parlamentari nazionali dovranno essere coinvolti maggiormente nell’Ue, perché sono portatori di una legittimità di cui spesso gli europarlamentari sono del tutto privi.

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