“Guarda un po‘ chi sta lavando qui…”

La Spagna scopre la mafia cinese

L’arresto del padrino della mafia cinese in Spagna ha messo in luce tutta la potenza, la complessità e la coesione internazionale dei gruppi criminali che operano all’interno di una comunità in forte espansione.

Pubblicato il 24 Ottobre 2012 alle 11:33
Ferran Martín / lainformacion.com  | “Guarda un po‘ chi sta lavando qui…”

Neppure nei suoi incubi peggiori la comunità cinese in Spagna avrebbe potuto aspettarsi un evento più deleterio per la propria immagine dell’Operación Cheqian-Emperador. Per essere un gruppo che ha fatto della discrezione il presupposto stesso del proprio stile di vita – e uno dei suoi punti di forza - l’informazione spiattellata dai media non poteva essere peggiore: storie crudeli su come le gang criminali avrebbero sottratto al tesoro spagnolo 35mila milioni di euro; di violente estorsioni perpetrate dalla banda agli ordini di Gao Ping; di corruzione e di attività collaterali legate alla prostituzione e al traffico di droga.

Benché non si debba giudicare l’intera comunità cinese dai comportamenti dei singoli che la compongono, e benché non tutti i 170mila cinesi che vivono in Spagna possano o debbano essere giudicati in base allo stesso parametro, la capillarità delle attività cinesi in Spagna e in ogni altra parte del mondo presenta aspetti che dovrebbero quanto meno invitare a una riflessione.

Al pari di tutti i migranti, i cinesi lasciano il loro paese al solo scopo di guadagnare. Questa migrazione, però, che in paesi come Francia, Italia e Spagna vive un’escalation febbrile, non si accompagna a una piena integrazione sociale, ma troppo spesso si limita esclusivamente ai contatti di lavoro. Proprio il fatto di non riuscire a integrarsi nelle società che li ospitano – difficoltà ben espressa dal concetto di “Chinatown” – ha contribuito a creare “stati all’interno dello stato”, come dicono parecchi ispettori di polizia, ovvero una sorta di extraterritorialità cinese nella quale la giustizia o le condizioni stesse di lavoro sono dettate dai cinesi stessi e non dal paese che li ospita.

L’Operazione imperatore ha portato alla luce una rete di riciclaggio di denaro e di evasione fiscale di proporzioni enormi. Nelle operazioni di polizia condotte negli ultimi anni contro il traffico di esseri umani, lo sfruttamento della manodopera e le frodi fiscali spiccano due elementi. Il primo è l’espansione sul territorio spagnolo delle reti criminali cinesi, organizzate a piramide e che prosperano in parallelo nei vari settori. L’operazione di cui stiamo parlando ha consentito di raccogliere le prove nell’ambito dell’import-export, ma è alquanto probabile che le ripercussioni di tali attività arrivino a colpire anche altri settori nei quali i cinesi sono tradizionalmente attivi, come la ristorazione, i negozi di abbigliamento, le agenzie, il settore immobiliare, i bar e così via.

Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

Il sistema – che abbiamo analizzato anche in altri paesi – funziona più o meno così: l’uomo d’affari cinese “importa” manodopera clandestina tramite i suoi network e gli “snakehead”, trafficanti di esseri umani. In seguito sfrutta questi operai per anni per mandare avanti le proprie attività (ristoranti, negozi, laboratori), finché il loro debito non è ripagato per intero. Le condizioni di vita e di lavoro imposte a questi lavoratori sono spesso atroci. Il nuovo immigrato, una volta ripagato il debito contratto per essere stato portato nella terra promessa, per essere messo in regola e per ottenere i documenti, in seguito paga le agenzie cinesi controllate da quegli stessi boss che hanno le mani in pasta o che vi partecipano.

Alla fine, il nuovo immigrato contrae un debito con la rete clandestina sotto forma di credito informale per avviare un’attività in proprio, e in questo modo passa automaticamente di livello dalle fila degli sfruttati a quelle degli sfruttatori. Vendendo pentole o magliette con un margine di guadagno molto esiguo, il nuovo datore di lavoro deve riuscire in qualche modo a ripagare il prestito ottenuto per avviare la sua attività, e quindi ricorre all’importazione di altri migranti che lavorino nella sua azienda, facendoli indebitare e sfruttandoli. Se i settori tradizionali sono già stati saturati da altri connazionali e il nuovo imprenditore è privo di scrupoli e di paure, può anche spostarsi in settori del tutto illegali, come la prostituzione, il gioco d’azzardo e il traffico di droga.

Il secondo elemento è la diffusione in tutto il mondo di reti che, in origine, sono stranamente molto fitte e concentrate. In Europa, per esempio, la maggioranza degli immigrati cinesi - che si concentrano per lo più in Spagna e Italia - proviene dalla provincia dello Zhejiang e in particolare dalla città di Qingtian, una regione che si è sviluppata molto rapidamente grazie alle loro rimesse.

Questi migranti, che in origine si trasferivano nei Paesi Bassi e in Francia e in seguito hanno iniziato a dirigersi verso il Mediterraneo, hanno una mobilità e un’organizzazione eccezionali. Si trasferiscono dove possono trovare lavoro o fare affari, dove possono guadagnare un bel po’ di soldi che consentano loro di smettere di lavorare presto e di tornare in Cina, dove può essere più facile mandare a casa le rimesse e non pagare le tasse.

Il modello di Prato

La Spagna, tra gli ultimi paesi occidentali ad accogliere i migranti cinesi, dovrebbe ispirarsi ai suoi vicini per evitare problemi più seri, promuovere l’integrazione ed eludere situazioni come quelle che affliggono per esempio la città di Prato, in Italia. In questa cittadina toscana, a una trentina di chilometri da Firenze, le tensioni tra cinesi e toscani sono una costante. Prato produce i tessuti più pregiati d’Europa e i cinesi iniziarono a trasferirvisi negli anni ottanta, assunti dalle aziende italiane a gestione familiare che esportavano stoffe in tutta Europa. In meno di un decennio è nata la prima generazione di imprenditori tessili cinesi, che oggi ha il controllo del 60 per cento del commercio, con oltre 4.800 imprese e una popolazione di quasi 25mila cinesi sul totale dei residenti di 200mila.

La malavita ha prosperato allo stesso ritmo, e oggi Prato è l’epicentro delle attività criminali di riciclaggio del denaro sporco delle mafie cinesi in Europa. “La proliferazione della criminalità cinese nella regione è tra le più alte rispetto a tutti i gruppi di immigrati”, ha detto un ispettore della polizia che segue il fenomeno da oltre dieci anni.

A Prato i cittadini locali e i cinesi non hanno niente in comune e vivono in una sorta di apartheid. Gli italiani sono molto ostili verso i cinesi e li accusano di evasione fiscale e di non dare alcun contributo tangibile alla loro città: la stoffa, i macchinari, gli operai e i commercianti sono tutti cinesi. Soltanto il consumatore finale è italiano. Come può dunque trarne beneficio la regione?

Questa generalizzazione offende i cinesi. La politica ha soltanto reso più difficili le cose: nel 2009 è stato eletto sindaco Roberto Cenni, un populista anti-cinese, e le due comunità sono sempre più lontane tra loro. Non è certo una soluzione a un problema che in Italia come in Spagna dovrebbe indurre i cinesi a una maggiore integrazione – per esempio tramite una redistribuzione dei guadagni con l’assunzione di personale locale – e noi a una maggiore tolleranza nei confronti di un gruppo etnico la cui presenza nelle nostre società merita rispetto.

Contesto

Il piccolo imperatore che voleva essere un Guggenheim

Decine di persone (tra cui 53 cinesi e 17 spagnoli) sospettate di aver riciclato centinaia di milioni di euro sono state arrestate il 17 ottobre a Madrid nel quadro di una vasta azione di polizia battezzata "operazione imperatore”. Alle retate hanno partecipato più di 500 agenti in tutto il paese. In quattro anni di presunti traffici l’organizzazione avrebbe riciclato 1,2 miliardi di euro. L’inchiesta ha svelato una vasta rete che riciclava il denaro proveniente da prostituzione ed estorsione attraverso attività di facciata, di solito bar e ristoranti. Secondo le forze dell’ordine il denaro era conservato in paradisi fiscali con l’aiuto di intermediari spagnoli e israeliani, oppure inviato in Cina in macchina o in treno. Tra le persone arrestate figura Gao Ping, 45 anni, considerato uno dei capi della rete. Padrone della zona commerciale cinese di Fuenlabrada (considerata la più grande d’Europa e situata alla periferia di Madrid), Gao era arrivato in Spagna nel 1989. Secondo El Pais l’uomo intratteneva buone relazioni con diverse personalità del mondo politico ed economico, ed era anche un collezionista d’arte:

La vendita all’ingrosso non era il suo unico interesse. La sua vera ambizione era un’altra, l’arte. Ha inaugurato il Centro d’arte contemporanea Iberia, uno dei più grandi spazi privati dedicati all’arte nella capitale cinese.

Gao aveva un modello:

Voleva imitare i Guggenheim, la famiglia americana di industriali filantropi che ha cominciato con l’importazione di tessuti dalla Svizzera verso la metà del XIX secolo per poi arricchirsi con l’industria mineraria e le fonderie.

Tags
Ti è piaciuto questo articolo? Noi siamo molto felici. È a disposizione di tutti i nostri lettori, poiché riteniamo che il diritto a un’informazione libera e indipendente sia essenziale per la democrazia. Tuttavia, questo diritto non è garantito per sempre e l’indipendenza ha il suo prezzo. Abbiamo bisogno del tuo supporto per continuare a pubblicare le nostre notizie indipendenti e multilingue per tutti gli europei. Scopri le nostre offerte di abbonamento e i loro vantaggi esclusivi e diventa subito membro della nostra community!

Sei un media, un'azienda o un'organizzazione? Dai un'occhiata ai nostri servizi di traduzione ed editoriale multilingue.

Sostieni il giornalismo europeo indipendente

La democrazia europea ha bisogno di una stampa indipendente. Voxeurop ha bisogno di te. Abbònati!

Sullo stesso argomento