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Cosa manca per fare gli europei

Si dice che il modo migliore per forgiare il senso di appartenenza sia la minaccia di un nemico comune. Ma nel caso dell'Europa di oggi gli avversari scarseggiano: i cittadini dovrebbero piuttosto unirsi nel confronto con i poteri dominanti.

Pubblicato il 17 Novembre 2011 alle 16:34
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Chi capisce il passato può influenzare il futuro. E vista la situazione attuale dell'Unione europea, questa parafrasi di Orwell sembra più che appropriata. Nella sua analisi sull'identità europea presentata in occasione della conferenza annuale del forum ceco-tedesco svoltosi di recente a Passau, lo storico Miloš Řezník ha fornito la chiave per la soluzione del problema della sopravvivenza dell'Europa, in quanto prospera entità economica, politica e culturale.

Dal punto di vista della nostra identità collettiva non è importante solo quello che siamo, ma soprattutto quello che non siamo. È la tesi essenziale del professor Řezník, creata a partire dalle modalità di sviluppo del nazionalismo moderno nella prima metà del diciannovesimo secolo. Mentre il sistema dell'Ancien Régime era in rovina, le nuove élite dell'epoca hanno proposto al popolo un'identificazione della nazione attraverso il concetto di uguaglianza civile. In seguito l'identità nazionale si è sviluppata ed è diventata una fonte potenziale di conflitti.

Nata come una costruzione, l'identità europea conosce un'evoluzione continua. Tuttavia ci si può chiedere se veramente riesca a imporsi. Che cosa le manca per unire coloro che teoricamente - sulla base del fatto che vivono in uno stesso spazio e condividono dei valori comuni - dovrebbero rivendicare questa identità? Un forte senso di minaccia. Gli europei hanno bisogno di un nemico comune.

La Grecia sull'orlo del fallimento, l'Italia sempre più in difficoltà, la minaccia di declassamento del rating francese e la prospettiva di un crollo della zona euro non costituiscono un collante abbastanza solido da unire i cittadini del Vecchio continente. Anche in questa crisi storicamente senza precedenti, la più grave che il processo di unificazione europea abbia conosciuto, gli europei non sono capaci di ammettere che hanno più cose in comune che motivi di divisione.

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Sempre più spesso si sente dire che questa crisi provocherà o una maggiore integrazione dell'Ue o il suo crollo. Ma una maggiore integrazione non si decide per decreto con una modifica del trattato di Lisbona. Noi abbiamo bisogno di una crisi, di una crisi reale e profonda. Ma dove trovare questo nemico in grado di unire gli europei? Chi è dunque il responsabile del declino della prosperità economica, dello stato catastrofico delle finanze pubbliche, del declino della competitività?

Ci troviamo di fronte a un caso di crollo degli imperi, come è stato descritto dagli storici Paul Kennedy e Niall Ferguson? Possiamo semplicemente limitarci ad addossare le responsabili delle difficoltà dell'Europa ai greci che hanno truccato i loro conti, agli italiani indebitati, o dobbiamo invece attraversare la frontiera e accusare per esempio il capitalismo di stato cinese o la manodopera indiana a buon mercato?

In un'economia globalizzata è meglio mettere da parte le vecchie categorie nazionali e ideologiche. Solo in relazione a una nuova categoria di persone è possibile realizzare un rafforzamento dell'identità europea, sulla quale potrebbe basarsi una rinnovata ricchezza dei cittadini del Vecchio continente. Ma questo non è possibile con una classe politica che non è né capace né disposta a guardare oltre il proprio mandato elettivo, che utilizza una lingua molto lontana dalla vita quotidiana degli europei e che rifiuta di abbandonare il potere quando trascina il proprio paese sull'orlo del fallimento.

I traumi che riguardano una società hanno spesso permesso l'affermazione di un'identità nazionale. Il professore Řezník ritiene che l'identità europea abbia bisogno di una crisi profonda per mettere alla prova la sua fattibilità. (traduzione di Andrea De Ritis)

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