"Non sono solo le Ramblas, i ghirigori della Sagrada Familia o il bacalao al pil-pil di Pepe Carvalho che trascinano a Barcellona ogni anno nuovi residenti italiani e hanno trasformato la città di Gaudí e Mirò in un nuovo Eldorado per i nostri connazionali", scrive Omero Ciai su Repubblica. Né può bastare l'argomento delle migliori opportunità lavorative, soprattutto ora che la crisi del mercato immobiliare ha azzerato la crescita dell'economia spagnola, a spiegare l'attrattiva che ha portato la comunità italiana oltre i 22mila componenti, il più numeroso gruppo di espatriati a Barcellona davanti a ecuadoriani e pachistani. Neanche dieci anni fa erano appena 15mila: una crescita esponenziale, spinta soprattutto dai giovani neolaureati "delusi sia dalla situazione politica e sociale italiana".
Mentalità aperta, qualità della vita e offerta culturale sono tra le ragioni più frequentemente addotte dai barcellonesi d'adozione per spiegare la loro scelta, per cui non disdegnano di adattarsi a condizioni lavorative, abitative e finanziarie spesso decisamente precarie. "Ma Barcellona è anche un marchio, un logo che attira. Barcellona è la sua storia di città liberal, borghese ma socialista, di capitale antifascista di Spagna durante la guerra civile. Quella che difese e raccontò George Orwell. L´altra Spagna insomma, che non ha nulla a che fare con l´arida Castiglia."
Il fascino di Barcellona non colpisce però soltanto gli studenti erasmus e i giovani delusi dalla gerontocrazia italiana: tra la Catalogna e la Costa del Sol avrebbe infatti trovato rifugio il 70 per cento dei capi della camorra, "una emigrazione iniziata negli anni Ottanta e mai finita visto che, secondo i magistrati italiani, la Spagna non è soltanto un luogo di rifugio dorato ma anche la piattaforma dalla quale controllano il traffico di droga destinato all´Europa."