"Nell'Europa dell'est la gente crede ancora che l'arte possa cambiare il mondo". La citazione è approssimativa, ma l'etichetta che accompagna questo ciclo di opere d'arte albanesi a Parigi mi ossessiona. "Il caso Tirana" è una sezione particolare della mostra " Le promesse del passato", inaugurata in aprile al Centre Pompidou di Parigi [fino al 19 luglio]. Una sezione dedicata al progetto inaugurato dal sindaco della capitale albanese, Edi Rama (un ex artista che formatosi in occidente), che prevede la trasformazione delle facciate decrepite degli edifici in colorate opere d'arte. Anche se di tutte le opere presentate questa è l'unica posteriore al 1990 che mostri chiaramente il suo obiettivo di cambiamento sociale, è difficile non rendersi conto che l'arte di questa parte dell'Europa è ancora profondamente sociale e politica.
Il titolo, "Le promesse del passato", riecheggia temi cari a Walter Benjamin. Sono esposte le opere di un gran numero di artisti dell'"ex" Europa dell'est, dalla serba Marina Abramović al romeno Daniel Knorr (con un'installazione appositamente creata per il Pompidou, la "deviazione" di un tubo – i tubi sono il leitmotiv architettonico del Beaubourg immaginato da Renzo Piano e Richard Rogers – nel quale circola del gas lacrimogeno), passando per le opere del romeno Ion Grigorescu o del croato Mladen Stilinović, ai quali si aggiungono il francese Cyprien Gaillard o Yael Bartan, che trattano temi "orientali-europei" pur non essendo originari di questa regione.
Con il suo edificio futurista, il Centre Pompidou è una combinazione affascinante di attrazione turistica e istituzione rivoluzionaria delle arti visive (ma che, quando si tratta di investire, investe soprattutto nei classici contemporanei).
In questo paesaggio museale complesso, "Le promesse del passato" cerca di "reinventare la ruota" (espressione utilizzata nel catalogo della mostra, come titolo del capitolo albanese) della difficile, se non impossibile, ridefinizione dell'arte al di là dell'ex cortina di ferro, e della sua integrazione nei canoni dell'arte occidentale o quanto meno agli occhi dell'occidente. L'esistenza di un altro punto di vista possibile sull'arte "orientale", come dimostra la retro-avanguardia, un concetto attraverso il quale il collettivo Neue Slowenische Kunst (Nsk) ha inventato il suo contesto, rifiutando di passare attraverso una possibile falla del complesso schema canonico occidentale.
Considerata in blocco (comunista e postcomunista) o secondo criteri nazionali ("Presenze polacche" è stata ospitata anche dal "Pompidou" nel 1983), l'arte associata all'Europa dell'est è necessariamente, concettualmente e periodicamente reinventata. Ma paradossalmente il passato comunista è quello che ha offerto, dal punto di vista occidentale, l'unico comune denominatore tematico: il traumatismo, la memoria, la nostalgia. Tutto è politico, dicono gli edifici di Tirana. (adr)