Idee Lettere sulla democrazia | 2

Caro Arnon, diamo a questa nostra Europa l’anima che merita

In risposta alla lettera con cui lo scrittore olandese Arnon Grunberg ha paragonato l'Europa a un "club di scambisti", lo sloveno Drago Jančar sottolinea l'importanza della letteratura nel permettere la comprensione di questioni sociali e politiche, si interroga sul futuro dell'Europa e sul significato dei valori europei.

Pubblicato il 30 Maggio 2023 alle 16:52

Caro Arnon,

grazie per aver ricordato, in tempi tanto incerti come questi che viviamo, una guerra avvenuta ormai  tanto tempo fa. E con essa anche la popolazione di Sarajevo, che si è sentita isolata e dimenticata, dall'Europa e dal mondo, durante i lunghi anni dell’assedio. 

Oggi con la guerra in Ucraina sembra diverso, mi pare di vedere molta più solidarietà. Ma non spetta a noi, ma agli abitanti delle città occupate, a coloro il cui sonno è interrotto dalle sirene antiaeree, dire se davvero sentono questa solidarietà. La filosofa ucraina Oksana Zabužko è senza dubbio la persona adatta a parlarne durante nostro dibattito.

Meno di un anno dopo che Susan Sontag ha diretto a Sarajevo il suo Aspettando Godot di Beckett mi sono ritrovato anch'io nella città assediata: facevo parte di un gruppo di quattro scrittori che si erano recati a Sarajevo per esprimere la solidarietà ai colleghi che vivevano lì, in una città esposta a fitti e continui bombardamenti dalle colline circostanti.

Più che di amicizia e di parole gentili avevano però bisogno di aiuto finanziario: per questo, sotto i giubbotti antiproiettile avevamo infilato delle mazzette di banconote; era una somma piuttosto consistente, raccolta dal PEN International per aiutare gli scrittori bosniaci. Non è stato facile per loro; uno ha  bruciato quasi tutta la sua biblioteca per scaldarsi con la famiglia nel gelido inverno di Sarajevo, durante il blackout.

Aspettando Godot? 

Una domanda sulla civiltà e la barbarie in Europa, che Susan Sontag aveva posto a Sarajevo, è stata ripresa da noi quattro, un gruppo di scrittori/viaggiatori bizzarri e improbabili, con addosso elmetti militari e giubbotti antiproiettile. Quando siamo arrivati all'aeroporto di Sarajevo con un aereo da trasporto militare, in mezzo a fortificazioni, mitragliatrici spianate e filo spinato, siamo stati accolti da un ironico cartello del trasporto aereo dell’UNPROFOR: “Maybe Airlines” – Aerolinee forse. Le forze di pace francesi, invece, avevano inchiodato, sulla stretta striscia di terra che dovevamo attraversare per lasciare l'aeroporto, un cartello stradale portato da Parigi: “Champs-Elysées”.


Oggi ci basti sapere che siamo arrivati a questo punto attraverso le maestose vette della civiltà e i profondi abissi della barbarie


Si stava consumando una tragedia: persone che morivano tra spari e bombardamenti, cittadini e cittadine sull’orlo della fame, privati di ogni cosa. In questo contesto la volontà di sopravvivenza era tentua in vita dall’umorismo nero e dalla speranza che l'Europa, faro della civiltà, sarebbe venuta in aiuto. Aspettando Godot? 

Un tassista, diventato abilissimo nell’evitare le strade prese di mira dai cecchini appostati in cima alle colline, mi raccontava che di giorno continuava il suo lavoro; la notte la passava steso, con il fucile in mano, nelle linee di difesa sopra la città.  "Lì aspetto il mio Godot”, scherzava.

Susan Sontag, che arrivo’ a Sarajevo da New York, aveva forse colto meglio l’intreccio di stupefacenti conquiste culturali e sociali dell'Europa e di brutali manie nazionaliste e ideologiche, avvenute nel turbolento secolo che prese inizio con l’assassinio di Sarajevo del 1914. 

Sontag lo ha forse colto meglio di tanti europei. Ed è vedo che anche tu, Arnon, lo capisci molto bene. E lo capisci in quanto scrittore: perché è nostro dovere parlare del bene e del male, della luce e delle tenebre che, proprio come la civiltà e la barbarie, non abitano solo in una nazione, ma spesso anche in un essere umano. Quello che temo è che tanti, forse la maggioranza, in Europa siano propensi al pregiudizio e alla semplificazione.

Le tribù d’Europa

Nel febbraio 1993 sono stato invitato a Parigi per partecipare a un dibattito fra “des écrivains, des intellectuels, des politiques, des plasticiens, venus de toute l'Europe…”, come recitava l'invito. La discussione doveva vertere sugli enormi cambiamenti avvenuti in Europa dopo i violenti sconvolgimenti politici e sociali dell'Europa dell'Est, la caduta del muro di Berlino, il crollo dell'Unione sovietica e la guerra in Jugoslavia. Quando sono arrivato al Palais de Chaillot, davanti alle sue grandi finestre uno striscione gigante si metteva in bella mostra: la sagoma della Torre Eiffel sullo sfondo, e la scritta : Les tribus ou l'Europe? 

Le tribù o l'Europa? Ed è lì che ho capito: ero stato invitato come rappresentante della parte tribale dell'Europa. Per gli organizzatori di questo eminente dibattito la disgregazione economica e sociale delle società comuniste in seguito le rivoluzioni di piazza, il crollo dell’Urss e la disintegrazione della Jugoslavia (dove le lotte nazionaliste, e in parte religiose, infuriavano ancora) erano semplicemente una strada che conduce verso una società “tribale”, un cammino verso la barbarie.  

Un filosofo francese e un saggista polacco presenti si sono opposti immediatamente a questa semplificazione. Ma alla fine il dibattito ha speso molte, tante, parole di speranza per un'Europa unita, tollerante, solidale e rispettosa dei diritti umani.


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Resta un fatto: non sono riuscito a levarmi da addosso la scritta vista al Palais de Chaillot; mi è tornata in mente, un flash, tanti anni dopo, all'inizio del nuovo secolo e del nuovo millennio, quando questo  "big bang" ha prodotto un’altra cosa: l’unificazione formale, o meglio, l'incorporazione dei paesi dell'Europa orientale nell'Europa occidentale. 

Credo che questo processo non sia riuscito a far conoscere meglio come davvero vivesse la gente in Europa orientale. Una persona che ha trascorso la maggior parte della sua vita a Lione o a Gand ha avuto un'esperienza diversa da quella di chi ha vissuto a Praga o a Vilnius. La vita in una dittatura comunista, fatta di pompose illusioni di uguaglianza sociale, era completamente diversa da quella in una democrazia parlamentare e nel capitalismo. A trent'anni di distanza, il muro di Berlino è ancora vivo nella mente di molti europei.

Fare la morale alle società dell’Est 

Il poeta polacco Czesław Miłosz ne parla in modo vivido. Per citare il suo libro Europa familiare (Silva editore, 1961): "La mela rotante della Terra è piccola e non ci sono più zone inesplorate su di essa. Basta arrivare qui, in Europa, da una delle sue province orientali o meridionali, dove i viaggiatori si recano raramente, e si è già un nuovo arrivato dal Settentrione, di cui si sa solo che fa freddo".

Tanti in Occidente credono tutt’oggi vada fatta la morale alle società dell'Europa orientale come se si dovessero dar loro lezioni di democrazia e di stato di diritto . 

A Est sono in tanti ad aver visto le loro speranze infrante quando si sono resi conto che l’adesione all'Unione europea non avrebbe cambiato le loro vite in un batter d'occhio,  passando dalla nera miseria alla prosperità celeste. Sono stati cresciuti nell'utopia di un comunismo che ha continuato a non realizzarsi.

Quando l'utopia è crollata si sono aggrappati a un'altra idea utopica: l'Europa. Prosperità, democrazia, la valle dell’Eden…  tutto sarebbe avvenuto naturalmente. Ma nulla viene naturalmente. Io stesso l'ho detto una volta in un dibattito: "Abbiamo sognato la democrazia, ci siamo svegliati nel capitalismo" e pure piuttosto spietato. Tutte le società dell'Europa orientale hanno dovuto affrontare i problemi della transizione: le privatizzazioni, le fratture sociali, e l’influenza di potenti gruppi di nouveaux riches sulla politica, sui mezzi d’informazione e su altre sfere della vita collettiva.

In Germania, paese che tu conosci bene e che apprezzi, ancora oggi una persona che ha vissuto nella DDR viene chiamata "Ossi": questo implica qualcosa di molto diverso, e non necessariamente positivo, rispetto a chi ha vissuto in Occidente e viene chiamato "Wessi". Forse, Arnon, qualcuno potrebbe trovare un po' bizzarro il tuo affetto per i tedeschi, soprattutto per chi proviene da una parte del mondo che ha avuto, per usare un eufemismo, una brutta esperienza con loro in passato. Ma posso capirti, almeno fino a un certo punto.

Sapere cosa la democrazia non è

Forse sono proprio i tedeschi a capire meglio l'idea europea. Chiunque voglia capire l'Europa dovrebbe passeggiare per i musei berlinesi del Ventesimo secolo o parlare con tedeschi che, grazie alla loro esperienza e fatto di aver vissuto sotto due dittature, hanno evacuato le follie nazionaliste e ideologiche. Il drammaturgo e poeta tedesco Heiner Müller lo dice bene nella sua autobiografia, che ha sottotitolato Vita in due dittature.

È quindi una buona idea impregnarsi almeno un po' di conoscenza della storia europea per guardare al futuro. Solo sapendo cosa la democrazia non è possiamo capire cosa è, o cosa dovrebbe essere. 

Come scrittori ci piacerebbe che le persone si confrontassero con la nostra letteratura più che con i nostri interventi pubblici su questioni sociali. A volte, semplicemente, non è possibile. La mia prima grande traduzione in tedesco è stata pubblicata durante la guerra in Jugoslavia (e poco dopo in olandese, nel 1995): era il romanzo Galjot, del 1978. Che emozione per uno scrittore relativamente giovane! Il libro era stato disegnato in modo splendido e l'autore aveva preparato una serie di belle cose da dire per un'intervista, se qualcuno si fosse stato interessato, come si sperava.

Ebbene, alla Fiera del Libro di Francoforte le luci sono rimaste accese tutto il giorno e le telecamere ronzavano allo stand di una casa editrice austriaca che pubblicava anche libri di scrittori serbi e croati, mentre noi spiegavamo il nostro punto di vista sulla guerra... Il mio bel libro giaceva inosservato sul tavolo, quasi nessuno lo guardava. La sera, mentre gli editori stavano riordinando gli stand e le luci venivano spente, una giornalista di una radio tedesca venne a trovarmi. "Signora", le dissi, "sarebbe così gentile da chiedermi qualcosa su questo romanzo appena pubblicato?". La signora sorrise amichevolmente. "Certo", disse, "mi dica". Parlai per qualche minuto. "Molto bene", disse, "ma vorrei chiederle: la Slovenia, con la sua secessione, ha causato la guerra in Jugoslavia?".

Il futuro come una lista di desideri

In che momento  smettiamo di essere artisti e diventiamo appena più originali come interpreti di situazioni sociali e politiche? Penso che i libri possano, spesso, dare una visione più  complessa delle circostanze sociali e delle fallacie umane che hanno causato grandi crisi. A patto che vengano letti, naturalmente.

Il futuro? Potrebbe essere solo una lista dei desideri. Per ora, è bene sapere perché e come siamo arrivati all'Europa che abbiamo. Oggi ci basti sapere che siamo arrivati a questo punto attraverso le maestose vette della civiltà e i profondi abissi della barbarie. Almeno secondo me, l'Illuminismo è stato il punto di svolta, il momento che ha profuso  nelle società europee i più importanti postulati sociali e culturali che oggi ci permettono di parlare di democrazia liberale, apertura, solidarietà e tolleranza.

Sicuramente l'Europa di domani non sarà quella di oggi. Le nuove generazioni stanno allargando gli orizzonti della comprensione dell'"altro" e dell'"inclusività", qualunque cosa si intenda con questo termine. Chi può capire tutto ciò se non gli scrittori?  È stato l'Illuminismo, insieme ai diritti umani, a definire il quadro e le restrizioni della democrazia liberale di oggi. La democrazia non è uno spazio senza limiti dove tentare una sperimentazione sociale arbitraria, ma consiste nello stato di diritto, nella laicità, nella libertà di parola, e quindi anche nelle regole che rendono la convivenza sopportabile. 

Tutto questo va e dovrà essere rispettato anche in futuro, se non vogliamo trovarci di nuovo, come è successo tante volte nella storia europea, nel bel mezzo di violenti esperimenti sociali in cui si finisce per saltarsi alla gola. Quando siamo tentati di parlare della vecchia e stanca Europa, dei labirinti a volte inutili della burocrazia europea, dell'egoismo e dell'intolleranza; quando rabbiosi pensatori prevedono il declino dell'Europa, ricordiamoci perché, dopo tutto, così tante persone al di là dei suoi confini vogliono vivere qui. Chiediamo agli ucraini perché sono pronti a lottare per questa vita? Forse l'idea dei valori europei è più visibile e capita meglio nelle società che sono fuori dei suoi confini rispetto a quelle che sono all'interno dell'Europa stessa?

L’anima dell’Europa

Uno degli artefici dell'Europa pragmatica nella quale ci troviamo oggi, quest’Europa nella quale ci sentiamo relativamente a nostro agio e che tante persone al di fuori dei suoi confini trovano così attraente, è Jacques Delors, architetto dell'integrazione europea. All'inizio degli anni Novanta Delors si rese conto che l'unificazione politica ed economica da sola non era sufficiente per sostenere il progetto a lungo termine. Quasi spaventato dal suo stesso pragmatismo, gridò che l'Europa aveva bisogno della sua "anima".

Anche per uno scrittore la nozione di "anima dell'Europa" suona un po' romanzesca. Ma non è forse l'arte, soprattutto quella letteraria, spesso critica, ambigua, incerta, scomoda, l'anima stessa dell'Europa, che riflette ciò che accade in ogni anima? Momenti di gioia e di tristezza, di euforia e di disperazione, momenti di amor proprio, ma anche di una coscienza sporca che ci assale nelle ore di insonnia a causa delle nostre azioni?

Inutile dire che non propongo certo i nostri libri come manuali di comprensione e tolleranza. "Tutta l'arte è inutile", diceva Oscar Wilde col suo sarcasmo.  

Io immagino però, con umiltà, che i nostri libri possano, a modo loro, rispondere alla domanda su chi siamo, da dove veniamo e anche dove stiamo andando, per coloro che avranno voglia di leggerli. Come individui e come comunità, in tutta la sua diversità.

Auguri, Arnon, ci vediamo presto ad Amsterdam.

Drago Jančar

Questa lettera è una delle "Lettere sulla democrazia", un progetto del 4° Forum sulla cultura europea che si terrà nel giugno 2023 ad Amsterdam. Organizzato da De Balie, il Forum si concentra sul significato e sul futuro della democrazia in Europa, riunendo artisti, attivisti e intellettuali per esplorare la democrazia come espressione culturale piuttosto che politica.
Per le "Lettere sulla democrazia", cinque scrittori immaginano il futuro dell'Europa in una catena di cinque lettere iniziata da Arnon Grunberg. Gli scrittori – Arnon Grunberg, Drago Jančar, Lana Bastašić, Oksana Zabužko e Kamel Daoud – si riuniscono durante il Forum, in una conversazione sull'Europa che ci attende e sul ruolo dello scrittore in essa.

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