Idee Memoria collettiva

“Cronostalgia”, o la memoria europea come campo di battaglia

Il passato è diventato un altro campo di battaglia, come dimostrano i tentativi di alcuni stati, come la Russia, di riscrivere la storia per giustificare le aggressioni di oggi. L'Europa deve riconoscere e disinnescare i mali che la affliggono, mettendo al primo posto la memoria e la cultura. Come spiega il celebre scrittore bulgaro Georgi Gospodinov, le parole non possono fermare i carri armati, ma possono aiutare chi si lascia ingannare dalla disinformazione o dalla propaganda.

Pubblicato il 4 Aprile 2023 alle 14:46
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La prima cosa che ho pensato la mattina del 24 febbraio 2022, quando ho sentito la notizia dell'invasione russa, è stata che Vladimir Putin aveva dichiarato guerra a tutti noi — all'Europa — e che eravamo a un passo dal disastro nucleare. Ho pensato a mia figlia, che stava dormendo nella stanza accanto. 

Ogni guerra è allo stesso tempo una macchina del tempo e un incidente temporale. All'improvviso, il passato è ritornato, e mi sono venute in mente le istruzioni che ci avevano fatto imparare a memoria a scuola sulla procedura da seguire in caso di attacco nucleare. Tutte regole inutili: non avevo una maschera antigas da indossare in meno di 17 secondi, né sapevo dove fosse il rifugio antiatomico più vicino (ho poi scoperto che erano tutti chiusi da tempo). E tutti i consigli che ci avevano dato, tipo non stare vicino alle finestre per non essere fatti a pezzi durante l'esplosione o di non guardare direttamente il fungo atomico per non rimanere ciechi, sembravano particolarmente assurdi.

Ciliegina sulla torta, persino la proveninenza dell’attacco è cambiata: prima ci aspettavamo venisse da ovest mentre oggi verrebbe da est, direttamente dal nostro fratello maggiore di un tempo. Era abbastanza per disorientare chiunque su dove trovare riparo. Ci ho pensato e ripensato; ho dato una rapida occhiata alla casa e ho deciso che il bagno sarebbe stato il miglior rifugio di fortuna: dopo tutto, non aveva finestre. Senza dire una parola, mia moglie ha proposto di controllare la cantina e di portare giù delle bottiglie d'acqua. La cosa più difficile è stata spiegare il tutto a mia figlia.

Ma la sensazione che ho provato è proprio quella: un improvviso balzo indietro nel tempo e la fine della vita “normale”. Arriva un momento in cui la quotidianità si trasforma in Storia, in guerra. Speravo, dentro di me, che la nostra generazione potesse sfuggirvi. Ho immaginato i bambini di una famiglia ucraina svegliarsi la mattina per andare a scuola, brontolare perché vogliono rimanere a letto, mangiare pane tostato e marmellata davanti la televisione che improvvisamente annuncia lo scoppio della guerra. E tutto quanto viene sconvolto, tutto quanto crolla, così come, un paio di giorni dopo, cominciano a crollare i condomini e le cucine dove pane e marmellata sono rimasti intatti…


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Quattro anni fa ho scritto un romanzo in cui il sentimento di "mancanza di un futuro" era così forte che ogni nazione europea voleva indire un proprio referendum sul passato. Fino a quel momento, i referendum avevano sempre riguardato il futuro, ma era arrivato il momento in cui l'orizzonte si allontana, dando così solo la possibilità di guardare indietro, verso il passato. Cosa comporta un referendum di questo tipo? La possibilità di scegliere il decennio o l'anno più felice del Ventesimo secolo nella storia di ogni nazione, poiché la mancanza di un futuro scatena un’enorme ondata di nostalgia. E voilà, è il momento, per il passato, di invadere il continente.

A quale decennio del Ventesimo secolo vorrebbero tornare nazioni come  Germania, Francia e Svezia? E quelle più periferiche come Bulgaria e Romania? La scelta si è rivelata più difficile in alcuni casi poiché, mentre alcuni paesi hanno vissuto diversi decenni felici, altri non ne hanno avuti nemmeno uno. La Germania sceglie la fine degli anni Ottanta e un anno, il 1989, nel quale il Muro crolla continuamente, in un moto perpetuo.

L'Italia torna agli anni Sessanta. Ma per la Bulgaria, ovviamente, le cose sono un po' più complicate. È come se la cartina dell'Europa non fosse più geografica, ma temporale, e ogni paese tornasse al proprio passato felice, per un breve istante. Credo che ancora oggi sia evidente questo esempio, questa metafora, questa forte spinta indietro nel tempo. In poche parole, il tempo ha sostituito lo spazio, il mondo è stato diviso in frammenti, più o meno esplorati e conosciuti, ed è diventato troppo stretto per le nostre anime, per parafrasare il poeta. Non ci resta che questo immenso oceano di tempo, che in realtà è un oceano di passato.


Poiché il "futuro" si è esaurito come materia prima, oggi populisti e nazionalisti promettono il "passato"


L'idea stessa di nostalgia è cambiata. Non si concentra più su un luogo o una casa specifici (nostos), come suggerisce l'etimologia della parola, ma riguarda ora un’altra temporalità. Il tempo ha ormai sostituito lo spazio e dunque, dovremmo forse usare un altro termine: cronostalgia, per esempio. 

Ed è in questo senso, che le nostre guerre sono diventate delle guerre per il passato.

Dopo l’uscita del romanzo, durante una presentazione, dal pubblico mi chiesero: “Ok, ma quale periodo sceglierebbe la Russia?”. Non ne ero sicuro, ma mi piaceva pensare che sarebbe stata l'epoca di Gorbaciov, della Perestroika. 

La risposta è arrivata il 24 febbraio 2022. Ed è una delle risposte più difficili da pronunciare, perché in questo referendum “invisibile” sul passato, la Russia ha scelto di tornare agli anni della Seconda guerra mondiale, anni in cui la leggenda sembrava essere dalla loro parte per l'ultima volta. La Russia ha goduto della riconoscenza di un mondo che ha potuto persino dimenticare per qualche tempo le crudeltà del sistema sovietico: Stalin, i gulag, l'Holodomor. L'ultima volta che il paese è stato vincitore. E poco importa se sull'altro piatto della bilancia ci siano vittime, orfani, vedove: ci sono nazioni e sistemi in cui la sofferenza personale non ha nessun peso.

Il romanzo si conclude con una ricostruzione storica che replica lo scoppio della Seconda guerra mondiale, ma uno sparo accidentale trasforma questa rievocazione in una Terza guerra mondiale. Nel libro, anche l'ora doveva essere la stessa, le 4:47 del mattino. Ok, d'accordo, la guerra di Putin è cominciata alle 4:50.

E così, quella che stiamo vivendo oggi è una battaglia per il passato, per la sua riscrittura. Il passato come alibi e il passato come risorsa. Per la mia generazione e per quella dei miei genitori, il futuro – il futuro comunista – era esattamente l’alibi che consentiva di giustificare e spiegare tutte le difficoltà del presente. Oggi, poiché il "futuro" si è esaurito come materia prima, populisti e nazionalisti promettono il "passato". 

In questo senso capiamo meglio perché Putin ha deciso di tornare ai primi anni Quaranta. Ma possono convivere epoche diverse e enclavi temporali in un unico continente? No. E non solo perché la felicità di un popolo non può dipendere dall'infelicità di un altro, ma perché il passato non è un progetto individuale, non ci si può vivere da soli.

L'infelicità odierna e l'isolamento della Russia l'hanno fatta tornare al periodo d’oro e "felice" dell'Unione Sovietica, che ora è vuoto, deserto: non ci sono più coloro contro cui avrebbe dovuto competere e combattere, uccidere o fare alleanze. Bisogna dunque inventarsi un nuovo nemico, una nuova minaccia. L'unica possibilità è quella di trascinare in questo passato prima il vicino più prossimo, poi gli altri vicini e infine l'Europa e, perché no, il mondo intero. 

Con questa guerra, Putin sta dicendo "combattiamo sul mio territorio, pardon, voglio dire nella mia epoca, negli anni Quaranta". È uguale al convitato di pietra di Don Giovanni, al quale non si deve stringere la mano per non essere trascinati negli inferi (negli ultimi decenni, molti paesi europei, tra cui la Bulgaria, non l'hanno capito e hanno spesso stretto quella mano che gli era stata tesa).

Guerra cronica

Quello che vuole ora Putin, non è vincere questa guerra, ma renderla cronica, costringendoci a vivere in questo regime. Il suo obiettivo sistematico consiste nel bombardare e radere al suolo il presente (e il futuro) con tutte le sue infrastrutture e la sua quotidianità, in modo da far sparire ogni traccia d’acqua, calore o luce. Distruggere la vita di tutti i giorni, la sua esistenza, per an-nien-ta-re letteralmente l’Ucraina come nazione. “Potere dei Soviet più l’elettrificazione di tutto il paese”: così Lenin descriveva il paradiso del comunismo. Oggi Putin ci ha messo del suo: “Se non volete il potere dei Soviet, non avrete l'elettrificazione”. Grazie al cielo, il popolo ucraino ha dimostrato di poter fare a meno sia del potere dei Soviet che dell'elettrificazione.

Un progetto aggressivo per far rivivere il passato, soprattutto se non è mai stato elaborato, dimenticato o riscritto, è il terreno perfetto per il populismo e il nazionalismo. Lo abbiamo visto con Donald Trump, ora si sta incarnando in una forma ancora più minacciosa con Putin. 

L'Europa è il continente con il maggior numero di tracce del passato e con il più lungo processo di elaborazione della memoria. La cultura, di cui il continente va tanto fiero, è essenzialmente l'elaborazione della memoria, compresa la memoria della colpa, la memoria dell'infamia, come direbbe Borges. 

Dalle prime pitture rupestri, passando per l'Iliade e l'Odissea di Omero, o per le Opere e i Giorni di Esiodo (che conservano e tramandano la Storia in un esametro facile da ricordare), o ancora per Cortés fino alle testimonianze sul nazismo e sulla Seconda guerra mondiale, memoria e cultura sono due elementi chiave del sistema immunitario dell'Europa. Quello che deve fare è riconoscere e rendere innocui i virus dell’indifferenza collettiva, della perdita della ragione, della follia nazionalista e della nascita di nuovi dittatori.


Finché ci sarà anche solo un’unica ferita sanguinante della storia dell'Europa, l'intero continente sanguinerà. Nessuno, per quanti chilometri possa trovarsi ad Ovest, può riposare tranquillo


Questa guerra è scoppiata nel momento in cui gli ultimi testimoni che portano con sé la memoria vivente della Seconda guerra mondiale si sono spenti. Siamo così sull’orlo del precipizio generazionale in cui gli ultimi ad aver tenuto viva la memoria, gli ultimi prigionieri dei campi di concentramento, gli ultimi soldati che hanno combattuto in quelle trincee, ci lasciano. Spero che non ci stiamo dirigendo verso una strana forma di Alzheimer collettivo.

La memoria è materia malleabile, andrebbe essere esercitata ogni giorno. Gli eventi dovrebbero essere (ri)raccontati costantemente per non essere dimenticati. Perché quando la fiamma della memoria si spegne, le bestie del passato tornano a perseguitarci. Meno memoria, più passato. Ricordiamoci, dunque, di come tenere a bada il passato nel passato.

Ma... qui voglio fare una piccola deviazione. Non è più solo una questione di memoria, ma anche di cosa ricordiamo e come. Perché anche Putin si fida ciecamente della memoria. Perché anche il populismo e il nazionalismo creano la loro versione della memoria. Una versione elaborata apposta, che si adatta a ogni situazione, una versione bidimensionale, come la scenografia di uno spettacolo. Dimmi di quale memoria hai bisogno e te la forniremo. In Russia non è stato mai fatto un lavoro intorno al dovere del ricordo della Seconda guerra mondiale come hanno fatto in Germania, per esempio. 

Un lavoro doloroso che penetra in tutti gli strati della società, entra nelle istituzioni, nelle scuole e nei libri di testo di storia. 

I vincitori non vengono giudicati. Ma ci sono cose che avrebbero potuto essere criticate e condannate. La mancanza di questo lavoro sulla memoria – del rimorso per ciò che l'esercito russo ha fatto ai civili dei paesi conquistati, per un comando militare che spesso non ha risparmiato le vite dei suoi stessi soldati, per la paranoia che ha inviato i prigionieri di guerra russi direttamente dai campi di Hitler alla Siberia e così via – fa sì che il paese resti nello status di grande vittima. Uno status e un alibi per nuovi sacrifici che la nazione ritiene di meritare.

Una delle cose più inquietanti di oggi è la cancellazione del confine tra vero e falso. Il tentativo di costringerci ad essere in un mondo in cui nulla conta, dove tutto è lecito, dove ogni menzogna si traveste da verità, e dove ogni teoria del complotto può vincere sulla ragione. È un falso che non solo riscrive il passato, ma orienta e determina il futuro. Più precisamente, un mondo che si fonda su un passato riscritto per giustificare le aggressioni e le infamie attuali.

Ma è qui che entrano in gioco l'analisi, la conversazione. Ed è da qui che dobbiamo partire. Il linguaggio ora è diverso e dobbiamo rendercene conto. È diverso il modo in cui raccontiamo le storie che non passano più attraverso numeri, paragrafi e progetti, ma direttamente attraverso l’individuo e le sue paure, la sua solitudine, confusione e speranza.

Dove si trova la Bulgaria in questa situazione? Ai confini della guerra, se la guerra attuale ha un fronte e una periferia. Per quanto riguarda distanza e geografia siamo molto vicini, a circa 500-700 km di distanza – Odessa è a 721 km a volo d'uccello. Ma passando attraverso il sistema di misurazione del tempo e del passato, siamo ancora più vicini.

Sedicesima repubblica dell’URSS

Come recita un detto sovietico, “il pollo non è un uccello e la Bulgaria non è all'estero”. A tal punto che, nel 1962, la Bulgaria fece un vergognoso tentativo di rinunciare alla propria sovranità e di diventare la sedicesima repubblica dell'URSS. Ovviamente, il legame bulgaro-russo imposto dalla storia è stato furbamente utilizzato dalla propaganda.

Per tutta la mia infanzia e giovinezza mi è stato insegnato a scuola che la Russia era il fratello maggiore, quello di cui non potevamo fare a meno (come tutti i fratelli maggiori, poteva picchiare i bambini cattivi del quartiere che ci bullizzavano). Conosco ancora a memoria questa citazione dell’eroe del processo di Lipsia e primo dittatore comunista della Bulgaria, Georgi Dimitrov (che tra l'altro era anche cittadino sovietico): "La nostra amicizia con l'Unione Sovietica è vitale e necessaria tanto quanto il sole e l'aria lo sono per ogni creatura vivente". 

Naturalmente, tutti coloro della mia generazione sognavano segretamente altre nazioni, quelle terre straniere a ovest tanto desiderate. E questa è già una piccola vittoria: l'URSS non è mai diventata una destinazione da sogno, nonostante la propaganda. È rimasta un luogo di soggezione, e questo ha delle conseguenze sulla situazione attuale.

Qui, in Bulgaria, la propaganda filorussa agisce facilmente su diversi livelli. Dal sentimento di gratitudine nei confronti di coloro che per due volte ci hanno liberato (e, col senno di poi, per due volte ci hanno ridotto in schiavitù), alla venerazione per la cultura russa (come se Putin e Čechov fossero fratelli gemelli), fino alle dichiarazioni di politici di primo piano che si rifiutano di schierarsi chiaramente dalla parte delle vittime. Tutto questo non può che dividere la società.

Secondo un sondaggio di Eurobarometro del maggio 2022, tra tutti i paesi dell'Ue, i bulgari sono coloro che sono i più vicini alla posizione russa sulla guerra. È stato osservato un forte aumento della propaganda russa in Bulgaria, all'ultimo posto per quanto riguarda l'alfabetizzazione mediatica, il tasso di vaccinazione, e al primo posto in Europa per i tassi di mortalità pro capite per Covid-19. Tutti questi elementi sono collegati. E questo collegamento è stato improvvisamente messo a nudo all'inizio della guerra: i no-vax si sono rivelati i più convinti filoputiniani. 

Il laboratorio Facebook

Facebook rimane il social network più influente in Bulgaria, il 90 per cento del traffico di Internet passa da lì. Il problema è che la propaganda che arriva da Internet è penetrata anche nei mezzi d'informazione ufficiali e considerati “seri”. Molti giornali creano contenuti a partire dai post di Facebook, che ripubblicano senza nessun tipo di critica o commento. Inoltre, Facebook risulta essere un vero e proprio laboratorio per i discorsi di odio che si diffondono senza problemi anche nei giornali ufficiali. Di recente un sostenitore del partito nazionalista Vuzrazhdane (Rinascita), ospite di un programma televisivo “serio”, ha dichiarato che l'unica cosa che rimproverebbe a Putin è che la sua guerra lampo in Ucraina non ha avuto successo.

La società bulgara è brutalmente divisa in due: e mi pare di poter dire che sono decenni che la Bulgaria non sperimentava una tale disintegrazione e polarizzazione, aggravata dai social network e dalle personalità pubbliche. Può sembrare eccessivo, ma devo dirlo: a volte ho la sensazione che siamo sull'orlo di una silenziosa guerra civile. 

Questa parte d'Europa non è al centro della Storia dal 1989, ma non ha mai smesso di raccontare storie e di mettere in guardia attraverso la sua letteratura su ciò che è già accaduto e potrebbe accadere di nuovo. Credo che questi racconti non siano stati ascoltati abbastanza. Qui si percepisce chiaramente che la storia non è ancora finita. Ora che lo sappiamo possiamo dunque dire: finché ci sarà anche solo un’unica ferita sanguinante della storia in Europa, l'intero continente sanguinerà. Nessuno, per quanto a ovest possa stare, può dormire tranquillo. 


Questa parte d’Europa non è al centro della Storia dal 1989, ma non ha mai smesso di raccontare storie e di mettere in guardia attraverso la sua letteratura su ciò che è già accaduto e potrebbe accadere di nuovo


Abbiamo capito che il centro dell'Europa non è qualcosa di statico, tra Berlino e Parigi, ma è quel punto dolente mobile, che fa male e sanguina. Oggi questo punto è a Est, nella fiera Ucraina.

In uno dei più bei saggi sull'Europa, Un Occidente prigioniero, scritto durante la Guerra Fredda (1983), lo scrittore ceco Milan Kundera comincia con un ultimo, disperato telegramma inviato dal direttore dell'Agenzia di stampa ungherese nel 1956, mentre l'edificio stesso dove si trovava era sotto il fuoco dell'artiglieria. Il suo messaggio recitava: "Moriremo per l'Ungheria e per l'Europa". In quei minuti critici voleva comunicare qualcosa. L'invasione dell'Ungheria da parte dell'esercito russo era un'invasione dell'Europa; non aspettate, reagite. L'Europa (o l'Occidente di allora) ha ricevuto e decifrato il messaggio? L'Occidente, ora, capisce il messaggio di fronte all'invasione dell'Ucraina? 

Grazie al cielo, sì, questa volta sappiamo per chi suona la campana. Le persone in Europa hanno capito subito. Il saggio di Kundera si conclude con l'amara conclusione che, dopo la Seconda guerra mondiale, l'Occidente si è allontanato dall'Europa centrale rimasta sotto l'influenza sovietica e l'ha considerata semplicemente come un satellite dell'impero sovietico senza una propria identità. Questa inerzia, oserei dire, è continuata in qualche modo anche dopo il 1989. La guerra in Ucraina ha di fatto restituito l'Europa centrale e orientale all'Europa.

Esiste un aspetto nel quale la periferia supera il centro? Senza ombra di dubbio l'ipersensibilità a ciò che sta per accadere. La capacità di cogliere nell’aria il pericolo. L'ex Europa dell'Est ha imparato a percepirlo con la pelle. Per questo motivo, mi permetto di dire: non sottovalutate i libri, i saggi e le poesie provenienti da questo angolo d'Europa. Decodificate i simboli che contengono.

Le parole non fermano i carri armati e non abbattono i droni. Ma possono (possono?) fermare, ritardare o almeno far esitare, almeno per un po', chi nei carri armati fa la guerra a persone innocenti. Le parole possono aiutare coloro che sono vittime dalle fake news e dalla propaganda. Il fatto che gli orrori della Seconda guerra mondiale non si siano ripetuti prima del 24 febbraio può comunque essere attribuito, in piccola parte, alla memoria del male che è stata elaborata da testimoni, scrittori e filosofi.

Questa guerra non finirà con l'ultimo colpo sparato. È cominciata anni prima del primo sparo e probabilmente finirà anni dopo l'ultimo. È il nuovo vecchio fronte della propaganda, oggi più forte che mai. E qui il lento, ma duraturo, mezzo di comunicazione che è la letteratura ha un ruolo fondamentale da svolgere. Almeno per insegnarci la resistenza e l'empatia, per offrirci gli strumenti per identificare le falsità, per allontanare le storie personali dall'epicentro del dolore, per generare una memoria che non sarà violata e, se possibile, per consolare.

Nessuna propaganda dovrebbe essere più forte del ricordo di un bambino che fugge dalla guerra con un numero di telefono scarabocchiato sul braccio.

Questo testo è la trascrizione del discorso tenuto durante l'evento Debates on Europe a Sofia, il 26 febbraio 2023. © Debates on Europe 2023
In collaborazione con Debates on Europe

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