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Il Lussemburgo: costruttori di ponti europei certamente, ma con un occhio ai propri interessi 

Uno dei paesi più piccoli dell’Ue, ma con un grande peso, economico (il Pil procapite è tre volte quello della media Ue) e politico. Quali sono i temi e le questioni in vista delle elezioni europee in Lussemburgo?

Pubblicato il 20 Maggio 2024 alle 16:12
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“In quanto piccolo paese, siamo costruttori di ponti, per natura”. Così Xavier Bettel ha recentemente riassunto il modo in cui il Lussemburgo si racconta quando si tratta di politica europea. Bettel ha dovuto lasciare la carica di capo del governo lussemburghese, che aveva ricoperto per dieci anni: nella sua nuova posizione di Ministro degli Affari Esteri continua a coltivare l'immagine del paese come appassionato sostenitore della solidarietà europea, e così facendo si sta anche posizionando in modo piuttosto aggressivo come candidato alla carica di Presidente del Consiglio dell'Ue.

Ciò che Bettel e altri politici lussemburghesi di alto livello dicono raramente, tuttavia, è che il paese ha tradizionalmente svolto un ruolo ambivalente all'interno dell'Ue. In molti settori il piccolo Granducato nel cuore dell'Europa è seriamente impegnato nel progresso dell'Ue. L'integrazione europea fa parte della ragion d'essere del paese e non è una questione politicamente controversa. Questo però non significa che il Lussemburgo non persegua una propria agenda a livello europeo.

La fiscalità è un'area politica chiave in cui l'eurofilia trasversale si rompe, ed è anche largamente assente dal dibattito pubblico. Dietro le quinte, i governi lussemburghesi difendono i propri interessi nazionali con discrezione, coerenza e, grazie al veto sulle questioni fiscali dell'Ue, spesso con successo. 

Come ha detto l'ex ministro degli Esteri Jean Asselborn in un'intervista per Reporter.lu: “Non siamo chierichetti. Anche noi abbiamo i nostri secondi fini”.

Non c'è quindi da stupirsi che la cattiva immagine del Lussemburgo come paradiso fiscale persista agli occhi di alcuni partner. Eppure, questo piccolo paese con un centro finanziario così grande è cambiato notevolmente, anche se non necessariamente per convinzione. Piuttosto, ha dovuto cedere alle pressioni internazionali (non da ultimo da parte dei suoi potenti vicini, Germania e Francia) per modificare alcune delle sue pratiche “aggressive di elusione fiscale”, come le definisce ancora la Commissione Ue.

Tuttavia, non c'è mai stato un ripensamento radicale. Il dinamismo economico del paese continua a dipendere dall'attrazione di ingenti quantità di capitali stranieri. L'industria dei fondi d'investimento è fiorente e oggi è seconda solo agli Stati Uniti per valore delle attività di investimento gestite.

Il turismo dei carburanti e del tabacco - sostenuto dal dumping fiscale - aggiunge miliardi di euro alle casse dello stato. Le famigerate società che nel paese hanno solo un indirizzo postale, continuano a essere politicamente tollerate. O, per citare ancora Jean Asselborn: “Essendo un paese piccolo non abbiamo spazio per molti edifici, ecco perché abbiamo così tante cassette delle lettere”.

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