Facciamo saltare i paradisi fiscali

La crisi cipriota ha attirato l'attenzione sullo statuto fiscale speciale dell'isola. In Europa non mancano altri esempi simili, dal Lussemburgo alle isole della Manica, ed è ora di regolamentarli.

Pubblicato il 28 Marzo 2013 alle 17:27

Perché si lascia colare a picco Cipro mentre gli altri paradisi fiscali – il Lussemburgo o le piccole isole britanniche come Man e Guernesey – se ne stanno così tranquilli? L’atteggiamento vittimistico di Cipro è davvero sconsiderato. Se in pratica nessuno va a ficcare il naso in quelle enclave è perché esse non chiedono ai loro partner europei di salvarle dal crack.

Il caso cipriota è davvero sconfortante. Fino al 2007 l’isola riscuoteva a malapena le imposte. Negli anni novanta, è a Cipro che Slobodan Milosevic era andato a nascondere gli 800 milioni di dollari che si era portato via dalle casse jugoslave. Sono le banche cipriote ad accogliere, riciclare e rimettere in circolazione i soldi sporchi in arrivo dalla Russia e nello specifico i capitali messi insieme grazie alla speculazione petrolifera.

Secondo la Cia, l’isola guadagna anche sulla tratta delle filippine e delle domenicane sfruttate a fini sessuali. Il grande porto di Limassol è la capitale delle imbarcazioni che eludono ogni normativa: le loro attività oscure approfittano della bandiera cipriota, che ormai assomiglia vagamente alla bandiera dei pirati.

L’elite finanziaria intrattiene, proprio come in Irlanda, relazioni incestuose con la destra politica: il ministro delle finanze Michalis Sarris, che è andato a chiedere agli amichetti di Mosca unguenti per le ferite delle banche, nel 2012 era presidente del consiglio d’amministrazione dell’istituzione finanziaria che sta vivendo la peggiore catastrofe, il gruppo Laiki.

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In realtà Cipro non è un paradiso fiscale, se si vuole dar retta alla definizione dell’Ocse. È vero che le imposte sono estremamente basse, condizione sine qua non per essere inseriti nella lista nera. Tuttavia l’isola non soddisfa gli altri due requisiti indispensabili: l’opacità totale e l’impossibilità per i paesi terzi di ottenere informazioni di natura fiscale.

Altri dettagli contribuiscono a rovinare l’immagine del paese. Il suo settore finanziario è di dimensioni considerevoli (gli attivi corrispondono a 7,1 volte il pil) – proprio come in Irlanda - pari al doppio della media europea (dove gli attivi raggiungono valori pari a 3,5 volte il pil), e della Spagna (3,1), ma solo un terzo rispetto al Lussemburgo (21,7). Pertanto Cipro non è un paradiso fiscale nel senso strettamente giuridico del termine, anche se non ne è poi distante, proprio come il Lussemburgo, e anche se entrambi non compaiano più nella lista grigia dell’Ocse.

Parliamo del Lussemburgo. Il granducato è il paese più ricco del mondo, grazie alle oltre 200 banche straniere presenti sul suo territorio e agli oltre tremila miliardi di euro di attivi finanziari extraterritoriali (sui ventimila miliardi esistenti al mondo) che beneficiano di un regime fiscale estremamente generoso.

Oggi per le aziende le cose non vanno più bene come prima, quando erano esenti da qualsiasi imposta e trattenuta. Dal 2007 alcune società di gestione dei patrimoni familiari (Spf) che non sono tenute a versare nulla sulle loro rendite, il loro patrimonio o l’iva, si vedono tuttavia prelevare qualcosa e imporre una tassa dello 0,25 per cento. Quello che si potrebbe definire un limbo fiscale.

Pericolo di veto

Forse un giorno il Lussemburgo, la Svizzera e le isole britanniche contrarranno la malattia cipriota. Questi territori già covano qualche malattia. Per evitare di chiedere ai contribuenti tedeschi o spagnoli di salvarli e per scongiurare la possibilità che i titolari di conti non garantiti paghino per porre rimedio agli errori, c’è una soluzione: far saltare in aria i limbi fiscali.

Per far questo bisogna varare una grande armonizzazione fiscale che completi la parte dedicata alle entrate nel Trattato fiscale, il cui obiettivo è il controllo delle spese. La strategia consiste dunque nell’armonizzare i tipi di imposta e le basi imponibili per ciò che concerne le tasse sul capitale, ma anche nel predisporre tranche più piccole per le imposte sul reddito, eliminando le eccezioni al versamento dell’iva, unificando verso l’alto l’imposta sulle società, tassando i beni accumulati nei limbi fiscali dalle società commerciali straniere e imponendo una tassa progressiva sulle transazioni finanziarie.

Queste trasformazioni non saranno facili. Nell’ambito dell’Ue, gli accordi fiscali necessitano dell’unanimità. Coloro che approfittano dei limbi fiscali e tutti i loro amici hanno diritto di veto. E per il momento, naturalmente, se ne servono. Cerchiamo allora di far saltare in aria anche questo potere di veto. Passate parola.

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