I funerali di Antoine Sollacaro a Propriano, 19 ottobre 2012

I tranquilli omicidi della Corsica

Ogni anno le bande criminali e i movimenti nazionalisti dell’isola uccidono decine di persone. Una strage che va avanti da sempre e a cui i corsi non fanno quasi più caso.

Pubblicato il 1 Novembre 2012 alle 13:40
I funerali di Antoine Sollacaro a Propriano, 19 ottobre 2012

A vegliare sui loro ultimi istanti non ci sono fiori né candele. Nei luoghi dove sono morti non ci sono gli altari improvvisati che costeggiano le strade della Corsica, sentinelle di plastica che conservano il ricordo degli automobilisti. Non ci sono le targhe che onorano i partigiani della resistenza contro Napoleone, e nessuna traccia degli ad memoriam per i militanti dell’Fnlc, i cui epitaffi di marmo assicurano che sono morti "per la nazione" anche se magari si sono ammazzati l’un l’altro. Sei anni fa veniva assassinato un parlamentare dell’Assemblea della Corsica, Robert Feliciaggi. Da allora i fantasmi che infestano Ajaccio aumentano a un ritmo vertiginoso. E la capitale amministrativa della Corsica ha sempre più il portamento di un cimitero.

Le strade della città imperiale sono diventate le ambientazioni di una serie di gialli in cui le vittime e gli assassini fanno tutti parte di una manciata di fazioni rivali che regnano sulla città e senza il controllo di un padrino. Ad Ajaccio si sta delineando una nuova geografia funebre, che si aggiunge a due ecatombi del passato: quella del 1995, quando durante la “guerra civile” tra nazionalisti rivali un omicidio veniva lavato nel giro di 24 ore con altro sangue, e quella ancora più sanguinaria di quarant’anni prima: la “guerra del Combinatie”, una nave carica di sigarette che si arenò nel golfo di Ajaccio e scatenò un'infinita lotta per il possesso del carico tra le bande corse e marsigliesi.

L’ultima spirale di morti, che non ha niente a che spartire con la sorte o con gli ideali, comincia invece nel parcheggio dell’aeroporto di Ajaccio. È lì che nel 2006 Robert Feliciaggi è stato freddato con due colpi alla testa davanti al portabagagli della sua Bmw, mentre stava sistemando la valigia. Uomo d’affari rotondo, gioviale ed elegante, Feliciaggi non era un criminale né un nazionalista, e nemmeno un padrino come alcuni suoi amici. È morto sotto un’insegna dell’autonoleggio Avis, ed è in quel punto che si è aperto questo strano periplo, questo gioco dell’oca mortale che per ora si è fermato in una stazione di servizio sulla strada per Sanguinaires, dove il 16 ottobre è stato ucciso l’avvocato Antoine Sollacaro.

Dal parcheggio dell’aeroporto dove è morto "Robert" - come lo chiamava tutta Ajaccio - la strada a 2 corsie che porta alla città vecchia vira a destra in direzione di Mezzavia, la zona commerciale. In poche decine di metri ci sono non meno di quattro luoghi del delitto. Jules Massa, guardia del corpo del defunto capo clandestino François Santoni, è stato freddato davanti alla scuola. Dall'altra parte della strada - tra un chiosco di pizza dove hanno ucciso il venditore mentre stava dietro la cassa e la facciata della camera dell’agricoltura dove nel 1990 il presidente Lucien Tirroloni è stato ammazzato da 25 proiettili calibro 9 durante le feste natalizie - c’è la targa in memoria del “dottor Lafay”. Il veterinario aveva fondato un’associazione per le vittime del terrorismo. Ferito da 3 pallottole del Flnc nel 1982, era stato invitato cinque anni più tardi a parlare di “violenza” in uno studio di France 3 Corse. Le immagini d’archivio mostrano il “dottor Simeoni”, uno degli eroi autonomisti di Aléria chiamato per il contraddittorio, mentre pratica la respirazione bocca a bocca a Lafay.

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“La violenza invade il paesaggio, modella le mentalità, plasma le società, alimenta le conversazioni, annerisce le colonne dei quotidiani, dissemina il panorama di rovine, inquina le strade”, scriveva il saggista corso Nicolas Giudici prima di essere assassinato nel 2001. In fondo a corso Napoleone si trova la famosa (fin troppo) rue du Général-Fiorella. Accanto al forno Kallisté-Bouffe, dove i gendarmi della caserma vicina si fermano a comprare i panini, c’è una delle rare targhe commemorative della città. È in quel punto esatto che il 6 febbraio del 1998 è stato "vigliaccamente assassinato” il prefetto Claude Erignac mentre si recava al teatro Kallisté. Nella vetrina del teatro, ormai adibito ad altri usi, non è cambiato niente: un manifesto comunica che nel paese di Sollacaro è in scena I fratelli corsi di Alexandre Dumas; un altro annuncia che l’orchestra d’Avignone suonerà la Sinfonia incompiuta di Schubert. Stanno lì da 14 anni.

La notizia di una “malamorte”, una morte violenta, comincia immancabilmente a circolare nei bar nel giro di pochi minuti, di solito ornata da un rosario di aforismi. “Meglio a lui che a me”, “Meglio fare il macellaio che il vitello”, “Meglio vedere i gendarmi che il curato”. A volte qualcuno allarga le braccia in segno di impotenza: “Se non sai perché è morto, lui di sicuro lo sa”. Per molti giorni l’omicidio resta l’unico argomento di conversazione, ma se per caso qualcuno si avvinca da un tavolo a fianco ecco che improvvisamente le parole diventano bisbigli impercettibili. Un uomo - chiedendo di mantenere l’anonimato anche se sono passati cinquant’anni - racconta che da bambino, dopo una granatina allo Sporting, ha sentito dei colpi di fucile e ha gridato: “hanno ammazzato François!”. “Mi ricordo ancora lo schiaffo che mi ha tirato mio padre”. Ad Ajaccio non si parla a voce alta di un omicidio. ”Soprattutto d’estate, quando tutte le finestre sono aperte”.

Nel migliore dei casi al morto viene intitolata una sala del palazzo di giustizia, come accaduto all’ex presidente del collegio forense Antoine Sollacaro, o un viale, come a Marie-Jeanne Bozzi, assassinata il 21 aprile 2011 in un parcheggio di Porticcio, il paese di cui era sindaco. Nel 1996, in fondo a corso Napoleone, davanti al mare e non lontano dalla prefettura regionale, il militante nazionalista Yves Manunta è sfuggito all’appuntamento con la morte: 99 pallottole non sono bastate a mandarlo al creatore. Nel novembre del 2011, a meno di cento metri di distanza, altri cinquanta proiettili hanno sibilato vicino alle sue orecchie. La moglie e la figlia di 10 anni sono rimaste ferite, e oggi vivono in regime di protezione.

Nel frattempo Manunta è diventato uno dei fondatori della Società mediterranea di sicurezza, terzo datore di lavoro dell’isola, che sorveglia gli aeroporti e i porti della Corsica e della Costa Azzurra. Poi ha litigato con il suo socio Antoine Nivaggioni. All’inizio dell’anno, con indosso il suo giubbotto antiproiettile davanti alla porta del bistrò dove a volte andava in motorino a prendere un po’ d’aria, Manunta aveva ancora voglia di scherzare: “Il mio nome è Survivor”. Il 9 luglio del 2012 alcuni sicari lo hanno raggiunto all’angolo della strada dove rifiutava di vivere recluso come un topo. “Davanti a quella curva siamo costretti a pensare a lui ogni giorno”, spiega un funzionario dell’Assemblea di Corsica, che vive a cento metri da lì.

Un po’ più in basso c’è il luogo dove ha trovato la morte anche Nivaggioni, il socio di Manunta. Era il 18 ottobre 2010. Ad Ajaccio tutti conoscevano “Antoine”, figlio del proprietario della Parisienne, una drogheria sul corso aperta fino a tardi. Quel giorno due uomini sono sbucati da un baule fissato al tetto di una macchina parcheggiata davanti al palazzo. Avevano fucili a pompa e mitragliatori. Nivaggioni non ha avuto scampo. “Almeno hanno provato a coprire i buchi”, sussurra un abitante della zona davanti ai segni dell’agguato sul muro del palazzo. Altri cerotti attaccati alla buona sulle stigmate di un omicidio che la città vorrebbe dimenticare.

Parte del patrimonio

“Ai morti ci pensi per qualche giorno, o per qualche settimana. Poi passa, come tutto il resto”, sospira un parrucchiere di rue Fesch, l’arteria commerciale della città dove il 29 gennaio 2009 è stato ucciso un membro di una delle bande di Ajaccio. “Come dire? Fa parte del nostro patrimonio”, prova a spiegare l’uomo. “Se costruissimo ogni volta una stele la città sarebbe un calvario”, gli fa eco un altro. Sono quasi le stesse parole utilizzate da Mérimée per parlare del “cimitero” in cui si trasformerebbe piazza Porta, a Sartène, se ci fosse una croce per ogni uomo che è stato ucciso lì.

Quando ad aprile Jean-Pierre Rossi, proprietario di un chiosco di kebab vicino al commissariato, è stato ucciso mentre buttava la spazzatura, tutti hanno capito subito che era morto al posto di qualcun altro. Dopo pochi minuti la città intera già mormorava il nome del vicino fortunato. Il venditore di sushi che lavora all’angolo della strada voleva esporre una targa per onorare il collega commerciante, ma la maggioranza dei residenti glielo ha impedito. Oggi la stele a memoria di Jean-Pierre Rossi è un cartello di un’agenzia immobiliare con su scritto “Vendesi”.

Al nome dei morti non è permesso vagare per le strade. “Non è vigliaccheria. È una forma di protezione, un modo di vivere e sopravvivere. Altrimenti come faremmo a entrare in un bar a braccetto di qualcuno che si è fatto diciotto anni di prigione?”, spiega un giornalista locale. La società corsa, aggiunge, è una società della menzogna. “L’isola ha soltanto una funzione scenografica, come nella letteratura francese del XIX secolo. Siamo rimasti gli ultimi a pensare che la Corsica sia un ambiente protetto. Viviamo in una sorta di Cinecittà senza figure umane. Di questo fiume di sangue non c’è alcuna traccia nella letteratura locale, e nemmeno nelle guide turistiche. “Avevo accarezzato l’idea di realizzare un libro fotografico sugli altarini disseminati per le strade dell’isola - confessa l’editore Jean-Jacques Colonna d’Istria - ma ho rinunciato. Ho capito che non era il caso.

Al mattino, nelle terrazze davanti al Golfo o su corso Napoleone, i vecchi ajacciani sfogliano le pagine di Corse-Matin. Poi, verso mezzogiorno, mandano i loro telegrammi di condoglianze: "Per forza, conosciamo tutti”. Ma quando gli chiedi di svelarti i i loro ricordi per mettere in fila i luoghi e i misteri di questo circolo mortale, ti arriva subito una risposta secca, con una punta di malizia. “Non ricordo niente, ormai. A volte per strada incontro persone che credevo morte. Da queste parti si muore spesso…”

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