Il dissenso è sviluppo

In mezza Europa la gente scende in strada per protestare contro l'austerity, le riforme e mille problemi locali. Secondo i pessimisti è un altro segno della crisi dell'occidente. Ma il confronto e la critica sono da sempre il sale della democrazia.

Pubblicato il 1 Novembre 2010 alle 15:27

Cosa succederà adesso? Scuole in fiamme in Francia, la ribellione di Stoccarda alla costruzione della nuova stazione e la guerriglia anti-immondizia a Napoli. La battaglia del Castorf, il contenitore di scorie radioattive, è già alle porte. Ci manca solo che gli imperturbabili britannici facciano le barricate contro l'austerity, o che i greci appicchino il fuoco alle fabbriche di feta. Ma la democrazia è arrivata veramente all'atto finale, come si affrettano a dichiarare diversi commentatori? Non si ha neanche il diritto di dire basta ai megaprogetti di sviluppo? O meglio: non sarebbe ora di imparare qualcosa dal modello cinese, che John Naisbitt nel suo recente libro Megatrend Asien ha definito una “democrazia verticale”?

Dimentichiamo in fretta. Quando ero giovane, nei selvaggi anni settanta, le cose andavano diversamente in Europa. Allora protestare in dittature come quella spagnola, greca o portoghese significava rischiare la vita. In Francia alcuni sono morti lottando contro l'energia atomica. A Berlino, Francoforte ed Amburgo quasi ogni settimana i vetri delle finestre finivano in frantumi. In molti aspetti la società era ben più divisa di oggi. Nella mia città, a Francoforte, in quegli anni c'erano ottomila senzatetto accampati agli angoli delle strade. Chi ha vissuto l'“autunno tedesco” sa perfettamente in che cultura del consenso viviamo oggi.

La cultura politica si modifica solo con il conflitto. Quello che ha imparato la mia generazione – la generazione ribelle – si sta confermando ancora una volta. Nel corso degli anni ottanta dal vandalismo ecologico è nata una nuova cittadinanza “verde”. Il movimento militante femminista ha portato a una nuova declinazione del rapporto uomo-donna. Quando è caduto il muro, molti in Germania occidentale hanno avuto paura che le nuove conquiste di una società incredibilmente tollerante sarebbero state sacrificate a un rozzo revisionismo. Invece i tedeschi – insieme a tanti problemi – hanno scoperto una nuova leggerezza.

Imparare lottando

Mark Twain ha scritto che la storia non si ripete, ma rima. Chi si oppone al volere della società, come nel caso del consenso raccolto dal movimento anti-atomico, non si deve meravigliare se riaffiorano vecchie ferite. Se oscillano le maggioranze, è segno che la democrazia ancora funziona. La società tedesca non è minata dalla rabbia dei cittadini, come sostengono i discepoli di Oswald Spengler [autore de Il tramonto dell'Occidente]. A Stoccarda è mancato l'abc della democrazia. Le elite locali hanno ripreso il vecchio modello tedesco degli anni sessanta, e hanno dato del parassita e del disfattista a chiunque sollevasse obiezioni.

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Chi vuole vedere la democrazia del futuro deve guardare alla Svizzera. Lì le decisioni politiche hanno vita più lunga. Spesso è il popolo a scegliere grazie alla democrazia diretta. Certo, le difficoltà non mancano, ma le scelte si possono riesaminare. E lì si costruisce il tunnel più lungo del mondo col consenso dei cittadini, rispettando obiettivi accordati precedentemente. Il tunnel è stato programmato con dodici anni di anticipo ed è costato esattamente quanto previsto. Questo è l'“artigianato” della vera democrazia dei cittadini. Richiede fiducia, pazienza e devozione: cose che a quanto pare si apprendono solo lottando. (traduzione di Nicola Vincenzoni)

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