Nowshera, nel nord ovest del Pakistan.

Il problema con il Pakistan

A tre settimane dalle catastrofiche inondazioni, l'Europa tarda ancora a reagire. Pregiudizi e lassismo sono una spiegazione, ma non una giustificazione.

Pubblicato il 19 Agosto 2010 alle 15:34
Nowshera, nel nord ovest del Pakistan.

Dieci giorni dopo il terremoto ad Haiti, a gennaio, gli aiuti promessi ammontavano già a un miliardo di dollari. In occasione del terremoto del 2005 in Pakistan quasi 300 milioni di dollari erano stati raccolti in pochi giorni. Anche lo tsunami del 2005 aveva suscitato uno slancio di solidarietà senza eguali. Nonostante i venti milioni di sfollati, invece, le inondazioni in Pakistan non sembrano commuovere i governi né i cittadini europei, che esitano ad aprire i cordoni della borsa, come osserva il diagramma pubblicato dal Guardian.

Sono passate quasi tre settimane dall'inizio della catastrofe e "finalmente l'Onu e alcuni donatori internazionali si rendono conto della portata del disastro", osserva il quotidiano pachistano The Nation, per il quale "mentre alcuni paesi come gli Stati Uniti danno grande risalto ai loro sforzi e gli alleati tradizionali del Pakistan (Arabia Saudita, Cina e Iran) forniscono in silenzio l'aiuto che possono, l'Ue si mostra decisamente poco generosa".

"Molti pachistani si stupiscono della reazione dell'occidente", scrive lo storico pachistano Tariq Ali sulla Süddeutsche Zeitung. "Alcuni spiegano che il loro paese è considerato come un rifugio per i terroristi e di conseguenza l'Europa e gli Stati Uniti non vogliono finanziarlo. La situazione in realtà è un po' più complicata e il problema non è causato solo dal Pakistan. In realtà l'aiuto internazionale è così ridotto perché dopo l'11 settembre l'Europa e parte del Nord America sono sempre più influenzati da un forte sentimento anti-islamico".

In un recente sondaggio, alla domanda "che cosa le evoca la parola islam?", più della metà degli intervistati ha risposto "il terrorismo". "Questo studio", continua Tariq Ali, "è stato condotto in Gran Bretagna, ma anche i francesi, i tedeschi, gli olandesi e i danesi pensano la stessa cosa. Il Pakistan è sott'acqua e il resto del mondo non se ne interessa. E molti pachistani preferiscono non dare il loro denaro per paura che finisca nelle mani di dirigenti corrotti".

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"Per anni il Pakistan ha fatto di tutto per crearsi una cattiva reputazione internazionale", gli risponde il Jyllands Posten, secondo il quale il paese "è considerato come il posto più pericoloso del mondo, una potenza nucleare con un esercito che non vuole o non può confrontarsi con i talebani e con Al Qaeda, e con dei servizi segreti che li sostengono". Tuttavia "il Pakistan in questo momento ha bisogno di un grande aiuto di massa", ribadisce il quotidiano danese.

"Le attività umanitarie sono influenzate dalla discriminazione religiosa?", si chiede Libération, per la quale l'aiuto proveniente dalle organizzazioni islamiche è decisamente superiore a quello delle altre ong. Niente affatto, replica De Volkskrant sulle cui pagine due rappresentanti di ong affermano che "in caso di catastrofe come quella in Pakistan, le organizzazioni umanitarie si sono attivate fin dal primo giorno e hanno sbloccato direttamente dei capitali provenienti dai loro fondi di primo intervento".

Al contrario di quello che affermano molti commentatori, "la situazione politica non è un fattore determinante per il fallimento o la riuscita di una raccolta di fondi", spiega su Trouw un professore dell'università Vu di Amsterdam. "I doni dipendono soprattutto dalle immagini, che devono essere commoventi e pubblicate per un arco di tempo abbastanza lungo. Inoltre le informazioni sulla catastrofe devono essere trattate in modo prioritario dai media".

Per questo Libération esorta gli operatori dell'informazione a "a dare molto spazio" alla catastrofe. "La mancanza di immagini e l'assenza di reportage commoventi hanno prosciugato la fonte di generosità dell'opinione pubblica", analizza il quotidiano, che ricorda "una legge elementare: la giustizia presuppone la ragione, ma la carità è fondata sull'emozione. Senza di essa non ci sono iniziative né solidarietà".

Dopo essersi fatti attendere, gli aiuti europei cominciano finalmente ad arrivare. Mentre la Francia chiedeva la creazione di una forza di pronto intervento per le emergenze, il commissario per l'aiuto umanitario Kristallina Georgieva ha annunciato la volontà di proporre "ben presto" una nuova politica dell'Ue per affrontare questo tipo di emergenze, riferisce EUobserver. Pressata da tutte le parti, l'Ue ha portato a 115 milioni di euro (sui 460 milioni di fondi di emergenza che l'Onu reclama) l'ammontare del suo aiuto e pensa di organizzare una conferenza internazionale di donatori in ottobre, spiega la Suddeutsche Zeitung.

"Gli europei hanno avuto infine il coraggio di far passare la sofferenza inimmaginabile delle vittime prima dell'immagine negativa del Pakistan in occidente", scrive a questo proposito il quotidiano di Monaco. La posta in gioco è grande, osserva il quotidiano: "chi sosterrà finanziariamente la ricostruzione del paese nel lungo periodo non si limiterà ad alleviare le sofferenze delle vittime, ma contribuirà anche a ristabilire la pace nella regione". Tuttavia questo richiederà un impegno finanziario più importante: "i paesi occidentali che hanno salvato le loro banche distribuendo centinaia di milioni dovranno fare uno sforzo ulteriore per contribuire alla stabilità del Pakistan".

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