Alla festa di Ganesh a Parigi, agosto 2011

Il tramonto del multiculturalismo

La tolleranza verso le culture diverse era un pilastro della civiltà europea, ma sta rapidamente perdendo consensi. Per andare d'accordo con gli altri è necessario avere prima di tutto un buon rapporto con sé stessi.

Pubblicato il 26 Luglio 2013 alle 12:37
Mister_Jack  | Alla festa di Ganesh a Parigi, agosto 2011

Dagli anni settanta in poi il multiculturalismo è stato non solo una realtà in paesi come gli Stati Uniti, ma anche una regola. Era dunque necessario sostenerlo tramite la promozione della diversità, che non mancava di un suo fascino. Ma era anche necessario rispettarlo, in quanto era espressione delle “identità” diverse di diversi gruppi sociali, in particolare nazionali e tribali, ma anche sessuali e generazionali.

A un certo punto il numero delle pubblicazioni e delle conferenze sul Multikulti ha superato tutti i limiti del ragionevole e numerose persone (me compreso) hanno iniziato a ironizzare su questa nuova moda. O per meglio dire questa ossessione.

Premesso ciò, ci si rende conto adesso che un multiculturalismo misurato era di gran lunga migliore dei due fenomeni ai quali ci troviamo di fronte di questi tempi. La prima tendenza è quella di sostituire il multiculturalismo con un’accettazione incondizionata di tutti i fenomeni culturali, a prescindere da quali siano la loro origine, il loro contesto politico, religioso, sociale o spirituale. In altri termini i romanzi scandinavi, i film iraniani, la musica indiana, la medicina orientale sono tutti altrettanto validi. “Tutti altrettanto validi” significa quindi che siamo privi di una scala di valori relativi alla nostra cultura (europea), e quindi tutto ciò che è buono è buono, anche se ne ignoriamo il perché.

La seconda minaccia al multiculturalismo è il monoculturalismo, strettamente associato alle idee nazionaliste, sprovvedute dal punto di vista intellettuale ma straordinariamente in espansione. Per taluni aspetti il multiculturalismo è emerso giustamente in contrapposizione al monoculturalismo. Ma il nazionalismo non è l’unico nemico del multiculturalismo. L’ostilità nei confronti delle altre culture e civiltà è sempre più evidente nelle inchieste condotte all’interno delle comunità di immigrati dei diversi paesi europei. Come pure nelle parole, talvolta anche ufficiali, dei leader di alcuni paesi musulmani.

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La grande qualità dell’idea di multiculturalismo, in buona parte sottovalutata durante i suoi tempi gloriosi, era la consapevolezza dell’esistenza di una moltitudine di culture e delle loro differenze. Alcuni spingono l’analisi un po’ oltre, sostenendo che queste culture diversificate non erano soltanto diverse, ma anche del tutto equivalenti, o anche altrettanto preziose.

Senza voler difendere qualsiasi principio eurocentrista, riconosciamo tuttavia che l’esistenza di numerose culture e l’accettazione stessa di questa esistenza non preclude il fatto che la nostra cultura ci sia ovviamente più vicina. O quanto meno dovrebbe esserlo. [[Ciascuna cultura rappresenta o promette valori specifici]], ai quali non possiamo aderire semplicemente in quanto occidentali. Per esempio la legislazione riguardante la donna in alcuni paesi musulmani o alcune pratiche culinarie consistenti nel mangiare, in alcuni paesi dell’Estremo oriente, i nostri cari animali da compagnia.

La cosa interessante è che il post-multiculturalismo si sviluppa sempre più nelle società che devono affrontare problematiche molto difficili, e talvolta ancora irrisolte, riconducibili alla diversità culturale. Sto parlando, prima di tutto, degli immigrati che, benché lavorino e siano indispensabili, non hanno alcuna intenzione di prendere parte alla cultura o alla politica dei paesi nei quali risiedono. Questo crea un problema reale, non soltanto perché si devono loro le medesime prestazioni che si assicurano al resto della società (educazione e sanità), ma anche perché nessuno dispone degli strumenti necessari alla loro integrazione nella comunità, così che abbiano gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini.

Questo fenomeno è particolarmente evidente nei Paesi Bassi, ma anche in Germania e in Francia. La sperimentazione, attuata da alcuni paesi, di forme diverse di imposizioni soft (come l’apprendimento della storia del paese che li accoglie) non convince fino in fondo, neanche per la sua efficacia.

Dopo tutto alcuni immigrati, in particolare i musulmani, arrivano da paesi che incoraggiano apertamente una posizione anti-occidentale. In che modo potrebbero dunque trasformarsi improvvisamente in uomini e donne occidentali? Perché all’improvviso dovrebbero diventare occidentali? Possiamo permetterci la presenza di milioni di loro? Nessuno in Europa osa rispondere chiaramente a questi interrogativi, e i pochi che lo fanno sono immediatamente – e giustamente – respinti come radicali, o perfino accusati di razzismo o di fascismo.

Scontro di civiltà

Se, come sostiene Samuel Huntington con il suo “scontro di civiltà”, le differenze culturali sono un dato di fatto e possono trasformarsi in ostilità incondizionata, qual è il senso del multiculturalismo e perfino della tolleranza? Dovremmo forse considerare i nostri potenziali nemici come concittadini, se non come fratelli? Non sarebbe meglio far ritorno alle nostre radici, ai nostri miti, ai nostri simboli, alle nostre tradizioni nemmeno più europee, ma nazionali?

Ben presto, tuttavia, ci si rende conto che non ci si può appigliare a nulla. Anche se si vanno affermando le opere culturali di territori europei fino a poco tempo fa poco conosciuti, per esempio i thriller svedesi, questo ritorno alla tradizione serve soltanto a esplorare la collaborazione degli svedesi con la Germania nazista. La verità è che le parole piene di orgoglio sulle radici europee sono in genere prive di significato.

La psicologia moderna dimostra che non è possibile trovare consenso con gli altri se non si è a nostro agio con noi stessi. Il post-multiculturalismo nasce dal fatto che in Europa non siamo a nostro agio con noi stessi e che non sappiamo come affrontare questo disagio.

Alcuni metodi utilizzati un tempo appaiono poco applicabili: né la divisione del mondo tra “noi” e “gli altri, i barbari”, né il fascino dell’Illuminismo per i “rossi e i neri”, come pure le meraviglie della natura e il fardello imperialista dell’ “uomo bianco”.

Il multiculturalismo è stato l’ultimo tentativo ragionevole, per quanto talvolta esagerato, di risolvere questo disagio. Oggi la situazione è molto più grave: o decidiamo che gli altri non esistono, oppure è necessario sbarrare loro il passo, fisicamente e spiritualmente. E ciò non può che condurci al disastro.

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