Brown, Clegg o Cameron? In un pub di Londra.

In cerca di un futuro

Le incertezze dell'economia, la "società spezzata" e la politica del sentimentalismo. Quali che siano i risultati delle elezioni, la crisi che investe la Gran Bretagna ha già innescato profondi cambiamenti. 

Pubblicato il 6 Maggio 2010
Brown, Clegg o Cameron? In un pub di Londra.

La Gran Bretagna, il paese del modello imprenditoriale liberale che ospita il principale centro finanziario d'Europa, la City di Londra, e un numero record di miliardari, è allo stremo. Secondo alcuni è il grande malato d'Europa. Con il suo deficit di 180 miliardi di sterline, Londra non ha interesse a mostrarsi troppo critica di fronte alla crisi greca. Lo stato va male e la gente non va molto meglio. L'indebitamento è il doppio di quello francese.

Molte associazioni denunciano l'aumento delle aggressioni a mano armata, il fenomeno dell'alcolismo tra le donne e una tale insicurezza nelle scuole che è necessario installare i metal detector. Le inchieste sociologiche mettono in evidenza una nuova categoria sociale: i Neet (Not in Education, Employment or Training - né studenti, né lavoratori né in formazione). Una categoria che sembra godere ottima salute.

La Gran Bretagna sta vivendo una vera "recessione sociale"? L'Economist ha esaminato il fenomeno e ha dimostrato, cifre e grafici alla mano, che la criminalità è in calo, così come il numero di madri minorenni (anche se resta il più elevato d'Europa). Anche il consumo di alcol e di droga va diminuendo, sebbene in modo marginale. Tuttavia l'opinione pubblica conserva un'immagine molto negativa del paese. Nel 1997, in occasione dell'arrivo al potere del Partito laburista, il 40 per cento dei britannici riteneva che fosse sempre meno piacevole vivere nel loro paese; con Gordon Brown primo ministro, anche prima della crisi, questa percentuale era passata al 67 per cento.

L'era del sentimentalismo

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L'anno scorso la popolarità di Brown è caduta così in basso che era convinzione diffusa che se i conservatori non avessero vinto adesso, non avrebbero vinto mai più. Ma il loro leader, David Cameron, con la sua "broken society" ["società spezzata"] si è tirato la zappa sui piedi, perché anche se la diagnosi è esatta, adesso si pone il problema delle proposte concrete da opporre a questa grave malattia. Con un deficit record, si possono promettere solo lacrime e sangue. Non c'è altra scelta che ridurre le spese (ormai gli stessi partiti politici devono riconoscerlo), e aumentare le tasse (cosa che cercano invece di passare sotto silenzio).

La campagna elettorale fa però ricorso ad altre emozioni. Per individuarle si può cominciare a ricordare la reazione isterica di gran parte degli inglesi alla morte della principessa Diana nel 1997. Era la "regina dei cuori", ma era guardata con diffidenza dall'establishment politico, che in lei non vedeva né la classe né la maturità richiesta a una futura regina. I giornali scandalistici hanno preso molto male la pubblicazione del saggio di Anthony O'Hear, professore di filosofia e presidente del Royal Institute of Philosophy, La sentimentalizzazione della società moderna. Secondo l'autore il lutto universale aveva rivelato "un gusto insaziabile per un sentimentalismo che chiude gli occhi sulla realtà, in tutti gli aspetti della nostra esistenza".

Ma in che modo questo influisce sulle elezioni politiche di oggi? I dibattiti televisivi dei candidati hanno introdotto un elemento nuovo, la reazione spontanea e il riferimento al sentimento. Questi dibattiti non esistevano prima. Non si tratta solo di copiare dei modelli politici stranieri, ma di qualcosa di più importante che riguarda la natura stessa del sistema politico.

La fine del bipolarismo

I britannici sono ossessionati dalla formazione di un governo efficiente. Hanno paura dell'"hung parliament", letteralmente "parlamento sospeso", e delle coalizioni che possono rivelarsi necessarie. La tradizione britannica vuole che il governo sia direttamente responsabile davanti agli elettori. In caso di una coalizione non è il popolo che affida il potere a un gruppo politico particolare, ma i partiti che si mettono d'accordo tra loro alle spalle degli elettori, spiega George Jones, ex professore di sistemi politici alla London School of Economics.

Recentemente il sistema è stato trasformato dall'affermazione di un terzo partito, quello dei liberal-democratici. Il motivo di questo cambiamento? La maggior parte dei britannici ha visto per la prima volta il loro leader Nick Clegg in televisione. In passato in Gran Bretagna si riteneva che il voto avesse un carattere classista: se eri povero votavi per i laburisti, se eri ricco per i conservatori. Oggi queste considerazioni sono state abbandonate, la gente si è fusa in una grande classe media, è più uniforme, non considera più i partiti in base a una divisione di classi.

È risaputo che il sistema di scrutinio uninominale a un solo turno sfavorisce i liberal-democratici. Clegg potrebbe quindi chiedere la riforma del sistema come condizione per la sua partecipazione a un governo di coalizione. I conservatori sicuramente si opporranno. Il Partito laburista esiterà. Ma non importa, l'impressione è che in Gran Bretagna il modello politico bipolare sia ormai finito. (adr)

Opinione

Un’elezione cruciale

"Il giorno delle elezioni generali è sempre un momento di celebrazione della democrazia" scrive il Times. "Negli ultimi trent'anni il risultato è stato in bilico solo due volte. Sono occasioni in cui sembra che un cambio di rotta sia possibile. Giorni di liberazione. Oggi, però, è diverso. L'umore è tetro. Oggi esercitiamo il nostro diritto democratico, ma lo facciamo con l'amaro in bocca e le spalle curve sotto il peso della responsabilità. Oggi, 6 maggio 2010, non è più sicuro che la Gran Bretagna resterà una grande potenza, una società armoniosa e abbastanza prospera da garantire ai suoi cittadini libertà e giustizia". In queste elezioni è dunque in gioco "il destino del paese", titola il Times, che pubblica una vignetta di Peter Brooks che mostra Gordon Brown mentre tenta di capovolgere con uno specchio la curva in discesa dell'economia del paese. "Queste elezioni decideranno il futuro della Gran Bretagna".

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