Intervista Geopolitica e migrazioni

Kelly Greenhill: “La strumentalizzazione delle migrazioni è diventata molto più visibile”

Nel corso degli ultimi anni l’invio di migranti per influenzare la politica dei paesi limitrofi è diventato uno strumento di comune utilizzo: non si tratta però di una tattica nuova, né di una prerogativa dei governi autoritari. Ne parliamo con la professoressa e politologa statunitense Kelly Greenhill, autrice di “Armi di migrazione di massa”.

Pubblicato il 7 Novembre 2024
Kelly Greenhill

Kelly M. Greenhill è una politologa con incarichi congiunti alla Tufts University e al Massachusetts Institute of Technology (Mit), nonché Senior Fellow presso il Niskanen Center di Washington, DC. Greenhill  si occupa anche di geopolitica della migrazione forzata, in collaborazione con la Gerda Henkel Foundation. Il suo libro Armi di migrazione di massa. Deportazione, coercizione e politica estera (LEG Edizioni, 2017; in versione originale inglese Weapons of Mass Migration, 2016) ha influenzato profondamente la ricerca sulla strumentalizzazione della migrazione. 

Voxeurop: Nel suo libro utilizza il concetto di strumentalizzazione della migrazione – “Weaponisation of migration”, in inglese. Come possiamo definirlo?

Kelly Greenhill: Un’"arma" è uno strumento utilizzato da attori statali e non statali per attaccare, difendere o dissuadere, al fine di raggiungere obiettivi politici, economici e militari. Per estensione, quindi, la strumentalizzazione della migrazione si riferisce a situazioni in cui governi o attori non statali innescano, ostacolano o manipolano deliberatamente i flussi di popolazione – in entrata o in uscita – o minacciano di farlo, per raggiungere obiettivi politici, economici e/o militari.

Identifico quattro tipologie analoghe di migrazione strumentalizzata (o “strategicamente ingegnerizzata”), distinte in base agli obiettivi che si prefiggono.

Nel caso della migrazione ingegnerizzata “esportativa”, l’obiettivo è quello di rafforzare la posizione politica interna di un governo, sia espellendo dissidenti, sia cercando di disorientare, umiliare o destabilizzare altri governi. A questo probabilmente ambiva Aljaksandr Lukašenka quando alla fine del 2021 ha attirato in Bielorussia migranti e richiedenti asilo da Iraq, Afghanistan e altri paesi, per poi trasferirli al confine con l'Ue, incoraggiandoli a oltrepassarlo e provocando così un grattacapo politico e umanitario per gli stati vicini e per l’Unione nel suo insieme.

Le migrazioni così militarizzate vengono impiegate durante i conflitti per ottenere un vantaggio militare nei confronti del nemico, sfruttando gli spostamenti di popolazioni per intralciare o paralizzare le capacità di comando, controllo e movimento o la catena di approvvigionamento dell’avversario, oppure per rimpolpare i ranghi degli eserciti, obbligando i rifugiati al servizio militare. Si tratta di una tattica comune nelle campagne di insurrezione e controinsurrezione: tutti i partecipanti alla guerra civile siriana, ad esempio, hanno impiegato questo tipo di “strumentalizzazione”.

Nel caso della migrazione ingegnerizzata “espropriativa”, l’obiettivo è la conquista dei territori o possedimenti degli sfollati, se non addirittura l’eliminazione degli sfollati stessi, in quanto minaccia al dominio del gruppo che “strumentalizza”. Questa categoria include anche ciò che viene spesso definito pulizia etnica: un fenomeno diffuso nelle guerre balcaniche degli anni ’90 a seguito dello sfaldamento della Jugoslavia e che, sebbene ne parlino in pochi, avviene oggi in Sudan.

Infine, nel caso della migrazione ingegnerizzata “coercitiva”, gli spostamenti delle popolazioni vengono innescati, ostacolati o manipolati per ottenere concessioni politiche, militari e/o economiche dagli stati bersaglio. Un esempio di questa forma di coercizione la troviamo nel caso del leader libico Gheddafi, quando ha minacciato di inondare l’Europa di migranti se non gli fossero stati garantiti miliardi di euro in aiuti, la rimozione delle sanzioni e altre concessioni. In modo simile, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha minacciato più volte di inviare in Europa rifugiati (per lo più siriani) e altri migranti; uno di questi episodi è culminato nel contestato accordo Ue-Turchia del 2016.

La strumentalizzazione dei migranti non è nuova. 

È un espediente antichissimo. Sappiamo, ad esempio, che la migrazione ingegnerizzata è stata una strategia usata di frequente nell’Impero Assiro dell'VIII e VII secolo a.C. È una tattica antica. 

 Qual è il profilo dei governi che utilizzano questi metodi?

Non esiste un’unica tipologia di attore o stato che si avvale di questo strumento. La strumentalizzazione della migrazione è stata impiegata da stati deboli e forti, democratici e autocratici. Molto dipende dagli obiettivi specifici dei soggetti coinvolti e dalla percezione di vantaggi e svantaggi nell’utilizzo di diversi strumenti, tra cui la strumentalizzazione della migrazione, la forza militare, ecc. In generale gli stati democratici sono molto meno propensi a utilizzare questo strumento rispetto alle controparti illiberali.

Quali sono gli obiettivi di questi governi?

Gli obiettivi di chi si serve di questa strategia sono molto vari. Anche considerando un singolo movente, come quello di ottenere concessioni dagli stati bersaglio di queste migrazioni, le finalità specifiche sono molto diverse, spaziando da semplici richieste di assistenza finanziaria a complesse domande di intervento militare o assistenza per ottenere cambi di regime.


Per le democrazie liberali avanzate pagare altri per tenere a distanza le persone migranti può comportare un elevato costo politico e morale


Negli anni, l'Ue ha concluso numerosi accordi con paesi terzi per gestire la migrazione. È possibile che questi accordi incoraggino un aumento della migrazione forzata?

Sì, il tentativo di esternalizzare la gestione della migrazione può essere un'arma a doppio taglio. Concludere accordi consente ai [paesi che esternalizzano la gestione della migrazione] di evitare concessioni e può ridurre [il numero di migranti] rispetto a [quanto] sarebbe altrimenti, riducendo così [la visibilità] della migrazione irregolare nella politica interna. Tuttavia, i paesi che invece "immagazzinano" migranti, spesso diventano essi stessi strumentalizzatori. Quindi, una soluzione a breve termine può generare problemi a lungo termine, poiché va creandosi un nuovo e più grande bacino di potenziali strumentalizzatori e gruppi di persone da trasformare in armi.

Inoltre, per le democrazie liberali avanzate pagare altri per tenere a distanza le persone migranti può comportare un elevato costo politico e morale. Contravvenire agli obblighi umanitari e giuridici può rafforzare le posizioni contrarie all’immigrazione e minare ulteriormente i valori che gli stati liberali sostengono di voler difendere. Inoltre, quando un paese agisce in questo modo, spesso incoraggia altri a seguirne l’esempio, innescando una catena di misure illiberali contro la migrazione. In definitiva, le gare al ribasso e lo scarico di responsabilità raramente riducono la vulnerabilità nel lungo termine; semplicemente si ignorano i problemi, mentre questi ultimi si fanno sempre più gravi.

Quando pensiamo alla strumentalizzazione della migrazione in Europa, spesso immaginiamo paesi terzi che fanno pressione su paesi europei. Succede anche il contrario?

Certamente. Abbiamo assistito a numerosi casi in cui paesi europei hanno utilizzato la migrazione per fare pressione su altri paesi Ue. I paesi europei possono esercitare pressione, e lo hanno fatto, anche su paesi al di fuori del contesto europeo. Un esempio l’abbiamo avuto tra Francia e Italia all’indomani delle Primavere arabe riguardo ai rifugiati provenienti dal Medio oriente e dal Nord Africa. 

Tuttavia, in Europa, uno strumento più diffuso per la gestione delle migrazioni a livello continentale è quello di offrire preventivamente accordi a paesi terzi per dissuaderli dal praticare questo tipo di strumentalizzazione. Talvolta queste mosse hanno successo; altre volte incentivano i paesi partner ad aumentare le loro richieste per ottenere accordi migliori. Indipendentemente da chi stia esercitando pressioni su chi, però, i costi per le persone migranti sono importanti.

Lei parla di "strumentalizzazione della strumentalizzazione". Di cosa si tratta? Quanto può essere pericolosa?

Negli ultimi anni la strumentalizzazione delle migrazioni è diventata molto più visibile rispetto al passato, in particolare nella sua variante coercitiva. Sembra essere aumentato infatti il numero di governi pronti a utilizzare pubblicamente questa tattica, anziché in privato, minacciando direttamente i funzionari governativi. È aumentato anche il numero di paesi bersaglio pronti a riconoscere pubblicamente di essere vittime di ricatti da parte di alleati e avversari. Un cambiamento sostanziale rispetto ai decenni scorsi.

La crescente trasparenza presenta vantaggi e svantaggi. Da un lato, rende le richieste dei “coercitori” più credibili, il che potrebbe spingere i governi bersaglio a intraprendere negoziati preventivi in fase pre-crisi, una misura che può essere preziosa per prevenire il concretizzarsi di crisi umanitarie e politiche di vasta portata. Dall'altro lato, tuttavia, le affermazioni politicamente opportunistiche secondo cui gli avversari sarebbero impegnati nella strumentalizzazione delle migrazioni — ciò che io definisco una sorta di "strumentalizzazione della strumentalizzazione delle migrazioni" — possono servire come copertura politica per l'adozione di politiche migratorie illiberali e potenzialmente illegali, nonché giustificare una serie di misure che altrimenti susciterebbero maggiori opposizioni. Ciò significa che talvolta i politici giocano la carta della "protezione dalla strumentalizzazione delle migrazioni" per promuovere politiche restrittive o per distogliere l'attenzione da comportamenti potenzialmente illegali legati all'interdizione.

In pratica, sia le affermazioni reali sia quelle potenzialmente infondate riguardo alla strumentalizzazione delle migrazioni possono essere impiegate strategicamente a favore di altre regolamentazioni e altri obiettivi politici. Tali mosse rischiano di indebolire ulteriormente il regime globale dei rifugiati e gli standard umanitari universali che tale regime ha cercato di stabilire e sancire.

Inoltre, la "strumentalizzazione della strumentalizzazione" può essere ulteriormente sfruttata da rivali esterni e competitori strategici, che potrebbero approfittare del terreno politico, ormai predisposto alla diffusione di voci dannose e altre forme di disinformazione, con l’obiettivo di minare ulteriormente la fiducia nelle istituzioni interne e nella capacità dei governi nazionali di proteggere le loro popolazioni e garantire la sicurezza delle frontiere. Tutto ciò con gravi implicazioni per la sicurezza nazionale.

🤝 Questo articolo fa parte del progetto collaborativo Come Together

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