La crisi vota contro Sarkozy

Come previsto il primo turno delle presidenziali è stato un referendum sul presidente uscente. Il voto di protesta ha favorito soprattutto la destra di Marine Le Pen. Per Hollande non è ancora fatta.

Pubblicato il 23 Aprile 2012 alle 14:12

È stata la crisi a caratterizzare il voto di domenica, e la crisi si è espressa in massa. I francesi, si potrà affermare, non hanno ceduto al disincanto democratico. Domenica 22 aprile si sono recati alle urne in grandissimo numero. La scarsa affluenza alle urne registrata in occasione delle consultazioni degli ultimi anni (elezioni europee o locali) durante il mandato che sta per concludersi non si è ripetuta.

Le elezioni presidenziali confermano, invece, il loro status di “consultazioni più importanti” del nostro sistema istituzionale. Senza dubbio, è anche la conseguenza e l’espressione migliore di quel processo di “presidenzializzazione” della nostra forma di governo politico, già favorita dall’adozione del mandato quinquennale e dall’abbinamento di legislative e presidenziali. Tale operazione è uscita ancor più rafforzata dalla concentrazione del potere messa in atto dall’iperattivo Nicolas Sarkozy nel corso del suo mandato.

Se i francesi si sono recati in gran numero alle urne, è stato sicuramente più per esprimere lo smarrimento della crisi che tende all’esasperazione che per manifestare entusiasmo per i programmi proposti. L’inquilino dell’Eliseo temeva che il primo round di questa consultazione assumesse il significato di un referendum anti-Sarkozy. Ciò che di fatto è stato: il presidente uscente non ha ritrovato il consenso dei suoi elettori del 2007.

Come i popoli del mondo arabo, i francesi vogliono mandare a casa il loro capo di stato, con modi garbati e allo stesso tempo risoluti. “Sortez les sortants” (fate uscire gli uscenti): nel corso degli ultimi anni la crisi ha motivato e diffuso lo slogan nella maggior parte dei paesi europei.

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I francesi hanno lanciato il loro messaggio anchecon i voti dati a Marine Le Pen. La performance storica della candidata del Front National (che ha ottenuto oltre il 18 per cento dei voti) è stata sicuramente l’evento più importante di questa domenica elettorale. Il partito di estrema destra ha varcato dunque una nuova soglia. Con la sua personalità, il suo stile, le sue parole, la figlia del fondatore del FN è riuscita nell’operazione di contrastare lo stigma di cui era stato fatto oggetto il suo partito, operazione da lei intrapresa da parecchi anni.

Marine Le Pen ha saputo destreggiarsi meglio di Jean-Luc Mélenchon tra le preoccupazioni degli strati popolari più colpiti dalla crisi e trarre beneficio da un voto di protesta alla ricerca di un segnale forte. Una cosa è certa: non si fermerà qui. A prescindere da quello che accadrà il 6 maggio, il vincitore dovrà tenerne conto.

Un’altra campagna

François Hollande, in testa al primo turno, è stato l’altro candidato a trarre vantaggio dal voto di protesta contro Sarkozy. Il riflesso del “voto utile” ha funzionato, a spese del leader del Front de Gauche, ma anche di François Bayrou. Tuttavia non siamo di fronte a un vero rilancio del socialismo francese: le sinistre escono rafforzate dal voto espresso al primo turno, ma non sono ancora certe di ottenere la vittoria.

Lunedì, diceva domenica sera Nicolas Sarkozy, avrà inizio un’altra campagna. Per il secondo turno i due candidati dovranno cercare di convincere i francesi affascinati dai discorsi di protesta, in particolare da Marine Le Pen. E il modo migliore per farlo non sarà di farli propri, ma di trovare concrete risposte per alle preoccupazioni – o per meglio dire alla collera – dei loro elettori.

Estrema destra

Marine Le Pen ha superato suo padre

“Hollande in testa. Le Pen guastafeste”, titola Libération all’indomani del primo turno delle presidenziali.

Con 6,4 milioni di voti per Marine Le Pen, “l’estrema destra non era mai stata così forte in Francia”, sottolinea il quotidiano di sinistra. A dieci anni dall’accesso di Jean-Marie Le Pen al secondo turno delle presidenziali (con 4,8 milioni di voti) la situazione “non è altrettanto tragica, ma è altrettanto inquietante. Se non di più”.

Secondo il sociologo Sylvain Crépon, intervistato da Libération, questo successo “senza precedenti a livello nazionale” di Le Pen “segna il trionfo della sua strategia” di “de-demonizzazione” basata sulla “repubblicanizzazione del discorso”.

Da un lato ha avviato un processo di normalizzazione. È riuscita a dire che il Fn era un partito antisistema e allo stato tempo un partito che vuole essere come gli altri, un partito che non puzza più di zolfo. Dall’altro lato, verso la fine, è tornata alla base - paura dell’immigrazione, insicurezza - e suo padre si è lanciato nelle provocazioni. Le vecchie ricette, insomma, hanno funzionato.

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