La Germania flette i muscoli

In vista del vertice dell'Eurozona dell'11 marzo, Angela Merkel cerca di convincere i partner europei a sostenere il Patto di competitività proposto dal suo governo. Una settimana cruciale per il futuro dei paesi in crisi.

Pubblicato il 3 Marzo 2011 alle 16:38

Quando a ottobre il ministro dell'economia portoghese Fernando Texeira dos Santos ha dichiarato che se i bond avessero superato il tetto del 7 per cento il paese avrebbe dovuto ricorrere all'aiuto dell'Unione europea, si è legato una corda attorno al collo. Ormai da settimane il tasso dei titoli di stato portoghesi supera il 7 per cento.

Il 15 febbraio lo stesso Texeira si è lamentato in occasione dell'ultimo Ecofin "dei ritardi e dei dubbi", soprattutto da parte tedesca, in merito alla richiesta generalizzata di ampliare e flessibilizzare l'attuale fondo di salvataggio temporaneo. In effetti il ministro aveva tutte le ragioni del mondo per lamentarsi. Il Portogallo, come la Grecia, sta facendo la sua parte con il programma di tagli alla spesa. E come la Grecia sta pagando cara la lentezza di Berlino nel prendere decisioni, nonostante la Germania a gennaio avesse promesso di accelerare i tempi.

La verità è che si tratta di una lentezza calcolata, e d'altronde la cancelliera tedesca Angela Merkel ha le sue buone ragioni. Le prossime elezioni rappresentano una preoccupazione costante, come pure l'idea ultraortodossa e nazionalista condivisa da tutto il paese a proposito del'Unione europea: niente eurobond, niente compromessi, solo e soltanto riduzione del deficit. Per continuare a sostenere la moneta unica Berlino pretende dai suoi soci europei un "pacchetto globale" con maggiori contropartite: il Patto per la competitività.

In realtà i sei punti del piano non sono affatto male. Il problema è che il 4 febbraio il patto è stato presentato come un contratto di adesione, una sorta di diktat del duo Merkel-Sarkozy, che si sono comportati come elefanti in una cristalleria provocando le comprensibili ribellioni degli altri.

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Il presidente Van Rompuy ha già smussato gli eccessi della proposta franco-tedesca: ne ha attenuato il carattere intergovernativo e ha restituito un ruolo di primo piano alle istituzioni comuni, impedendo che a comandare siano solo in due. Van Rompuy ha inoltre ammorbidito la richiesta spropositata di costituzionalizzare il "deficit zero".

Restano gli altri cinque punti: indicizzazione dei salari alla produttività nel rispetto del dialogo sociale; mutuo riconoscimento dei titoli di studio; creazione di una base d'imposta unica per le imprese dei 27 (è più importante unificare la base che accomunare i tipi di tassazione, data la moltitudine di deduzioni semiocculte); adattamento dei regimi pensionistici e realizzazione di un piano di risoluzione per le future crisi bancarie. Sono proposte non solo convenienti ma addirittura necessarie, parte essenziale di una reale unione economica.

In cerca di un compromesso

Se il piano sarà approvato Berlino non potrà esimersi dal fare la sua parte. Come? Molti scommettono sulla possibilità che ci si possa accordare attraverso canali secondari e che in occasione dei vertici di questo mese si possa trovare un compromesso utile a tutti. L'attuale Fondo di salvataggio potrebbe crescere fino a raggiungere i 500 miliardi reali (con l'avallo dei paesi economicamente più solidi). Si potrebbero emettere i famosi eurobond (ancora soltanto un sogno), comprare i bond dei paesi in difficoltà (cosa che non solo la cancelliera Merkel ma anche molti tedeschi sono ancora restii ad accettare) oppure prestare denaro agli stati colpiti dalla crisi affinché possano ricomprare i loro bond più rincarati.

Gli effetti economici di quest'ultima operazione sarebbero gli stessi dell'emissione degli eurobond. In cambio Berlino otterrebbe ciò che più desidera: che una parte del conto del salvataggio venga pagato dalle banche. Come? Con il riacquisto dei titoli al prezzo del mercato secondario, di molto inferiore a quello nominale. In questo modo senza dichiarare la sospensione dei pagamenti per i paesi insolventi si otterrebbe lo stesso risultato: il condono di parte del debito privato.

A questo punto le ipotesi sono tre: o si troverà un accordo di questo tipo, o continuerà il calvario, o ci sarà uno scontro frontale. (traduzione di Andrea Sparacino)

Parlamento europeo

Helsinki contro Atene

"É un po’ come se Atene ed Helsinki fossero contrapposte l’una all’altra, una nell’angolo rosso e l’altra nell’angolo blu, come due grandi famiglie di pugili ideologici europei pronte a un paio di sessioni strategiche in preparazione del più importante summit europeo dall'inizio della crisi economica”, scrive Euobserver. Il 4 marzo il partito dei socialisti europei convergerà ad Atene nello stesso giorno in cui i membri del Partito popolare europeo (Epp) si riuniranno a Helsinki. "È normale che il Pse, che al momento è al potere solo in sei paesi dell'Unione, e il Ppe, che controlla 14 governi, si incontrino prima dei vertici europei. Ma di solito si tratta di eventi di scarsa rilevanza che durano poche ore e avvengono a Bruxelles a margine del Consiglio europeo". Le due compagini politiche affileranno le armi in vista del meeting dei 17 membri della zona euro fissato a Bruxelles per l’11 marzo. “Non sarà un summit come gli altri, in quanto si dovranno affrontare alcuni dei cambiamenti più radicali dell’economia e della struttura dell’Unione degli ultimi anni”.

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