Sono anni che la città termale ungherese di Mosonmagyaróvár vive grazie ai turisti austriaci, che arrivano dalla vicina Vienna per approfittare delle sue acque e dei suoi dentisti a buon mercato. Negli ultimi mesi però è comparso un nuovo elemento di attrazione: l'ipermercato Tesco, alla periferia della città.
È arrivata una nuova clientela. È venerdì pomeriggio e il parcheggio davanti a Tesco è pieno di macchine targate Bratislava, che dista appena venti chilometri. Ovunque si sente parlare slovacco. All'interno del negozio le famiglie gironzolano tra gli scaffali, guardano i prezzi, li convertono febbrilmente dal forint all'euro e riempiono i loro carrelli. Quasi tutti i prodotti, dai televisori ai detersivi, dalle scarpe al caffè, dal burro al formaggio, costano circa il 20 per cento in meno che in Slovacchia. Le cassiere ungheresi annuiscono sorridenti: "Certo, può pagare in euro".
Questa situazione si ripete lungo tutta la frontiera slovacca con l'Ungheria, con la Polonia e anche con la Repubblica ceca. Molti sono convinti che il motivo sia l'euro: mentre gli slovacchi hanno adottato la moneta unica e i prezzi sono rimasti praticamente invariati, nei paesi di frontiera gli stessi prodotti sono ormai molto meno cari a causa della svalutazione dello zloty polacco, del forint ungherese e della corona ceca. Ma la situazione potrebbe essere molto diversa.
L'apertura delle frontiere e il fatto che la maggioranza degli slovacchi viva proprio nelle regioni di frontiera contribuisce a questa ondata di turismo commerciale. Secondo alcune ricerche di mercato, i consumatori slovacchi sono sempre più soddisfatti dall'introduzione dell'euro, a differenza dei commercianti: nel primo trimestre di quest'anno i loro profitti sono diminuiti di quasi il 7 per cento.
In un primo tempo i supermercati hanno osservato senza reagire la fuga dei loro clienti al di là delle frontiere. Di fronte a una situazione sempre più insostenibile, però, hanno deciso di lanciare una controffensiva. La grande distribuzione slovacca ha ridotto in modo drastico i prezzi - in alcuni casi anche del 10 per cento - soprattutto sui prodotti alimentari di base. Sui giornali sono comparse pubblicità che mettono a confronto i prezzi praticati nel paese con quelli della concorrenza nei paesi vicini.
Una delle soluzioni che potrebbero scoraggiare il turismo commerciale è diminuire l'iva sui prodotti alimentari (tranne alcune eccezioni, in Slovacchia esiste un'iva unica al 19 per cento). Il primo ministro Fico però si oppone, convinto che comporterebbe un'ulteriore riduzione delle entrate fiscali per lo Stato, già in difficoltà a causa della crisi economica (durante i primi quattro mesi dell'anno sono diminuite di quasi il 12 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008 e il gettito dell'iva si è ridotto di un terzo).
I mezzi di comunicazione si chiedono se nell'attuale crisi economica il paese non stia pagando le conseguenze di una valutazione eccessiva della corona slovacca (30,126 Sk per un euro) al momento dell'adozione dell'euro. Il vicegovernatore della banca nazionale slovacca, Martin Barto, ha fatto notare che la maggior parte dei prodotti che gli slovacchi acquistano, per esempio in Ungheria, è importata, quindi la differenza di prezzo di spiegherebbe piuttosto con le diverse politiche adottate da questi paesi nei confronti della grande distribuzione. Per Barto i consumatori sono poco organizzati, anche perché in Slovacchia mancano i negozi di medie dimensioni, di solito più flessibili in materia di prezzi. Del resto tutta l'economia slovacca, basata quasi esclusivamente sulle grandi imprese automobilistiche o siderurgiche, soffre la mancanza di imprese di medie dimensioni.
Non è detto inoltre che il rapporto tra i prezzi dei prodotti all'estero e l'euro sia così diretto. I commercianti infatti decidono il prezzo dei loro prodotti considerando non solo la forza della moneta, ma anche il potere d'acquisto specifico di ogni paese. Secondo un'inchiesta dell'agenzia GfK, il potere d'acquisto in Slovacchia è aumentato del 20 per cento e ha superato di molto il potere d'acquisto degli ungheresi e dei polacchi (viene subito dopo quello dei cechi).
Come spiegare allora che in Austria, dove il potere d'acquisto è il triplo di quello slovacco e la moneta è sempre l'euro, i prezzi sono spesso identici o addirittura più bassi? Il fatto che gli austriaci siano riusciti a provocare una riduzione dei prezzi comportandosi da consumatori responsabili è una risposta. Del resto a Hainburg, cittadina austriaca vicino al confine slovacco, il parcheggio davanti al supermercato Billa è pieno di macchine targate Bratislava, come a Mosonmagyaróvár.
A inizio maggio la grande distribuzione ha annunciato con orgoglio che la riduzione dei prezzi ha contribuito al ritorno dei clienti in Slovacchia. Se fosse vero, vorrebbe dire che non è l'euro il principale responsabile di questo turismo commerciale.
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