"I generali sono criminali", titola Polska The Times all'indomani del verdetto di un tribunale di Varsavia, secondo cui i responsabili dell'applicazione della legge marziale in Polonia dal 1981 al 1983 sono colpevoli di un "crimine comunista". Il verdetto è però puramente simbolico: dei quattro accusati soltanto il generale Czesław Kiszczak è stato condannato a due anni e mezzo di prigione, e l'esecuzione della sentenza è stata sospesa a causa dell'età avanzata del militare, 86 anni. I superiori di Kiszczak, il generale Wojciech Jaruzelski e il generale Florian Siwicki (ex ministro della difesa), sono stati esclusi dal processo per motivi di salute, mentre il vice di Siwicki, generale Tadeusz Tuczapski , è deceduto durante il processo.
Polska The Times sottolinea che ci sono voluti trent'anni per "ottenere una giustizia storica". La corte, prosegue il quotidiano, ha respinto la linea di difesa del generale Jaruzelski, secondo cui la legge marziale ha scongiurato l'intervento delle forze del Patto di Varsavia, altrimenti "inevitabile".
L'eredità della legge marziale, che è costata una dozzina di vite umane e l'internamento di oltre 10mila persone, è stata a lungo al centro dello scontro tra i partiti politici polacchi. Secondo Gazeta Wyborcza negli ultimi vent'anni la questione "è stata uno strumento particolarmente efficace nello scontro politico":
Nessuno voleva analizzarla con la lucidità di un ricercatore… [La legge] è stata utilizzata per alimentare l'isteria e non per comprendere la storia.
Il quotidiano conservatore Rzeczpospolita accoglie con favore il verdetto, definendolo cruciale per "tutte le lezioni di storia per le generazioni future".
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