Il primo luglio il passaggio di consegne tra la presidenza spagnola dell'Unione europea e quella belga ha segnato una tappa importante sotto molti aspetti.
In primo luogo, per i prossimi anni il timone dell'Unione europea non sarà più nelle mani di un "grande" paese membro dello "zoccolo duro". Bisognerà aspettare il 2014 e la presidenza italiana perché ciò accada di nuovo. Nel frattempo toccherà a Ungheria, Polonia, Danimarca, Cipro, Irlanda, Lituania e Grecia. Si tratta di paesi il cui impegno europeista è fuori discussione, ma la cui capacità (o volontà) di influire sugli affari dell'Unione è ridotta rispetto a quella dei "grandi vecchi".
Inoltre la presidenza spagnola potrebbe essere l'ultima ad aver proposto un programma ambizioso (o irrealistico, secondo alcuni): da una parte perché la crisi economica ha dimostrato che gli avvenimenti esterni possono condizionare se non addirittura dettare il programma politico della presidenza, e che quest'ultima finirà per essere giudicata sulla base della gestione di tali avvenimenti. Dall'altraperché la presidenza del Belgio sarà fortemente marcata dai problematici negoziati per la formazione del governo nazionale.
L'insieme di queste circostanze potrebbe però rivelarsi vantaggioso per l'Unione. Le presidenze "minori", infatti, rischiano meno di entrare in conflitto con le nuove cariche previste dal trattato di Lisbona, ovvero il Presidente del Consiglio e l'Alto rappresentante per gli affari esteri. La concorrenza tra le istituzioni è troppo spesso all'origine della confusione su "chi deve fare cosa" a Bruxelles, e quindi della scarsa influenza dell'Unione europea sulla scena internazionale. Yves Leterme, primo ministro uscente del Belgio, ha già annunciato che non metterà i bastoni tra le ruote al Presidente del Consiglio dell'Unione Herman Von Rompuy, suo predecessore alla guida del governo belga. Resta però da vedere se gli altri dirigenti europei sapranno fare lo stesso e permetteranno al trattato che ci hanno venduto con tanto entusiasmo di funzionare finalmente a pieno regime. Gian Paolo Accardo