Probabilmente è un segno dei tempi. Domenica scorsa un articolo affermava che “come Hitler, Angela Merkel ha dichiarato guerra all’Europa”, questa volta per aumentare “lo spazio vitale economico” della Germania. Un parallelo ignobile, che però riecheggia il tono di alcuni cartelli esposti da tempo nelle strade di Atene e di recente anche a Nicosia. L’articolo in questione ha fatto molto scalpore perché è stato pubblicato sul sito di uno dei più prestigiosi quotidiani europei, El País. Per la prima volta il parallelo tra la cancelliera e il dittatore ha raggiunto la stampa considerata seria e di qualità. Davanti alle reazioni di sdegno, El País ha ritirato l’articolo, scritto da un collaboratore esterno e non rappresentativo della linea editoriale del quotidiano.
Per il momento la crisi cipriota non ha innescato una crisi dell’euro, ma ha comunque accentuato le divisioni e i rancori che affliggono l’Europa da quando la depressione economica e la politica d’austerity hanno cominciato a sgretolare le società del vecchio continente. La tradizionale sfiducia nei confronti di “Bruxelles” e dei suoi burocrati si è trasformata in antagonismo tra nord e sud d’Europa e in una miscela tossica di disprezzo e aggressività nei confronti della Germania, accusata di voler imporre il suo modello e la sua volontà a tutti i popoli dell’Unione.
Con diversi gradi d’intensità e attraverso opinioni più o meno analitiche, questa tendenza si ritrova nella stampa europea. O forse sarebbe meglio dire nelle stampe europee, considerando quanto possono variare da un paese all’altro la sensibilità, le opinioni e le attese. Questi articoli, queste prime pagine e queste polemiche si ritrovano su Presseurop, la cui linea editoriale è quella di riflettere i dibattiti che agitano il nostro continente. Leggendo i commenti dei nostri lettori ci accorgiamo fino a che punto questa atmosfera abbia permeato la mentalità e lo spazio pubblico. Molti lettori si sentono costretti a difendere e giustificare la loro visione del mondo e il loro stile di vita, mentre altri rimettono in discussione l’Europa per come è stata costruita fino a oggi. C’è anche chi accusa i nostri articoli e le discussioni che ne derivano di contribuire a creare divisioni.
L’Europa e l’Unione europea stanno attraversando un periodo molto difficile. Al cambiamento degli equilibri mondiali si aggiungono la destabilizzazione del nostro modello politico, economico e sociale e una perdita di importanza di tutto ciò per cui gli europei hanno combattuto dal 1945. La lettura quotidiana della stampa somiglia alla cronaca di una depressione, con i suoi inevitabili accessi di pessimismo e collera. Ma il male sottostante, lo stesso che gli europei hanno ignorato per decenni, è l’ignoranza e l’incapacità di comprendere ciò che pensano, vivono e sentono gli altri. Confrontarsi con i cliché e gli insulti di un interlocutore è sempre sgradevole, ma è anche una presa di coscienza necessaria per superare la crisi di fiducia che ha colpito l’Unione. Minimizzare i sintomi di questa ignoranza reciproca significa privarsi dei mezzi per combatterla. Perché nonostante tutte le nostre divisioni, oggi il nostro è ancora un destino comune.