Idee Guerra Fredda

L'Urss ha definito l'occupazione dell'Europa centrale e orientale “liberazione”, oggi la Russia commente lo stesso crimine in Ucraina

L’incapacità, o la riluttanza, della Russia di riconoscere il peso della politica imperialista dell’Urss sui paesi dell’ex blocco sovietico continua a modellare i rapporti tra questi ultimi e Mosca. Lo spiega Sergej Lebedev., scrittore russo in esilio, in occasione del cinquantesimo anniversario degli accordi di Helsinki, che hanno segnato la fine della Guerra fredda.

Pubblicato il 30 Luglio 2025

Cinquant'anni fa, la firma degli accordi di Helsinki ha sancito l’inviolabilità dei confini stabiliti dopo la Seconda Guerra mondiale. Come sappiamo, l’ordine di Helsinki, o il mondo di Helsinki, è durato circa 15 anni. Dopo il crollo dell’Unione sovietica, i paesi dell’Europa centrale e orientale, hanno trovato la strada verso la libertà e la sovranità nazionale.

Spesso sentiamo dire che il ritorno della tirannia e dell’aggressività militare a cui assistiamo oggi è dato dall’incapacità o dalla mancanza di volontà della Russia di fare i conti con i crimini del proprio passato. Questa visione, però, si concentra solitamente solo sulle azioni interne dell’epoca sovietica: la collettivizzazione forzata, il grande terrore degli anni Trenta, il sistema dei Gulag e così via. Alcuni di questi episodi sono stati nominalmente riconosciuti come crimini, ma non si è mai cercato di chiamare in causa responsabili. In generale, i democratici russi della perestrojka erano contrari alla giustizia di transizione.

Il crimine sovietico più politicamente delicato, però, viene quasi sempre escluso dalle discussioni. E la mancata volontà della Russia di fare i conti con questo aspetto costituisce un pericolo ancora maggiore e influisce sul destino di molte nazioni.

Stiamo parlando dell’occupazione sovietica dell’Europa centrale e orientale, che è durata decenni e ha comportato non solo morti e arresti, ma anche la distruzione della vita sociale e culturale e la negazione della libertà. Un’ingiustizia immensa.

I crimini interni dell’Unione sovietica, pur restando impuniti, sono stati almeno riconosciuti, e le loro vittime ricordate. L’aggressione esterna e l’occupazione, invece, no. Neanche i dissidenti e i liberali russi hanno mai osato sollevare la questione.

Sergey Lebedev during his closing speech of the Debates on Europe, at Finlandia House. Helsinki, 18 May 2025. | Photo: ©GpA
Lebedev durante il suo discorso di chiusura dei Dibattiti sull'Europa, alla Finlandia House. Helsinki, 18 maggio 2025. | Foto: ©GpA

È per questo che, quando si parla dell’Europa centrale e orientale, emergono due concezioni della memoria e della storia che non possono coesistere, che si scontrano e si contraddicono. Sono concetti totalmente opposti e non possono essere riconciliati neanche dalla diplomazia: da un lato la liberazione sovietica, e dall’altro l’occupazione sovietica.

La vera liberazione è arrivata 45 anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, quando le truppe sovietiche si sono finalmente ritirate dall’Europa centrale e orientale e l’Unione sovietica è crollata, dando la possibilità alle nazioni occupate di ritrovare la strada verso l’indipendenza. È stato però più facile ripristinare o creare lo stato e l’indipendenza, che ottenere la sovranità sulla memoria storica.

L’immagine progressista dell’Unione sovietica negli ultimi anni della sua esistenza e le grandi speranze del momento, hanno protetto Mosca da critiche e accuse legate all’occupazione dell’Europa orientale. Questa compostezza è stata il risultato di un eccesso di fiducia o, forse, solo di un pragmatismo prudente: il desiderio di non infastidire Mosca e di non compromettere la sua benevolenza, di non opprimere troppo gli sconfitti della Guerra Fredda. La protezione più importante di cui Mosca ha goduto è stata però il prestigio derivato dalla vittoria contro il nazismo.

La Russia, autoproclamatasi stato successore dell’Urss, ha costruito il proprio profilo politico internazionale sul mito della liberazione sovietica, che le conferisce un capitale morale e impone ai territori un tempo occupati un debito di gratitudine per la loro “liberazione” dal nazismo.

Sì, le perdite dei sovietici sono state reali. Ma è davvero tragico che proprio quelle perdite abbiano contribuito a soggiogare intere nazioni desiderose di libertà, sostituendo una dittatura con un’altra. Il soldato sovietico raffigurato nelle statue che costellano il paesaggio europeo, da Berlino a Sofia, non era un liberatore. Era un oppressore. E nessuno spargimento di sangue da parte dei sovietici per sconfiggere i nazisti può giustificare il loro stesso ruolo di invasori.


"Il soldato sovietico raffigurato nelle statue che costellano il paesaggio europeo, da Berlino a Sofia, non era un liberatore. Era un oppressore"


Non è un caso che i sovietici fossero riluttanti a riconoscere persino l’esistenza del patto Molotov-Ribbentrop. Nella Russia moderna, equiparare il ruolo dell’Urss a quello dei nazisti è un reato. Ma nel 1939 e nel 1940, l’Unione Sovietica ha occupato la Lituania, la Lettonia, l’Estonia e parte della Polonia, della Finlandia e della Romania. Per 22 mesi è stata una fedele alleata della Germania nazista. Questa prima ondata di occupazioni sovietiche non può essere in alcun modo mascherata da “lotta contro il nazismo”, anzi, ha rivelato le vere intenzioni dei sovietici. Ciò che ne è conseguito, infatti, è stata una rioccupazione geograficamente estesa. Si trattava di un obiettivo separato dalla guerra, non necessariamente collegato a quello di sconfiggere i nazisti.

Sfortunatamente, considerare l’occupazione sovietica come un crimine non è diventato una parte essenziale della storia europea contemporanea. È una consapevolezza geograficamente limitata all’est, offuscata e poco rappresentata; fa parte delle storie delle singole nazioni, ma non costituisce una narrazione internazionale forte e condivisa a livello continentale. Questa considerazione, però, ha una grande portata sulla storia europea contemporanea ed è la chiave per la sicurezza del continente. Solo comprendendo pienamente la crudeltà e le conseguenze dell’occupazione sovietica si possono cogliere le preoccupazioni dei vicini della Russia, le loro paure radicate nella storia e il loro bisogno di sicurezza.

Ad oggi, le regioni orientali dell’Ucraina sono occupate dalle truppe russe. Per la prima volta dal 1989, vaste aree del continente europeo, abitate da milioni di persone, sono sotto il controllo di uno stato invasore. Sembra però che troppi europei abbiano già dimenticato cosa significhi davvero “occupazione”.

La cittadinanza russa viene imposta con la forza. Di fatto, si tratta di un programma di espulsione di massa: chi non la accetta, sarà trattato come uno straniero e costretto ad andarsene. La Russia sta seguendo lo stesso percorso dell’Urss, per esempio nei confronti degli stati baltici, con l’obiettivo di russificare la regione conquistata, modificarne la composizione nazionale e integrarla nel proprio stato.

Le proprietà vengono confiscate e ridistribuite. I “coloni” vengono trasferiti per ricostruire le fondamenta del regime di occupazione. Le politiche della memoria vengono capovolte, i monumenti che ricordano i crimini sovietici scompaiono, le strade riacquistano i loro nomi sovietici come simbolo della dominazione russa. Tutto questo fa parte di un attacco all’identità nazionale, un tentativo di cancellarla.

I servizi di sicurezza russi fanno ampio uso di tecniche di filtrazione, e chiunque venga ritenuto politicamente inaffidabile può essere imprigionato. Gravi torture e violenza sessuale sono diffuse. I prigionieri di guerra ucraini liberati dalla prigionia riportano le stesse pratiche di tortura, abusi e malnutrizione intenzionale, con l’obiettivo di spezzarli fisicamente e mentalmente.

Chiunque conosca la storia dietro la cortina di ferro, riconoscerà immediatamente lo schema. È stata una triste realtà per la Polonia, la Lituania, la Germania est, la Romania e tante altre nazioni. Le deportazioni di massa, il brutale dominio della polizia segreta, la deprivazione della proprietà e dei diritti civili… ma tutto ciò non è mai diventato un vero stigma per l’Urss, né per la Russia. Non è mai diventato qualcosa di cui la nazione si vergogna, qualcosa che richieda giustizia e punizione, riconoscimento ed espiazione.

Ed ecco dove siamo oggi: l’invasore è tornato, e conduce la guerra proprio come facevano i sovietici. 


"L’Europa occidentale e sud-occidentale, che non ha mai affrontato la realtà dell’occupazione sovietica, deve ascoltare le voci di coloro che l’hanno vissuta sulla propria pelle"


L’esercito di Vladimir Putin ha un orribile vantaggio rispetto agli eserciti occidentali, che hanno investito molto per tenere i propri soldati fuori dal pericolo: può permettersi delle perdite che sarebbero assolutamente inaccettabili per qualsiasi stato occidentale. Ma dal punto di vista tecnologico è anche abbastanza avanzato da poter contrastare le tecnologie militari nemiche.

La scienza occidentale è stata la prima a “dronizzare” la guerra, a minimizzare il coinvolgimento delle truppe sul terreno e a utilizzare dei macchinari per svolgere nuovi compiti. L’esercito di Putin, oltre a impiegare dei veri droni, ha “dronizzato” anche gli umani. Ha trasformato i soldati in risorse superflue, usa e getta.

Con l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, siamo entrati nell’epoca del cambiamento climatico morale globale. Proprio come un terremoto può avere ripercussioni in tutto il mondo, o un’unica eruzione vulcanica può oscurare i cieli sopra diversi continenti, l’aggressione russa cambia il clima politico a livello mondiale. 

Questo è un altro risultato concreto della guerra, ma non ancora pienamente riconosciuto. Forse è il più esteso di tutti i risultati. Con migliaia di soldati inviati al fronte e uccisi dagli ucraini nel tentativo di difendersi, Putin non ottiene solo dei pezzi di territorio ucraino: erode il paesaggio politico globale, scombussola le alleanze, esaurisce la pazienza dei votanti nei paesi della Nato e ci trascina nell’inferno del relativismo globale.

Cosa si può fare a riguardo?

In questo momento, l’Europa occidentale e sud-occidentale, che non ha mai affrontato la realtà dell’occupazione sovietica, deve ascoltare le voci di coloro che l’hanno vissuta sulla propria pelle.

È difficile dire se, in tempi brevi, la Russia verrà ritenuta responsabile dei suoi crimini contro l’Ucraina. Ma per costruire un futuro, un vero futuro, sarà essenziale sviluppare un concetto culturale e storico che contrasti il tentativo russo di dividere e dominare.

Su iniziativa di Václav Havel, Joachim Gauck e altri importanti ex dissidenti, il 23 agosto, data della firma del patto Molotov-Ribbentrop, è stato designato come Giornata europea della memoria per le vittime dello stalinismo e del nazismo, anche nota come Black ribbon day (giornata del nastro nero). La comprensione del vero significato di questa giornata potrebbe e dovrebbe essere approfondita per includere una visione più ampia dell’imperialismo russo, che era parte integrante della politica comunista sovietica, ma che è sopravvissuto alla sua fine.

Dobbiamo rendere questo giorno il fulcro di una politica del ricordo coordinata e a lungo termine per rafforzare le istituzioni esistenti, come l’Enrs, acronimo di European Network Remembrance and Solidarity (rete europea per la memoria e la solidarietà), che riunisce principalmente i paesi dell’Europa orientale. Dobbiamo anche costruirne di nuove, a livello intercontinentale, per contrastare le narrazioni sia di sinistra che di destra che continuano a trovare giustificazioni per la Russia.

L’Urss è crollata perché la sua unità è stata creata e imposta con la violenza e con l’oppressione. La durata dell’Ue dipende dalla perseveranza della sua unità volontaria. Ma l’unità non è una certezza. È il prodotto della conoscenza reciproca e della compassione, di tanti ponti culturali che uniscono le persone.

È il momento di iniziare a costruire.

Questo articolo è una versione editata del discorso di chiusura tenuto da Sergej Lebedev all'Helsinki Debate on Europe, il 17 maggio 2025. Pubblicazione in collaborazione con il Guardian.
© Debates on Europe 2025

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