Attualità Angola-Portogallo (1/2)

Lisbona chiude un occhio sul denaro sporco di Luanda

L'ex potenza coloniale in crisi è diventata un supermercato dove i nuovi ricchi dell'ex colonia, a cominciare dalla famiglia del presidente Dos Santos, acquistano banche e immobili. Ma la provenienza di questi capitali suscita parecchi dubbi.

Pubblicato il 19 Novembre 2013 alle 19:52

Operazione distensione a Luanda: 14 deputati portoghesi si sono recati a inizio novembre nella capitale angolana per cercare di migliorare le relazioni fra Lisbona e la sua ex colonia.

A metà settembre il ministro degli esteri portoghese aveva pensato di fare bene formulando delle “scuse diplomatiche” all'Angola in occasione di un'inchiesta su degli ufficiali angolani in Portogallo, ma la sua dichiarazione inattesa ha avuto l'effetto inverso: tutto è diventato più complicato fra Lisbona e Luanda. Durante il suo discorso sullo stato della nazione, il 15 settembre, il presidente angolano José Edoardo Dos Santos, in carica ininterrottamente dal 1979, ha ritenuto che le condizioni per un "partenariato strategico" non erano presenti.

Il 21 ottobre il Jornal de Angola, quotidiano ufficiale di Luanda, ha denunciato in un editoriale intitolato "Addio lusofonia" un'"intollerabile aggressione". Diverse settimane prima Dos Santos aveva già osservato che il Portogallo non può permettersi di "dare lezioni" alle sue ex colonie.

Queste dichiarazioni hanno provocato grande scalpore a Lisbona, dove diversi politici ed editorialisti hanno fermamente disapprovato l'atteggiamento di sottomissione del ministro. E questo ha offeso il potere di Luanda, che si è sentito "aggredito" da questo acceso dibattito sulla relazione di dipendenza che collega l'ex potenza coloniale sull'orlo del fallimento alla sua ex colonia in piena ascesa economica.

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Una “rivincita della storia”, come hanno commentato alcuni media, che si spiega prima di tutto con le grandi differenze tra i due paesi. Con un tasso di disoccupazione intorno al 17 per cento e con una recessione ancora in corso (una recessione prevista dell'1,8 per cento per il 2013), aggravata a breve termine da una dura politica di rigore, Lisbona sembra disposta a tutto per attirare gli investimenti esteri. Al contrario, Luanda mostra dei tassi di crescita impressionanti (nel corso degli anni 2000 vicini al 15 per cento) grazie ai prezzi del petrolio in aumento e ai diamanti, e che oggi è corteggiata da investitori cinesi e brasiliani.

A simboleggiare questo capovolgimento dei ruoli la bilancia commerciale del Portogallo nei confronti dell'Angola, ancora positiva nel 2012, è passata in rosso nei sei primi mesi del 2013. Ormai le importazioni di petrolio angolano sono superiori alle sue esportazioni nell'ex colonia. Nel frattempo gli investimenti angolani in Portogallo, difficili a quantificare, mostrano una crescente progressione a partire dai primi anni 2000.

Il problema è che l'Angola non è solo un'ex colonia, popolata da 19 milioni di abitanti e uscita nel 2002 da una lunga guerra civile, ma anche uno degli stati autoritari più corrotti del mondo, che occupa il 157° posto della classifica di Transparency International (su 176), diretto con un'assoluta mancanza di trasparenza dalla famiglia Dos Santos e dal partito presidenziale dell'Mpla.

La "rivincita del colonizzato" è più che ambigua. Un gran numero di "investimenti" angolani nel settore dell'edilizia di lusso sulla costa o nelle banche sono di dubbia origine e favoriscono solo un piccolo gruppo di imprenditori vicini al potere. Diverse persone contattate da Mediapart a Lisbona parlano di un sistema con enormi ramificazioni e di cui il Portogallo serve da centro di riciclaggio del denaro sporco per i nuovi ricchi angolani.

Per l'ex giornalista portoghese Pedro Rosa Mendes, oggi professore all'Ehess di Parigi, questa pratica di riciclaggio di capitali risale a molto prima della crisi attuale. La si può datare alla fine degli anni novanta, quando l'Angola, all'epoca in piena guerra civile, aveva emesso nuove concessioni petrolifere. La decisione aveva provocato l'esplosione della produzione di oro nero nel paese, rimpinguato le casse dello stato e rafforzato la sua influenza sulla scena internazionale. La recessione dei paesi dell'Europa meridionale, a partire dal 2008, non ha fatto altro che accelerare la grande trasformazione delle relazioni fra l'Angola e il Portogallo.

Ma quanti sono ad approfittare dei gioielli dell'ex madrepatria? A Luanda si tratta di alcune famiglie vicine alla presidenza - non più di qualche centinaio di persone - dotate di passaporto con visto angolano e portoghese. "[[I giornali parlano dei 'circoli presidenziali', ma in prima fila ci sono lo stesso Dos Santos e la sua famiglia]]", osserva Mendes.

La principessa fa shopping

La "sua famiglia" è di fatto soprattutto la sua figlia maggiore, Isabel Dos Santos, 40 anni, laureata al King's College di Londra, l'unica africana miliardaria e uno dei personaggi chiave di questa complicata saga postcoloniale. Secondo la stampa coloniale angolana Isabel sarebbe la prova più evidente che l'Angola, un paese dove il 70 per cento degli abitanti sopravvive con meno di due dollari al giorno, può anche produrre delle success story nel campo della finanza internazionale.

L'erede, nata da un primo matrimonio di Dos Santos, possiede oggi un portafoglio azionario impressionante. In pochi anni si è impadronita della metà del capitale di un gigante delle telecomunicazioni (nato dalla fusione fra Zon e Optimus) e di gran parte della banca portoghese Bpi - di cui con il 19,4 per cento delle azioni è il secondo azionista. Inoltre partecipa anche al consiglio di amministrazione di un altro istituto finanziario, Bic Portugal, e possiede quote nell'Amorim Energia, che controlla quasi il 40 per cento di Galp, uno dei principali gruppi europei legati all'estrazione di gas e petrolio.

"La principessa" è oggi la terza persona più ricca per il valore del suo portafoglio azionario alla borsa di Lisbona. Con un patrimonio stimato in 1,7 miliardi di dollari, Isabel è diventata un personaggio fondamentale nel panorama economico portoghese. A prima vista l'arrivo in massa di capitali in un paese in povero è un fatto positivo, ma la situazione si complica se ci si interessa alle origini dubbie del patrimonio di "Isabel".

Ed è quello che ha cercato di fare la rivista americana Forbes in una lunga inchiesta pubblicata in settembre e che ha fatto molto scalpore a Lisbona - un po' meno a Luanda. La sua conclusione è estremamente significativa: "La figlia di papà" è una creatura inventata di sana pianta dal padre per permettere al suo "clan" di accaparrarsi di una parte dei redditi pubblici, dal petrolio ai diamanti, per poi metterli al sicuro all'estero, cioè in Portogallo.

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