L’unione bancaria è ancora un miraggio

Da oltre dieci anni si parla di rimediare alla mancata regolamentazione del settore bancario europeo. Ma a causa degli interessi dei paesi membri la questione non sarà affrontata neanche al vertice del 13 dicembre.

Pubblicato il 12 Dicembre 2012 alle 12:33

Qualsiasi cosa i leader dell’Ue saranno in grado di partorire al summit di giovedì, non si tratterà dell’unione bancaria di cui si sta parlando da mesi, un’unione che avrebbe dovuto reggersi su quattro elementi costitutivi: una vigilanza bancaria integrata, uno schema di garanzia dei depositi, un sistema di risoluzione per la liquidazione ordinata delle istituzioni non recuperabili e un contesto normativo comune per le banche sovranazionali. Nel migliore dei casi soltanto il primo di questi elementi si concretizzerà, ma neanche questo è sicuro. Ma anche se si introducesse davvero in Europa un’unica vigilanza bancaria, sarebbe esagerato definirla un’ “unione”.

L’unione bancaria avrebbe dovuto essere realizzata 10-15 anni fa. Da molto tempo abbiamo quello che può essere definito un mercato finanziario unico – le banche europee operano a livello trans-nazionale, gli investitori acquistano obbligazioni di altri paesi, i cittadini europei aprono conti in altri stati membri – e soltanto gli enti di vigilanza finanziaria restano nazionali. Di conseguenza le grandi banche oggi sono meno regolamentate in Europa che negli Stati Uniti. Anzi, peggio: l’Ue non dispone di norme di tutela come il Chapter 11, che consente alle aziende di essere ristrutturate in caso di bancarotte su vasta scala.

Ancora una volta gli interessi nazionali precludono una maggiore unione. La Germania non vuole che la vigilanza bancaria unica si intrometta nelle loro Sparkassen (rete di casse di risparmio regionali). La Francia vorrebbe sottrarsi alle normative comuni, specialmente quelle riguardanti i livelli obbligatori delle azioni. I Paesi Bassi non vogliono sborsare denaro per il programma di garanzia sui depositi. Ma il più strenuo avversario dell’unione bancaria è il Regno Unito, che teme un attacco mortale alla City, il cuore finanziario d’Europa e il più importante motore dell’economia britannica. David Cameron parte per il summit con il veto in tasca.

L’unione bancaria avrebbe dovuto essere un passo avanti verso una ripresa economica europea. Invece eccoci di fronte all’ennesimo summit caratterizzato dall’impotenza politica. Ancora più imbarazzante in questo caso perché si svolge a pochi giorni di distanza dalla cerimonia in cui le autorità europee hanno ricevuto il premio Nobel per la pace a Oslo.

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L’impossibilità di raggiungere un accordo che si estenda a tutta l’Ue avrà una sola conseguenza molto specifica: i paesi della zona euro istituiranno una propria vigilanza bancaria. Se il summit dei Ventisette si concluderà con un fiasco, 18 stati membri riceveranno un chiaro mandato a perseguire una maggiore integrazione. La proposta di un budget separato per la zona euro è già stata messa sul tavolo delle trattative.

Negoziati

Svezia e Repubblica Ceca bloccano tutto

La Svezia, secondo centro bancario esterno all’eurozona, si allinea al Regno Unito nell'opposizione all’unione bancaria europea. Il governo svedese è infatti convinto che all’interno della nuova unione gli stati fuori dall'eurozona avrebbero diritti troppo limitati. “Ora Londra ha un alleato nella sua crociata per evitare che la Banca centrale europea assuma una posizione dominante fissando le regole tecniche dell’Ue quando potrà gestire la supervisione delle banche”, scrive il Financial Times.

Anche il governo ceco, intanto, minaccia di porre il veto sull’unione bancaria rifiutando di concedere alla Bce poteri di supervisione delle banche. Molte banche ceche sono sussidiarie di istituti di credito dell’eurozona, e il primo ministro Petr Nečas vuole evitare che il sistema bancario ceco diventi una riserva di contante per le banche dell’eurozona. “O l’Ue accetta la dichiarazione speciale proposta da Praga oppure l’unione bancaria non si farà”, sottolinea Hospodářské Noviny.

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