L’emergenza umanitaria non si è mai fermata nel Mediterraneo. Quando, di fronte alla pandemia di COVID-19, tre quarti dell’umanità si confinavano per salvare vite, uomini, donne e bambini hanno continuato a fuggire, su imbarcazioni di fortuna, da quello che chiamano instancabilmente “l’inferno libico”. La Libia, il paese dove regnano reti criminali che praticano tortura, estorsione, schiavitù e abusi tra i più crudeli, su migliaia di migranti ivi intrappolati.
In questo periodo di pandemia, navi umanitarie come la Ocean Viking sono rimaste ormeggiate per tre mesi. La teoria del fattore di attrazione (secondo la quale più si accoglie e più persone tenteranno di arrivare, ndr) già ampiamente contestata, trova qui la sua dimostrazione: le traversate continuano, anche piùnumerose rispetto all’anno scorso. Con 373 vittime nel 2020, il Mediterraneo rimane la rotta migratoria più mortale al mondo.
Protocolli molto vincolanti
La nave Ocean Viking ha lasciato Marsiglia il 22 giugno scorso con una nuova squadra di soccorritori e di personale sanitario. Delle misure sanitarie rigorose sono state implementate nell’ottica di prevenire un’eventuale diffusione dell’epidemia: quarantena preventiva per l’equipaggio prima di salire a bordo, dispositivi di protezione obbligatori, unità di decontaminazione, zone differenziate sulla nave. A questo si aggiungono protocolli complessi e vincolanti per i soccorritori durante le operazioni in mare e nello spazio ridotto della nave.
Dal 25 giugno in poi, mentre l’Ocean Viking arrivava al largo di Lampedusa, gli allarmi ed i salvataggi di imbarcazioni in difficoltà, si sono susseguiti: persone disidratate e streamate, alcune delle quali sono rimaste alla deriva per cinque giorni prima di essere soccorse.
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180 sopravvissuti in attesa di un porto di sbarco sicuro: un duro colpo alla solidarietà europea
L’Ocean Viking è bloccato da 9 giorni. I 180 sopravvissuti, salvati dalle squadre di Sos Mediterranee nel corso di quattro operazioni, sono in attesa di un porto di sbarco sicuro, sbarco che deve avvenire senza indugi e secondo le norme del diritto internazionale. Dei quattro salvataggi, tre si sono svolti nella zona di ricerca e di salvataggio maltese, il quarto nella zona congiunta italo-maltese. Nonostante sette richieste alle autorità marittime competenti per la designazione di un porto sicuro, nessuna risposta positiva ci è finora arrivata. Stesso silenzio da parte dall’Europa: : il meccanismo di coordinamento europeo firmato a settembre a La Valletta per il trasferimento dei sopravvissuti del Mediterraneo è a un punto morto.
Una situazione insostenibile e inaccettabile
L’Ocean Viking era ferma in mare aperto per giorni. Queste persone sono traumatizzate, esauste, arrabbiate. È stata richiesta l’evacuazione medica di 44 persone in difficoltà psicologica acuta. Venerdì 3 luglio un uomo ha provato ad impiccarsi. Il giorno prima, due persone disperate si sono buttate in acqua: sono state soccorse dalle nostre squadre, ma la tensione a bordo continua a salire. In totale, sei persone hanno tentato il suicidio. La situazione è insostenibile.
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Ma cosa sta facendo l’Europa? Bisogna aspettare di avere un morto sulla nave affinché i porti, finalmente, si aprano? Cosa abbiamo imparato da questa pandemia? Non dovremmo finalmente aver capito che sia in mare che sulla terraferma, ogni vita conta e ha lo stesso valore?
L’Europa deve rispettare la legge e assumersi le proprie responsabilità. Di fronte all’incapacità degli Stati, oggi come cinque anni fa, lanciamo un appello urgente ai cittadini affinché si facciano portavoce del nostro grido di allarme e ci aiutino a continuare la nostra missione.
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