Una sala del Mémorial.

Memoria in movimento

Il Mémorial de la Shoah di Parigi, uno dei più grandi centri di documentazione ebraica al mondo, non smette mai di arricchire i propri archivi. La scomparsa della generazione dei reduci apre un nuovo capitolo. 

Pubblicato il 21 Ottobre 2010 alle 14:38
Una sala del Mémorial.

Arrivano per posta senza indirizzo né lettera di accompagnamento, escono ingialliti e ancora stropicciati da scatole dimenticate per decenni in fondo a una soffitta, si vendono su internet: quasi un milione di documenti sulla sorte degli ebrei durante la seconda guerra mondiale è raccolto ogni anno al Mémorial de la Shoah nel quartiere parigino del Marais.

Non tutti hanno l'importanza storica delle pagine dattiloscritte e corrette a mano da Pétain [capo di stato francese sotto l'occupazione nazista dal 1940 al 1944] sul progetto dello statuto degli ebrei autenticato all'inizio di ottobre [che accerta il ruolo antisemita del maresciallo, a lungo contestato in Francia] pubblicate di recente dal Mémorial. Ma tutti questi oggetti testimoniano in modo dettagliato la storia di centinaia di migliaia di famiglie vittime dei nazisti. Una delle ragioni principali dell'esistenza di questa istituzione.

Il percorso di queste carte o fotografie, vendute od offerte, rimane a volte misterioso. In alcuni casi è stato necessario saltare una generazione per permettere alle famiglie di dare agli archivi pubblici il loro passato, fatto di drammi o di vergogna.

"Oggi siamo a una svolta generazionale", spiega Serge Klarsfeld. Il celebre avvocato, che con la moglie ha dato la caccia ai criminali di guerra, è anche vicepresidente del Mémorial. "Gli ultimi testimoni sono molto anziani e guardano con occhio diverso il loro passato". In questo periodo chiave emergono numerosi documenti, che gli archivisti controllano con attenzione. Nel corso degli anni Klarsfeld ha accumulato un gran numero di ricerche e pubblicazioni. Dagli armadi del suo appartamento-museo tira fuori migliaia di foto di bambini deportati, frutto di una raccolta ossessiva in tutto il mondo.

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Oggetti fabbricati nei campi di concentramento, corrispondenza, foto: il Mémorial e i suoi 80 impiegati raccolgono tutto quello che può permettere alle famiglie di seguire il percorso dei loro membri e ai ricercatori di scrivere la storia. Anche se molti di loro si rammaricano per questa "privatizzazione" di oggetti che sfuggono agli archivi nazionali. Per molto tempo i venditori di libri d'occasione, i robivecchi e i mercatini dell'usato sono stati una fonte importante per queste ricerche.

Porta a porta

I cercatori del Mémorial – uno dei tre più importanti centri di documentazione sulla Shoah insieme allo Yad Vashem e al centro federale di Washington – scrivono centinaia di mail, pubblicano annunci sui grandi giornali di tutto il mondo ed effettuano anche campagne porta a porta. "Lo abbiamo fatto di recente a Drancy", racconta Karen Taieb, da 17 anni responsabile degli archivi del Mémorial. "Osservando la carta del posto, ci siamo resi conto che gli abitanti non erano lontani dal campo. Cercavamo testimonianze orali e scritte".

La storia è diventata un vero e proprio mercato, e internet è piena di oggetti di ogni genere, in particolare su eBay. I collezionisti di francobolli rivendono spesso il contenuto delle buste che raccolgono su internet, lettere e cartoline che raccontano momenti importanti del passato. In questo nuovo mercato anche i manifesti hanno una loro quotazione e bisogna spesso sborsare migliaia di euro per comprarne uno originale; il Mémorial, che spende quasi 200mila euro all'anno per la raccolta e il restauro di documenti, ne ha molti. Ma la ricerca è un pozzo senza fondo.

Sul "muro dei nomi" costruito all'entrata del Mémorial, si cancellano, aggiungono o correggono continuamente le voci della lista delle vittime della Shoah. I ricercatori sperano sempre di trovare l'oggetto prezioso, la foto o il documento che potrà fare luce su determinati aspetti. "È difficile capire perché esista una sola foto della retata del Vel' d'Hiv [il più grande arresto di massa di ebrei in Francia, nel 1942], spiega Jacques Fredj, direttore del Mémorial. "Non è possibile, da qualche parte devono essercene delle altre. Noi continuiamo a cercare". (traduzione di Andrea De Ritis)

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