Monti stacca la spina ai giochi di Berlusconi

Le dimissioni del premier tecnico che ha risolto l'emergenza del debito hanno suscitato inquietudine in patria e all'estero. Ma era l'unica risposta possibile alla strategia elettorale destabilizzante del suo predecessore.

Pubblicato il 10 Dicembre 2012 alle 15:37

Mario Monti si è preso un giorno per riflettere, poi ha fatto un gesto, l’unico, che fosse in linea con la sua persona, la sua vita e il suo modo di governare: assicurare la legge di stabilità e poi dimettersi.

Non solo non poteva accettare di farsi mettere sotto accusa da chi gli aveva consegnato un Paese allo sfascio, non solo non ha intenzione di elemosinare per settimane la fiducia su ogni provvedimento, ma nemmeno di condividere un metro di strada con chi adesso ha deciso che tutte le colpe stanno nella moneta unica. «Io non vado in Europa a coprire quelli che fanno proclami anti-europei, io non voglio averci niente a che fare», ha detto con estrema chiarezza Monti al presidente della Repubblica mentre, ieri sera, gli annunciava il suo passo indietro.

Un gesto chiaro e limpido che costringe ognuno ad assumersi le proprie responsabilità e lascia Berlusconi solo con le sue convulsioni e i suoi voltafaccia. Non è in discussione il diritto del Cavaliere di ricandidarsi (anche se per un anno aveva assicurato il contrario), ma non è tollerabile che l’azionista di maggioranza del governo tecnico, che per inciso è anche il premier che aveva lasciato l’Italia sull’orlo del baratro, unamattina si svegli e se ne chiami fuori.

Non è tollerabile che indichi l’azione di Monti come responsabile di ogni problema italiano, senza riconoscere tutto il lavoro fatto in un anno. L’esecutivo tecnico era nato di fronte all’incapacità di governare e alla profonda sfiducia degli italiani nel sistema dei partiti, doveva servire a mettere in sicurezza i conti e a traghettarci verso nuove elezioni. Il patto era che ognuno si assumesse la sua parte di responsabilità (e di impopolarità) per provare a evitare il crac del Paese, senza cavalcare il populismo e il malessere sociale.

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Stando così le cose, come poteva pensare Alfano che il premier potesse andare avanti dopo che lui lo aveva sfiduciato ufficialmente nell’Aula di Montecitorio? E dopo che oggi il centrodestra aveva minacciato di bocciare provvedimenti e proposte di legge, a partire da quella sul taglio delle Province? Solo un politico navigato e rotto a ogni compromesso avrebbe fatto finta di niente, Monti invece ne ha preso atto e ha deciso di restituire le chiavi.

Così andremo a votare, per la prima volta nella nostra storia repubblicana, con il cappotto, forse addirittura nella prima metà di febbraio, se si anticiperà l’approvazione della legge di stabilità e si scioglieranno le Camere alla vigilia di Natale. Dopo aver provato a fare le cose con ordine per dodici mesi, siamo tornati nell’emergenza e in preda agli spasmi della peggiore politica. Con tutti gli sforzi e i sacrifici fatti non ce lo meritavamo.

Sarebbe tempo che anche l’Italia diventasse un Paese normale, prevedibile e magari anche noioso. Un Paese di cui non ci si deve vergognare, che può sedere in Europa e riuscire a farsi ascoltare. Per un anno ci siamo andati vicino.

Commento

Addio senza rimpianti

“Voglio essere sincero e non unirmi al coro di chi oggi si straccerà le vesti, supplicherà il professore di non farlo, lo ringrazierà per il lavoro svolto”, scrive Alessandro Sallusti all’indomani dell’annuncio del capo del governo italiano della volontà di rimettere il mandato. Il direttore del Giornale, quotidiano di proprietà del fratello di Berlusconi, prosegue:

voglio invece stare dall’altra parte, quella delle migliaia di lavoratori e aziende che sotto l’illuminato governo Monti hanno perso il lavoro e chiuso bottega […]. Della presunta credibilità internazionale non si campa. Ristabiliamo la democrazia sospesa poco più di un anno fa da un blitz del presidente Napolitano. Riprendiamoci la sovranità nazionale delegata in modo sciagurato alle banche e all’Europa tedesca. Riprendiamoci, lo dico da detenuto, la libertà: di decidere, di fare, se sarà il caso di soffrire. Non per il vezzo di una casta osannata e sostenuta dai giornali dei poteri occulti, ma perché lo scegliamo noi. Usciamo allo scoperto, votiamo e sia quel che sia. […] Dobbiamo essere orgogliosi di aver avuto il coraggio di innescare l’addio del governo dei tecnici. Non ci ha dato nulla, non ci avrebbe dato nulla. Anzi, ci avrebbe fatto a pezzi ancora di più.

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