La pena dei ladri nell'inferno di Dante. Illustrazione di Gustave Doré (1857).

Nel girone dell’intolleranza

In Germania il dibattito sul fallimento dell'integrazione inaugurato dal libro di Thilo Sarrazin è ancora acceso. L'idea di una divisione della società in "produttivi" e "pesi morti" si fa strada, mettendo in pericolo le basi stesse della convivenza.

Pubblicato il 3 Gennaio 2011 alle 08:00
La pena dei ladri nell'inferno di Dante. Illustrazione di Gustave Doré (1857).

Quasi ogni anno una Germania scompare – per dirla con le parole di Thilo Sarrazin – e un’altra emerge. La vita va avanti, cambiando ogni giorno, creando enormi seccature ad alcuni e portando gioie ad altri. Nel quartiere di Berlino dove abito, Prenzlauer Berg, nel corso degli ultimi venti anni ho assistito a ogni genere di mutamento.

Quando mi trasferii qui, quest’area residenziale era assediata da artisti e attori che restavano incollati ai tavolini dei bar come tignole ai tronchi dei castagni. I “boho” (bohemien) occidentali stavano poco alla volta subentrando ai depressi pensionati della Germania orientale negli appartamenti riscaldati dalle stufe e con i gabinetti in comune.

Poi arrivarono gli osti dalla Germania settentrionale che non si radevano mai, seguiti a ruota dagli intraprendenti Svevi e dagli adulti cresciuti a internet. Oggi gli abitanti del mio quartiere adottivo sono disparati e poco riconoscibili gli uni dagli altri. In ogni caso, colpisce il fatto che la maggior parte di loro non abbia un lavoro decoroso: stanno spesso insieme, si aiutano reciprocamente e in questo modo tirano avanti.

La capacità di cambiare è ciò che distingue una società aperta da una società totalitaria. Il presidente tedesco una volta disse che una democrazia dipende da quanto i suoi cittadini ne capiscono le regole. In una dittatura tutti le conoscono a memoria. In democrazia ciò è impossibile, perché sono costantemente reinventate dal processo democratico.

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La grande arte di governare consiste nel tenere in considerazione i vari gruppi e le innumerevoli minoranze e nel saperle accogliere tutte. Uno stato deve dar prova di solidarietà: ha ragion d’essere soltanto se tutti i suoi cittadini sono considerati su uno stesso piano, a prescindere da quanti soldi versino nelle casse dello stato.

Purtroppo, la Germania sempre più spesso sta attuando una politica di duplice sensibilità: "Se vogliamo avere un po’ di sensibilità per coloro che ottengono risultati deludenti rispetto alle aspettative, dobbiamo averla anche per chi ha risultati decisamente superiori a esse", ha detto la cancelliera. In linea con le sue parole, uno che ha ottenuto risultati straordinari e fa parte del consiglio esecutivo della Federal Bank ha cercato di instaurare una differenza tra gente brava e gente inetta, concludendo che soltanto “chi è produttivo” merita rispetto.

La produttività, però, non è una qualità umana, bensì un termine proprio dell’industria manifatturiera. Un essere umano è qualcosa di più di un fattore della produzione: prospera quando fa qualcosa per passione, non quando è oggetto di pressioni per produrre e rendere. Il fatto è che coloro che considerano la vita una sorta di equazione tra costi e benefici sono sconcertati dal concetto di “passione”. Il loro sogno è una società affrancata da tutti coloro che sono inutili, tutte le persone non redditizie, che non producono alcun decoroso valore aggiunto, che si vestono in modo buffo e per di più parlano male il tedesco.

Proprio come quelli che in passato furono attirati in Germania a svolgere occupazioni che nessun tedesco aveva voglia di fare: si presumeva che si sarebbero limitati a estrarre il carbone dalle viscere delle miniere per poi scomparire, dileguandosi nell’aria o trasformandosi essi stessi in carbone. Non so come i tedeschi all’epoca si immaginassero il ritorno dei minatori nei loro paesi d’origine, ma in nessun caso immaginarono che sarebbero rimasti, avrebbero fatto arrivare le loro mogli e generato figli.

Destini inseparabili

Da un punto di vista meramente statistico sarebbe un beneficio reale liberarsi di questi individui. A quel punto la Germania sarebbe la terra dei forti e degli intelligenti: a quel punto si potrebbe sempre far arrivare altri parassiti dall’estero per svolgere le mansioni più sporche e poi, dopo averli sottoposti a test genetico, li si potrebbe espellere.

In più occasioni si è tentato di tenere distinti i deboli dai forti, i giusti dai non giusti, e non soltanto in Germania. Tutti questi tentativi, però, sono sempre falliti. I forti alla fine si sono sempre legati e aggrappati ai deboli. Un vero enigma.

A prima vista, i forti e i deboli dipendono inevitabilmente gli uni dagli altri. Gli uni, anzi, non possono tirare avanti senza gli altri. Non appena i deboli sono eliminati, i più forti iniziano a indebolirsi a loro volta e si ritrovano scacciati dalle prime file. Su questo pianeta nessuno, neppure il direttore della Federal Bank, ha diritto a un bailout privato. Vale la regola “O tutti o nessuno”.

I deboli e i forti resteranno incatenati gli uni agli altri per sempre. In tempo d'abbondanza apprezzeranno il valore di questa intesa. Nelle difficoltà invece i demagoghi semineranno tra loro conflitto e rancore. Dimostrando quanto sia di gran lunga più semplice dare addosso agli altri invece di aiutarsi e tendersi reciprocamente una mano, i sobillatori hanno a volte successo.

Costoro dovrebbero avere un posto di diritto nell’ottavo cerchio dell’Inferno di Dante insieme ai seminatori di discordia, o forse nel nono, quello dei traditori, dove sprofonderebbero nel ghiaccio senza che nessuno tenda la mano al proprio vicino. (traduzione di Anna Bissanti)

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