Nel regno del consenso

I lavori del Parlamento europeo sono marcati da una forte cultura del compromesso. Per avere più peso davanti alla Commissione e al Consiglio, i deputati cercano di arrivare a un accordo prima delle votazioni, e le divisioni politiche tradizionali si smussano.

Pubblicato il 28 Maggio 2009 alle 15:52

Nel 2006 gli eurodeputati hanno messo fine a una delle più vivaci controversie della legislatura votando una versione emendata della direttiva "Bolkestein" sulla liberalizzazione dei servizi. Quel giorno i socialisti francesi si opposero alla sintesi elaborata da una socialista tedesca e adottarono una posizione diversa da quella del loro gruppo. Rimasto negli annali, l'esito di questa battaglia illustra uno degli aspetti meno noti del Parlamento europeo: un'istituzione la cui forte "cultura del compromesso", spesso estranea alle tradizioni nazionali, non è sempre al riparo da secondi fini di carattere interno.

Questo duplice fenomeno ha diverse spiegazioni. L'emiciclo delibera su un gran numero di argomenti tecnici – qualità dei carburanti, regolamentazione delle telecomunicazioni, norme sulla sicurezza – che appassionano soprattutto i battaglioni di lobbisti presenti nel quartiere europeo di Bruxelles.

Inoltre le votazioni, anche quelle più politiche, avvengono dopo un lungo lavoro di concertazione tra istituzioni dalle logiche molto diverse: il Parlamento deve mettersi d'accordo con il Consiglio, dove dominano dinamiche intergovernative poiché sono gli Stati membri che vi si riuniscono, e con la Commissione, che è composta da personalità di vari schieramenti politici ma attente a rimanere al di sopra delle parti. "Il funzionamento del parlamento non si basa mai su una maggioranza o una coalizione stabile", spiega Florent Saint Martin, assistente parlamentare e professore a Sciences-Po di Parigi. Secondo lui nel 2008 nove votazioni su dieci avrebbero raccolto i voti di almeno l'80 per cento dei deputati. "Questa coesione permette ai deputati di avere una grande influenza nei confronti del Consiglio e della Commissione", analizza Olivier Costa, ricercatore presso il Cnrs e autore con Saint Martin di un recente libro sul Parlamento europeo (Le Parlament européen, La Documentation française, aprile 2009).

Fondamentali nella ricerca del consenso, i tre principali gruppi parlamentari – il Partito popolare europeo, i socialisti e i liberali – mostrano un tasso di coesione interna superiore all'85 per cento in occasione delle votazioni, secondo il sito VoteWatch.eu, gestito dai ricercatori dell'Università libera di Bruxelles e della London School of Economics.

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L'attività istituzionale europea non ha però impedito vivaci discussioni sui testi più emblematici della legislatura. La direttiva "Bolkestein", il regolamento Reach sui prodotti chimici, il fallimento della conciliazione sull'orario di lavoro, il pacchetto sul clima, la direttiva "ritorno" sull'immigrazione, sono tutti testi che, prima della definizione di un compromesso sottoposto a votazione, hanno risvegliato le divisioni abituali tra partiti con posizioni diametralmente opposte. "Le questioni economiche e sociali, l'ambiente o l'immigrazione rimangono argomenti di scontro tra destra e sinistra", secondo Saint Martin.

Inoltre non è solo la logica di partito a indebolire la coesione dei principali gruppi. Durante le sedute dedicate alle votazioni, "i deputati dispongono spesso di una duplice consegna di voto, quella della loro formazione e quella del governo del loro paese di origine", osserva un diplomatico incaricato di seguire i lavori parlamentari, "per non parlare poi del lavoro dei lobbisti". In occasione di ogni dibattito importante, alcune rappresentanze permanenti degli Stati membri a Bruxelles mandano ai loro deputati delle "note di orientamento" nelle quali sono suggerite le posizioni da adottare. Ai deputati spetta la scelta di seguirle o meno.

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