Attualità Il cambiamento climatico nel Sud Europa | Spagna sud-orientale
Tipico paesaggio nel deserto del Tabernas, Spagna. | Davide Mancini

Come la coltura dell’olivo accellera la desertificazione in Spagna

La siccità spinse i Romani a ritirarsi dalla Spagna sud-orientale; gli Arabi, al contrario, seppero adattarsi alla poca acqua disponibile. Oggi la produzione industriale di olio d'oliva, unita ai cambiamenti climatici, è poco compatibile con i vecchi sistemi di coltivazione, e contribuisce alla desertificazione dei terreni. Questo articolo fa parte di una serie sull'impatto del riscaldamento globale scelta dai membri di Voxeurop.

Pubblicato il 13 Settembre 2021 alle 14:58
Tipico paesaggio nel deserto del Tabernas, Spagna. | Davide Mancini

La vegetazione intorno al canale d'irrigazione è tanto fitta che la luce del sole si fa strada a fatica attraversi rami e foglie sopra le nostre teste. Pochi metri più in là, oltre i cespugli, la temperatura raggiunge i 40 gradi, rendendo difficile rimanere sotto il sole. Le pareti rocciose del canyon da cui sgorga il Rio Aguas, nella provincia di Almería, in Andalusia, sono costellate da lucenti striature di gesso, il cristallo bianco che da sempre caratterizza quest'area carsica e la sua rete di grotte e canali sotterranei. A qualche chilometro dal deserto di Tabernas, nel sud della Spagna, il fiume Aguas dà origine ad un'oasi unica, contenente una grande varietà di specie autoctone, come la testuggine greca o la testuggine palustre mediterranea.

Il termine acequia deriva dall'arabo al-sāqiyah, ed è usato tutt'ora in spagnolo per indicare i canali che distribuiscono l'acqua sorgiva per uso agricolo e domestico. Il canale di Los Molinos del Rio Aguas è l'unica fonte d'acqua per i pochi abitanti di questo villaggio ripopolato. 


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Santos, l'acequiero di questa piccola comunità, è responsabile della pulizia e della manutenzione del corso d'acqua. Circa venti case sono tuttora abitate, principalmente da persone che hanno scelto di vivere senza dipendere dalle utenze pubbliche, producendo la propria energia elettrica tramite pannelli solari e basandosi sulla loro unica fonte d'acqua, il fiume, in maniera indipendente dall'amministrazione locale. Arrivati alla fine dell'acequia, Santos mi mostra una piccola porta scavata nella roccia, da cui sgorga l'acqua. Pare che questa grotta, scavata dall'uomo, sia ancora più antica del sistema dell'acequia stesso, progettato dagli ingegneri di Al-Andalus, e risalirebbe all'epoca romana. Nonostante le svariate richieste inoltrate all'amministrazione regionale per datare la creazione della grotta, nessuno studio è stato ancora condotto. È certo, però, che i Romani occuparono quest'area della penisola iberica circa 2200 anni fa, e che l'ambiente circostante era molto più ricco di vegetazione di quello trovato dagli arabi secoli dopo.

Questo modesto corso d'acqua non è nulla di impressionante, ma è uno dei rari fiumi perenni della zona, la più secca dell'Europa continentale. La continuità del flusso garantisce l'esistenza di questa oasi europea che ospita salici, pioppi bianchi e oleandri. Ma ricercatori e ambientalisti mettono in guardia sulla prossima, possibile scomparsa del fiume, e con esso delle riserve d'acqua di Los Molinos e degli altri paesi che sorgono sul suo percorso verso il Mediterraneo. I sempre più numerosi uliveti limitrofi sembrano avere un impatto diretto sulla falda acquifera sotterranea da cui sorge il Rio Aguas. Nel 2000, da questa fonte sgorgavano 40 litri d'acqua al minuto; nel 2020, sono solo 7,28 litri. Una diminuzione drastica, in un periodo di tempo che coincide con una massiccia espansione della coltivazione di ulivi nella zona.

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Negli anni '70, al confine con il deserto di Tabernas vi erano 400 ettari di uliveti. Oggi, ve ne sono circa 4400, di cui 1550 a regime superintensivo. Quella dell'ulivo è conosciuta per essere una coltura mediterranea che ha bisogno di poca acqua, tanto che normalmente non necessiterebbe neanche di essere irrigata. Ma gli sviluppi nell'industria agricola non hanno tardato a trovare nuovi modi per aumentare la produzione a conferma del paradosso di Jevons: "più le innovazioni tecnologiche accrescono l'efficienza con cui una risorsa viene utilizzata, più è probabile che il consumo di tale risorsa aumenti".

Dai 65-100 alberi per ettaro che venivano piantati, tradizionalmente, in questa zona, la produzione è salita fino a 210 alberi: nelle coltivazioni superintensive si trovano fino a 1500 alberi per ettaro. La qualità dell'olio d'oliva prodotto è di molto inferiore a quella del prodotto originale, tradizionalmente venduto come "Oro del deserto", e il poco spazio tra gli alberi rende l'uliveto molto poco sostenibile, dato che le piante diventano meno produttive dopo 10-15 anni, una volta cresciute. La produzione di olive dipende dall'estrazione massiccia di acqua dalla falda: secondo uno studio pubblicato dalla rivista Land, per renderla possibile sono necessari tra i 14 e i 20 milioni di metri cubi d'acqua. 

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