Analisi Patto europeo sulla migrazione e l’asilo #2

Le associazioni di migranti chiedono “il minimo: diritti e opportunità per tutte e tutti”

Le persone senza documenti di soggiorno in regola rifiutano la dicotomia tra migranti “buoni” e “cattivi” portata avanti dalla Commissione europea e dagli Stati Membri e chiedono di poter risiedere legalmente nell’Unione europea. Questo è il secondo articolo della nostra seria dedicata ai possibili effetti del recente Patto europeo sulla migrazione e l’asilo.

Pubblicato il 26 Novembre 2020 alle 16:30

Il 17 ottobre 2020 decine di migliaia di persone hanno marciato per le strade di Parigi per chiedere "uguaglianza, nient’altro che uguaglianza". Uguaglianza per quelle donne, uomini e bambini che, in gergo europeo, sono chiamati "cittadini di paesi terzi in soggiorno irregolare", ma che, nella lettera aperta al Presidente francese Emmanuel Macron, si sono  firmati "i partecipanti all'Atto 3 dei Sans-Papiers". Macron si è rifiutato di incontrarli: riceverli avrebbe significato riconoscere la loro esistenza. 

In Francia, come altrove in Europa, i migranti senza documenti in regola— tra i 4 e 5 milioni di persone nell’Ue —  sono considerati un numero da ridurre, dei migranti “irregolari” in attesa di essere espulsi. Anche se si tratta di persone che si trovano in Europa da diversi anni o che sono nati in un Paese Ue. E poiché “non hanno il diritto di restare”, secondo il  leitmotiv della Commissione, queste persone devono essere allontanate dal suolo europeo. 

“Finzione di non ingresso”

Il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo presentato lo scorso 23 settembre sposa questa politica. Nonostante l’accento sia messo sulle persone che arrivano alle frontiere esterne dell’Unione, contiene diversi elementi che preoccupano la Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants (Picum): in un comunicato questo network di organizzazioni critica in particolare la scelta di estendere alle persone già presenti sul territorio dell’Ue la procedura di “accertamenti obbligatori” se “non vi sono indicazioni che il loro ingresso attraverso una frontiera esterna sia avvenuto in modo autorizzato”, cosa che porterebbe ad un aumento dei controlli delle “persone e delle comunità che già si trovano ad affrontare pratiche discriminatorie da parte della polizia”. 

Altro elemento preoccupante: la cosiddetta  “finzione di non ingresso”, concetto nato in Germania e che si è fatto strada, grazie al lobbying di Berlino, fino ad arrivare nero su bianco in un testo comunitario. Il Patto precisa che durante le procedure di “accertamenti obbligatori” o di domanda di protezione internazionale alla frontiera, le persone “non sono autorizzate a entrare nel territorio di uno Stato membro”. Per giorni, settimane, mesi o persino anni, una persona può essere fisicamente sul terroritorio dell’Ue senza essere, di fatto, “legalmente” arrivata. 

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Ripercorrendo la storia di questo concetto, inizialmente applicato alle zone di transito degli aeroporti, la ricercatrice Kelly Soderstrom fa notare che dissociare l’arrivo fisico e l’arrivo legale permettere di rendere le frontiere estremamente flessibili, proprio come, sostengono altri ricercatori, gli hotspot hanno portato a una “rottura sostanziale del legame tra territorio e diritti”.

Il lobbista dei sans-papiers

È proprio su questo legame tra territorio e diritti che gli attivisti sans-papiers basano le loro rivendicazioni, difendendole a livello locale ed europeo. In Belgio dal 2012, Abdul-Azim Azad è membro del Collettivo degli afgani ed è uno dei primi migranti senza documenti accreditato come lobbista al Parlamento europeo.

L’idea di un rappresentante europeo dei sans-papiers è stata lanciata nel 2017 dall’associazione Maison du peuple d’Europe e approvata dal Coordinamento dei sans-papiers del Belgio: Abdul-Azim è stato eletto insieme a un altro militante, Mamadou Diallo, ed entrambi hanno partecipato al Forum europeo della migrazione nel 2018 e nel 2019. Nonostante l’iniziativa sia ancora giovane, ha il merito di mettere in luce una questione essenziale: le persone sans-papiers sono dei “soggetti politici a pieno titolo” e devono “poter accedere alla regolarizzazione della loro situazione burocratica perché sono già residenti in Europa e partecipano alla vita economica, sociale e culturale dei Paesi europei”. 

Per giorni, settimane, mesi o persino anni, una persona può essere fisicamente sul territorio dell’Ue senza essere, di fatto, “legalmente” arrivata.

È un ragionamento opposto a quello seguito dalla Commissione europea e dagli Stati membri, secondo i qualisolo i "veri rifugiati" hanno diritto a un permesso di soggiorno in Europa, mentre i "finti rifugiati" e i "migranti economici" devono essere espulsi. Una distinzione respinta dal Coordinamento dei sans-papiers del Belgio, che ha recentemente ribadito al Governo la sua richiesta di regolarizzazione dei sans-papiers, anche alla luce della crisi sanitaria in corso. 

Questa rivendicazione è condivisa dall’insieme dei movimenti di attivisti sans-papiers in Europa, riuniti in diversi coordinamenti transnazionali come la Coalizione internazionale dei sans-papiers e migranti (che nell’aprile del 2020 ha inviato una lettera proprio su questo tema alle istituzioni europee), la Transnational Migrants Coordination (che ha promosso la giornata di mobilitazione del 17 ottobre 2020) e la campagna Papers for all

“Veri rifugiati” contro “finti rifugiati”

Ma è soprattutto a livello locale che le lotte portano a cambiamenti. Secondo Michele LeVoy, direttrice del Picum, le autorità locali possono svolgere un ruolo importante: "Diverse città in Europa, in contrasto con le politiche nazionali, offrono ai migranti senza documenti l'accesso ad alcuni servizi o sostengono organizzazioni che si occupano di fornire loro questo accesso". 

Mariema Faye, del Movimento Migranti e Rifugiati Napoli (MMRN), molto attivo a Napoli, la pensa allo stesso modo: “Il cambiamento arriva dal basso perché è lì che si vede la ripercussione delle norme sulla vita delle persone”. 

Nato nel 2015, il MMRN si è sviluppato all’interno del movimento Potere al Popolo e riunisce militanti italiani come Mariema e persone sans-papiers. Una delle ultime iniziative è stata la denuncia della “sanatoria truffa”, la campagna di regolarizzazione lanciata dal Governo italiano nel maggio del 2020, che “si è rivelata inefficace, ha alimentato le divisioni tra lavoratori migranti e ha creato un giro di contratti di lavoro falsi”, dice Mariema. “La verità”, continua la militante, “è che a uno stato fa comodo che ci sia questa fetta di popolazione invisibile da sfruttare e a cui non devi niente”.

"I movimenti di attivisti sans-papiers possono fare la differenza e cambiare il dibattito, soprattutto per quanto riguarda condizioni di lavoro eque", dice LeVoy di Picum, citando l'esempio del movimento dei lavoratori agricoli senza documenti in Florida. 

La riforma della Politica agricola europea potrebbe essere un’occasione di migliorare le condizioni dei lavoratori agricoli sans-papiers, in particolare se le sovvenzioni fossero subordinate al rispetto dei diritti dei lavoratori. “È però essenziale che i lavoratori possano denunciare i loro datori di lavoro senza che i loro dati vengano trasmessi ai servizi dell’immigrazione”, spiega LeVoy.

“Le nostre posizioni non sono radicali, chiediamo il minimo: diritti e opportunità per tutte e tutti”, dice Mariema. Quando questo sarà diventato il minimo, i sans-papiers avranno vinto la loro battaglia. 

👉 Gli altri articoli della serie

👉 Leggi anche la nostra serie sui "Dreamers d'Europa", giovani senza documenti, visto o nazionalità nell'era del coronavirus, realizzata in collaborazione con Lighthouse Reports e il Guardian.


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