Attualità Dove va l’Unione/2
Da sinistra: Felipe González, Helmut Kohl, Jacques Delors, François Mitterrand, Margaret Thatcher

Ridateci la Cee

L'Europa non è abbastanza omogenea da giustificare l'Unione Europea. Politici ambiziosi e oscuri tecnocrati chiedono ai cittadini solidarietà, ma il senso di appartenenza comune non esiste. Alla luce delle recenti crisi, non sarebbe meglio tornare alla vecchia Comunità europea?

Pubblicato il 25 Maggio 2010 alle 15:29
Da sinistra: Felipe González, Helmut Kohl, Jacques Delors, François Mitterrand, Margaret Thatcher

Non mi è ben chiaro cosa intendono quelli che si definiscono “europei”. Per me l'Europa rimane un concetto geografico che designa un gruppo di stati a occidente dell'Asia. Mentre in Asia a nessuno è mai venuto in mente di creare l'Unione asiatica, alcuni europei credono nell'esistenza di una fantomatica cultura europea, che dovrebbe raggiungere il suo massimo splendore una volta abbattuti tutti i confini. Un bel giorno questi europei hanno fondato l'Unione europea.

Poi è accaduto proprio quello che avevano previsto quelli come me: questa unione non ha retto, perché a volerla erano solo le elite politiche. L'Europa non è un entità culturale, ma geografica. Al nord c'è un'Europa dove si lavora duro e si risparmia, dove crescono i pini nelle terre desolate e i cittadini in generale hanno un rapporto responsabile con lo stato. Al sud si fa la siesta, si cena alle dieci della sera, i tori attraversano le strade e prendere per i fondelli i pubblici ufficiali è uno sport nazionale.

Ora noi del nord, grazie alle regole ideate dalle nostre elite, dobbiamo farci carico dei debiti di quelli del sud. Il problema è il seguente: io non provo nessuna solidarietà verso i greci o gli spagnoli. Sia chiaro, i greci e gli spagnoli che conosco mi piacciono molto. Ma non per questo mi sento obbligato a condividere i loro problemi finanziari.

La nostra classe dirigente europea la pensa diversamente. Hanno giocato tutta la loro credibilità sul progetto europeo, per questo si dichiarano convinti che dobbiamo salvare i greci, perché altrimenti saremmo perduti anche noi. Ma per me non è così. Per quanto mi riguarda i greci possono tranquillamente finire in bancarotta. Dovremmo comunque salvare le nostre banche, che con leggerezza hanno accordato ai greci miliardi di crediti, ma questo sarebbe un prezzo molto meno salato di quello che verrà presentato alla nostra Unione nei prossimi anni.

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Al sud l'indebitamento ha assunto forme drammatiche – l'Ue ha creato le condizioni per questo, e la Grecia e la Spagna, che senza pudori hanno lasciato che i loro poveri attingessero al forziere dell'Europa, ne hanno approfittato. Senza l'Ue, che ha consentito alle banche di prestare miliardi (tra l'altro i manager delle banche e i vertici della politica costituiscono una vera costellazione sovranazionale), questi paesi non sarebbero mai riusciti ad indebitarsi così tanto.

Uniti nella diversità

Quando da ragazzo ho viaggiato in giro per l'Europa, prima in autostop, poi con una due cavalli, vivevamo ancora nella Cee. Era un modello funzionale. Dovevamo lavorare insieme e abbattere il più possibile le barriere economiche. Però si rimaneva ciò che si era. I tedeschi avevano il loro solido marco, affidabile come una Mercedes-Benz. Io avevo il fiorino, abile come un commerciante olandese del XVII secolo. I francesi avevano il loro elegante franco, e gli italiani la lira, decadente e fascinosa come Mastroianni e Anita Ekberg ne La dolce vita di Fellini.

Unità nella diversità, questa era la Cee. Nella Cee l'obiettivo dei funzionari e dei politici era quello di sostenere gli affari di imprese e individui, e per il resto di vivere tranquillamente fianco a fianco. Ma evidentemente la Cee non era abbastanza. Doveva generare una concentrazione di potere. Spuntò l'idea di un presidente europeo, che potesse parlare alla pari con il presidente statunitense e quello russo. Da questa illusione è nato quel caos che si chiama Europa.

Sotto ogni aspetto, l'Europa è troppo eterogenea per un'unione. Basta pensare che ci sono popoli, come i greci, che hanno un rapporto anarchico con il proprio stato, e altri, come i danesi, che considerano lo stato un indiscutibile apparato d'ordine. Nonostante le condizioni economiche e finanziarie imposte dall'Ue, le nazioni europee hanno continuato a comportarsi come entità autonome. L'Ue non ha aiutato i paesi del sud, ma al contrario, come ora è chiaro, ha rafforzato i loro vizi peggiori: avidità, mancanza di responsabilità, egoismo, inganno, spreco di denaro. La Cee era il modello ideale per l'Europa. Ma i nostri politici ambiziosi si sono impuntati a tutti costi su un progetto grandioso: la pacifica unificazione dell'Europa attraverso una nuova, strisciante burocrazia europea. Ora la crisi greca ci dice: l'Europa non esiste. È solo il chiodo fisso dei burocrati di Bruxelles.

La Costituzione dei tecnocrati

Quando a Bruxelles si discuteva la Costituzione europea, mi chiedevo come mai i suoi padri spirituali non apparissero nelle televisioni di tutto il continente. Dove erano i loro discorsi commoventi e le loro tirate sull'anima europea e sulla missione europea nel mondo? La costituzione europea non è nata da profetici padri fondatori, ma da tecnocrati che ora intravedono la loro grande occasione: il problema dei paesi mediterranei richiede pacchetti di salvataggio da centinaia di miliardi.

Bruxelles riuscirà a sistemare tutto e a imporre ai paesi salvati dalla bancarotta durissime condizioni. Il primo paese che in questo modo trasferisce gran parte della sua sovranità a Bruxelles è la Grecia, che sarà il primo vero protettorato europeo. Un popolo antichissimo con le sue tradizioni e i suoi stili di vita sarà amministrato da tecnocrati sovranazionali. Sono proprio curioso di vedere quanto potrà durare. Sarebbe bello se ora si tenesse un referendum nei paesi membri dell'Ue che devono pagare il conto. Bisognerebbe chiedersi se per la pace e la prosperità europea la Cee non sarebbe un'alternativa di gran lunga migliore all'Ue e all'euro. Eventualmente, i tecnocrati di Bruxelles disoccupati potrebbero trovare impiego nei ristoranti greci.

Ogni tanto, aprendo un cassetto, mi imbatto in qualche fiorino. Da poco ho addirittura trovato una banconota da cento fiorini. No, non la cambio in euro. La conservo per il ritorno del fiorino. E del marco. Della lira. Della dracma. Della Cee. (nv)

Analisi

La moneta senza stato

"L'euro senza Europa", recita la copertina dello speciale che Limes dedica all'Unione europea e alla moneta unica. La rivista italiana di geopolitica traccia un quadro d'insieme degli eventi che negli ultimi mesi hanno riportato l'Ue sotto i riflettori: la crisi della Grecia, i dubbi della Germania, gli intoppi dell'integrazione e dell'allargamento a est. Su tutte spicca la questione del futuro dell'eurozona: quella che fino a pochi mesi fa appariva come la più solida delle conquiste dell'Europa unita si è rivelata una "moneta senza stato", nata dal fragile compromesso tra due visioni radicalmente diverse, scrive Marcello De Cecco nel pezzo di apertura. Da una parte, infatti, c'è l'ideale di una moneta forte e stabile per cui la Germania aveva accettato di sacrificare l'amato marco in cambio del via libera alla riunificazione con l'Rdt nel 1990; dall'altra la necessità geostrategica di un allargamento che includesse nella sfera di influenza e stabilizzazione europea prima i paesi mediterranei e poi quelli dell'ex blocco sovietico. Così è bastata una crisi finanziaria per rivelare la contraddizione e rendere probabile l'"impensabile": che Berlino decida che l'"esperimento è finito" e abbandoni l'euro per tornare alla sua vecchia area d'influenza monetaria.

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