Salviamo l’Europa dai suoi amici

La peggiore minaccia all'Ue non sono gli euroscettici e gli eurofobi, ma gli "euroforici", intellettuali e politici che sostengono l'europeismo a ogni costo con un fervore quasi religioso.

Pubblicato il 22 Ottobre 2012 alle 15:14

L'Europa è l'ultima ideologia lecita, almeno per i suoi propagandisti più ostinati. L'Europa non si merita un simile trattamento, e dovrebbe essere protetta dai suoi più zelanti sostenitori. Perché l'Europa è soprattutto una struttura instabile, venerabile ma allo stesso tempo fragile e per di più in piena crisi. Con l'Unione europea, l'Europa ha avvolto la sua storia e il suo futuro in una pelle in continuo cambiamento. Ma a causa della crisi le sue mute sono un po' più frequenti del solito – l'ultima risale al vertice anticrisi di Bruxelles. Si tratta ormai di sostituire alle misure transitorie una struttura più solida. Ma la forma precisa che dovrà avere è oggetto, come al solito in Europa, di numerose controversie.

Il problema è che l'Europa è anche agitata come uno spauracchio da un gran numero di persone spaventate dalla globalizzazione, da chi non ha alcuna voglia di mettere mano al portafoglio per altri paesi o regione e da chi cova una rabbia terribile e fa dell'Unione europea l'oggetto di tutto il proprio odio. Esiste infine una terza Europa, quella degli "euroforici", cioè quelle persone che vogliono più Europa e il più presto possibile. Persone che trasformano l'Ue in una visione del mondo e la strumentalizzano in un'ideologia.

A differenza dei populisti eurofobi come Umberto Bossi in Italia, Geert Wilders nei Paesi Bassi o i Veri finlandesi [oggi ribattezzati "I finlandesi"], gli ideologi dell'Ue non sono affatto marginali, hanno un'influenza notevole e i loro argomenti appaiono sotto una forma edulcorata nei discorsi di molti responsabili politici, come il capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker o di Wolfgang Schäuble [ministro delle Finanze tedesco]. Si tratta di schemi di pensiero che inquinano spesso il dibattito e nel peggiore dei casi favoriscono i movimenti populisti di destra.

I portavoce di questi euroforici sono intellettuali famosi come Ulrich Beck, Robert Menasse o Daniel Cohn-Bendit. Cercando di sfuggire ai demoni del passato attraverso un'Europa completamente integrata, composta da stati-nazione ridotti a nulla, e finiscono per ricollegarsi al passato con l'ideologia e con il "guglieminismo" [desiderio di grandezza nazionale tipico del regno dell'imperatore Gugliemo II (1888-1918)].

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Oggi nel loro manifesto europeo [Europa, in piedi!, firmato da Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt] descrivono un quadro particolarmente negativo del continente e ci avvertono che ci attende una situazione ancora peggiore se non avvieremo subito il cantiere dell'integrazione totale dell'Unione. "L'influenza della nostra civiltà bimillenaria rischia di essere letteralmente spazzata via". Ma i problemi non riguardano solo l'Europa. Anche il mondo corre gravi pericoli, e ci attendono "liti commerciali di grande portata e nuovi conflitti militari internazionali" .

Come è possibile che persone così equilibrate siano arrivate a questo punto? L'impresa nella quale si lanciano oggi gli euroforici è paradossale: nel momento in cui l'Europa è in preda a difficoltà senza precedenti, questi personaggi vogliono farle compiere il più grande balzo in avanti della sua storia. Per loro bisogna affrettarsi proprio perché i tempi sono difficili. Un ragionamento contrario a qualunque forma di buon senso. Chiunque vi dirà che quando qualcosa va male bisogna usare prudenza. Ed è proprio per questo motivo che Cohn-Bendit e Verhofstad rendono il quadro generale ancora più fosco.

Karl Popper, il grande filosofo della ragione, ha indicato come segno caratteristico delle ideologie il fatto che non ne possa essere dimostrata la falsità, e quindi la loro irrefutabilità. Questo vale anche per gli euroforici. Di fronte a qualunque problema dell'Ue, a qualunque dubbio ragionevole sulla strada intrapresa, i nostri politici rispondono: per ridurre le debolezze dell'Ue c'è una sola soluzione, (molta) più Ue! Ma la gente adotta un ragionamento del genere solo quando non ha altre alternative.

L'obiettivo è proprio quello di far credere che non vi siano altre vie di uscita. "Essere o non essere", oppure "Adesso o mai più e solo noi potremo farlo". Ecco cosa dicevano tutte le guide ideologiche del secolo scorso. Per Cohn-Bendit e Verhofstadt, i nostri due esaltati della scena politica europea, questo porta a un atteggiamento singolare, quasi rivoluzionario. E chiedono energicamente ai loro immaginari compagni europeisti: "Per facilità, vigliaccheria e mancanza di lungimiranza, troppi capi di stato e di governo preferiscono non vedere quello che è in gioco. Destiamoli dal loro sonno, mettiamoli sotto pressione".

L'uso del termine "vigliaccheria" è interessante perché lascia intendere che se Angela Merkel o François Hollande non vogliono fare questo grande balzo in avanti è solo per paura di non essere rieletti. In realtà il problema è che in Europa queste idee non sono maggioritarie, perché la gente non ha ancora abbastanza paura o perché non vuole lasciarsi ingannare.

Anche Robert Menasse ci dà un un'idea della sua discrezione facendo ricorso a toni molto duri: "Sul medio periodo si potranno anche sopprimere i parlamenti nazionali. Questo ci eviterà di essere confrontati ad alcune assurdità come il blocco della politica di bilancio comune da parte di David Cameron per proteggere gli speculatori della sua City, mentre il Regno Unito non fa neanche parte dell'Unione monetaria europea". In altre parole l'idea è la seguente: Menasse ritiene di poter mettere a tacere i cittadini (e sopprimere i loro interessi) semplicemente togliendo loro la possibilità di esprimersi per via parlamentare.

Invidia dello stato

Anche l'antiriformismo è presente in questa ideologia europea. Allo stesso modo che sotto la Repubblica di Weimar i socialdemocratici si vedevano accusare di riformismo dai comunisti, le masse rivoluzionarie europee sono oggi pregate da Cohn-Bendit e Verhofstadt di non lasciarsi addormentare dal sistema: "Si impone una rivoluzione radicale. Una rivoluzione europea di grande portata. Rifiutate le riforme troppo timide".

L'argomento che parla di un'unica integrazione che permetterà all'Europa di affermarsi in un mondo cambiato, di fronte alle grandi potenze come gli Stati Uniti, l'India, il Brasile, la Russia e la Cina, non è privo di fondamento. Ma questa affermazione è solo una giustificazione pragmatica che ricorda il guglielminismo. L'Europa vuole avere un posto al sole. Si tratta di un'ambizione legittima, ma non dovrebbe dare troppa risonanza a questo progetto. Tanto più che gli stati con i quali l'Europa avrà a che fare in futuro sono soprattutto degli stati-nazione.

Il problema non sarebbe quindi nazione o non nazione, ma quale dovrebbe essere la sua dimensione e la sua potenza. Si ha quasi l'impressione che in Europa lo stato-nazione metta gli euroforici a disagio o addirittura che lo ammirino. A questo complesso di inferiorità - che purtroppo ricorda sempre quello di Guglielmo II - si aggiunge un pizzico di megalomania.

Se l'Europa non dovesse unirsi, rischiamo nuove guerre mondiali. Senza l'Europa, affermano i Verdi, non potremo impedire uno stravolgimento climatico. Non sarebbe forse meglio dire che l'Europa, come gli altri, sta semplicemente cercando la sua strada e poi si vedrà? È curioso sentire delle persone, peraltro sensate, lasciarsi strumentalizzare dall'ideologia e in particolare a proposito dell'Europa, il nostro povero continente, che deve quel po' di saggezza proprio ai numerosi disastri che si è inflitta. In Europa si può parlare di tutto e di qualunque riforma, ma non con questi toni.

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