Idee L’Europa e la storia

“Intera e libera”: il 24 febbraio 2022 è nata l’Europa post-Muro? 

La caduta del muro di Berlino ha aperto una fase di grandi speranze per l’Europa. E se la confrontiamo con quegli ideali, la differenza oggi è schioccante. Nel 1989 si parlava di abbattere muri, fili spinati, aprire le frontiere. Cosa è successo? La riflessione dello storico e giornalista britannico Timothy Gaston Ash per la New York Review of Books.

Pubblicato il 28 Dicembre 2023 alle 02:41
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Può suonare bizzarro, ma la formulazione più visionaria di ciò che noi europei abbiamo cercato di realizzare nel nostro continente proviene da un presidente americano, la cosiddetta  “vision thing” di George H. W. Bush. Nel maggio 1989, nella città tedesca di Magonza (1) Bush ha pronunciato la celebre frase “Let Europe be whole and free", dichiarando che "la crescente libertà politica a est, una Berlino senza barriere, un ambiente più pulito e un'Europa meno militarizzata" erano "le fondamenta della nostra visione: un'Europa libera e in pace con se stessa".

L'obiettivo è quindi triplice: integra, libera e in pace. Come ha agito l'Europa rispetto a questi parametri negli oltre trent'anni trascorsi dal 1989? Questa visione si sta avvicinando o si sta allontanando? 

L’era post-muro dell’Europa: la fallacia dell’estrapolazione

L'Europa del dopo-Muro è una storia in due momenti. Se prendiamo il periodo dal 1989 al 2007, possiamo definirlo come un momento di straordinari progressi. La libertà politica si è affacciata e diffusa nell'Europa centrale, orientale e sudorientale. La Germania è unita, le truppe sovietiche ritirate. Nuove democrazie si sono unite all'Unione europea e alla NATO. Nel 1989, quella che allora si chiamava ancora Comunità europea, contava 12 membri, la NATO 16. Nel 2007 l'Ue conta 27 membri, la NATO 26.

Mai prima di allora così tanti paesi europei erano stati sovrani, democratici e giuridicamente uguali nella stessa comunità, basata su sicurezza, politica ed economica. I cittadini e le cittadine dell’Ue potevano volare da un capo all'altro del continente senza mostrare il passaporto. Molti dei paesi lungo il percorso condividevano una moneta unica, l'euro. Eravamo di fronte ad uno spazio europeo unico e di dimensioni senza precedenti, che godeva di un livello di pace e libertà anch’esso senza precedenti.

Certamente, questo è stato anche un periodo che ha visto cinque guerre nell'ex Jugoslavia, tra cui quella più brutale e genocida in Bosnia. L'ultima di queste guerre, in Macedonia, si è conclusa alla fine del 2001. 

La svolta cruciale per l'Europa è avvenuta nel 2008. Due eventi, separati ma quasi simultanei —l'occupazione militare da parte di Vladimir Putin di due aree della Georgia, l'Ossezia del Sud e l'Abkhazia in agosto, e lo scoppio della crisi finanziaria globale con il crollo di Lehman Brothers in settembre — hanno aperto una fase negativa, che è proseguita per tutta la seconda metà del periodo post-Muro. La crisi finanziaria ha dato il via a quella che è stata definita la "grande recessione" in molti paesi europei, e ha provocato la crisi dell'Eurozona, cominciata nel 2010, che ha colpito duramente soprattutto i paesi dell'Europa meridionale, come la Grecia. Sempre nel 2010 Viktor Orbán ha cominciato il suo lavoro di demolizione della democrazia in Ungheria. Nel 2014 Putin ha proceduto all’annessione della Crimea e dato inizio, nell'Ucraina orientale, alla guerra russo-ucraina.

La crisi dei rifugiati cominciata nel 2015 ha provocato un forte aumento dei consensi per i partiti nazionalisti-populisti di destra, come l'Alternative für Deutschland (AfD) in Germania e il Rassemblement National (ex Fronte Nazionale) di Marine Le Pen in Francia. In Polonia, il partito Diritto e Giustizia, dopo aver conquistato la presidenza del paese e la maggioranza assoluta in parlamento, ha preso la direzione già tracciata da Orbán: è così cominciata l’erosione della fragile democrazia polacca. Nel 2016 si è tenuto il referendum sulla Brexit, che ha portato all'uscita della Regno Unito dall'Ue, e poi l'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, anch'essa un momento significativo nella storia europea. La pandemia di Covid è poi arrivata nel 2020, con conseguenze economiche, sociali e psicologiche che si stanno ancora manifestando. Questa serie di crisi ha raggiunto il suo punto più critico – almeno finora – con l'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte di Putin il 24 febbraio 2022.

Sarebbe necessario un altro saggio per analizzare tutte i diversi tipi di  arroganza che hanno contribuito a questa svolta negativa dopo il 2008, ma vale la pena sottolineare un errore fondamentale nel modo in cui molti europei (e americani) hanno guardato alla nostra storia recente. 

Per dirla in parole semplici, si tratta della fallacia dell'estrapolazione. Sulla base di come abbiamo letto gli eventi per quasi due decenni successivi al 1989 abbiamo pensato che, in qualche modo, le cose sarebbero continuate ad andare in quella direzione, anche se con eventuali battute d'arresto lungo il percorso.  Abbiamo preso la storia con la “s” minuscola, la storia come realmente accade — un prodotto dell'interazione tra strutture e processi profondi, da un lato, e contingenza, congiuntura, volontà collettiva e leadership individuale, dall'altro — e l'abbiamo erroneamente interpretata come se fosse la Storia con la “S” maiuscola, un processo hegeliano di inevitabile progresso verso la libertà. Ma la libertà non è un processo. È una lotta costante. Il punto è perfettamente colto dalla parola ucraina “volia”, che significa libertà ma anche volontà di lottare per ottenerla.

Anche se è presto per giudicare quest'ultimo evento in una corretta prospettiva storica, sembra plausibile pensare che il 24 febbraio 2022 segni la fine del periodo post-muro cominciato il 9 novembre 1989. Siamo entrati in una nuova era, di cui nessuno conosce ancora il carattere e il nome. A che punto è l'Europa oggi? In pace? Libera? Intera?

In pace?

L'Europa non è in pace. In Ucraina c'è la più grande guerra in Europa dal 1945. "Mai più!" gridarono gli europei nel 1945, dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale e della Shoah. E questo è stato il primo comandamento dell'Europa postbellica. 

Eppure, l'Europa meridionale ha vissuto fino agli anni Settanta sotto dittature fasciste, mentre la metà orientale del continente ha continuato a subire invasioni e repressioni violente fino al 1989. Dopo la fine della Guerra fredda, l'Europa si è stabilizzata come un continente di pace perpetua kantiana. Quasi immediatamente, nell'ex Jugoslavia scoppiò la guerra. Dopo il massacro nella città bosniaca di Srebrenica nel 1995, gli europei hanno detto ancora una volta: "Mai più!". E invece è successo di nuovo. 

Questo è il "mai" che pare non arrivare mai. Quando ho cominciato a scrivere il mio libro Patrie: Una storia personale dell'Europa (Garzanti editore, 2023), cinque anni fa, mi sono detto che per far capire ai giovani europei gli orrori rispetto ai quali l'Europa del Dopoguerra si è definita, dovevo fare in fretta, e rintracciare gli ultimi anziani europei sopravvissuti, che avevano ancora ricordi personali di quell'inferno che era l'Europa durante la Seconda Guerra mondiale. Così ho fatto, in Germania, Francia e Polonia. 

Oggi, invece, per vivere questi orrori basta prendere un treno per l'Ucraina dalla città polacca sudorientale di Przemyśl. Orario di partenza 2023, arrivo 1943.

Non dimenticherò mai una conversazione, una sera mentre ero a Leopoli, con Yevhen Hulevych, che di mestiere fa il critico culturale. Yevhen alto, magro e di bell'aspetto, si era offerto volontario per servire nell'esercito ucraino dopo l'invasione russa su larga scala. Era stato ferito due volte, la seconda nell'estenuante campagna di fanteria per la liberazione di Cherson. Quando lo incontrai si stava preparando a tornare al fronte, ancora. Le reclute inesperte avrebbero avuto bisogno di lui, mi spiegò; la sua esperienza di combattimento avrebbe potuto salvare delle vite. Poche settimane è morto a causa del proiettile di un cecchino russo nel fango intriso di sangue intorno a Bakhmut, la Passchendaele ucraina (2). Penso spesso a Yevhen.

Le cifre delle vittime di questa guerra sono difficili da stabilire, in agosto gli ufficiali statunitensi hanno stimato che il numero totale di morti e feriti si avvicinava a 500mila: circa 120mila morti e 170-180mila feriti da parte russa; forse 70mila morti e 10-120mila feriti da parte ucraina. Il numero di morti in guerra in questo paese, che non supera i 40 milioni di persone, in un solo anno e mezzo supera quindi già i 58mila morti degli Stati Uniti in quasi due decenni di guerra in Vietnam. In un recente sondaggio, 4 ucraini su 5 hanno dichiarato di conoscere qualcuno, tra parenti o amici stretti, che è stato ucciso o ferito. E non si vede la fine.


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L'Europa è in guerra? Molti cittadini dell'Europa orientale direbbero di sì; la maggior parte di quelli dell'Europa occidentale direbbe di no. L'Europa non è in guerra come nel 1943, quando la maggior parte dei paesi europei era coinvolto direttamente nel conflitto, ma non è nemmeno in pace come nel 2003. Molti paesi europei sostengono lo sforzo bellico dell'Ucraina con armi, munizioni, addestramento e denaro. E come nel 1943, l'unica via per una pace duratura è la vittoria in guerra.

Un cessate il fuoco o un accordo di pace ora — che di fatto costringerebbe l'Ucraina a sacrificare un territorio grande quanto un piccolo paese europeo — sarebbe la ricetta per un conflitto futuro, non solo in Europa ma anche in Asia: il presidente cinese Xi Jinping potrebbe dedurne che l'aggressione armata paga. Ieri la Crimea, domani Taiwan. Una Russia, paese dotato di armi nucleari, non può essere ridotta alla "resa incondizionata", come la Germania nel 1945. Ma una prospettiva nella quale la Russia ceda il territorio che ha…

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