Un new deal europeo

Pubblicato il 18 Settembre 2009 alle 09:59

L'aumento della fame nel mondo ha già consumato l'80 per cento dei fondi del Programma alimentare mondiale (Pam). Basterebbe l'1 per cento del denaro iniettato nelle banche in questi ultimi mesi per evitare il loro fallimento per risanare la situazione. Di recente il primo ministro portoghese José Sócrates ha proposto di introdurre una nuova tassa sulle banche. L'alta finanza dovrebbe contribuire a risolvere un problema che essa stessa ha creato? Alcuni pensano di sì.

I limiti del modello degli ultimi venti anni sono evidenti: i modelli matematici non hanno previsto la crisi dei mercati finanziari. Gli strumenti stessi con i quali misuriamo la realtà economica possono provocare delle deformazioni, e non è un caso se il presidente Nicolas Sarkozy ha chiesto al premio Nobel Joseph Stiglitz di creare un nuovo indicatore per sostituire il Pil, che tenga conto della realtà sociale. Quella stessa realtà che in un periodo di crisi si degrada e genera tragedie umane: 23 suicidi a France Telecom in un anno, che mettono in discussione la gestione della società e la sua politica del personale.

Nel frattempo i giganti dell'industria rischiano una crisi di nervi al solo sentir parlare di limitare i bonus dei dirigenti. La Nestlé, per esempio, ha minacciato questa settimana di spostare la sua sede dalla Svizzera se il governo di Berna non farà marcia indietro sul suo progetto di limitare i redditi dei membri del consiglio di amministrazione. Con il 10 per cento di disoccupazione nell'intera Unione europea, la pressione per riformare le leggi sul lavoro e i diritti dei lavoratori si intensificheranno. Mentre Barack Obama cerca di introdurre negli Stati Uniti un sistema sanitario simile al nostro, non è forse giunto il momento per l'Europa per reinventare il new deal?

R.C.

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