Raul Tejero/Flickr

Vestiremo alla responsabile

Primavera-estate, autunno-inverno: la moda segue le stagioni. Oggi però gli stilisti vogliono contribuire alla lotta contro il riscaldamento globale. Ma attenti agli effetti della moda.

Pubblicato il 6 Novembre 2009 alle 18:23
Raul Tejero/Flickr

“Gli stilisti sono come dei meteorologi che prevedono ciò di cui il pubblico avrà bisogno e gli propongono di conseguenza vestiti capaci di proteggerli, di farli più belli oppure semplicemente di divertirli. È questo ciò che rende il mondo della moda tanto affascinante”. Lo scrive Terry Jones, direttore artistico e caporedattore di i-D magazine, rivista britannica famosa per la sua innovatività, nella prefazione al libro “Fashion Now”. Nelle grandi capitali europee della moda, lautunno è il momento delle “fashions week”, delle settimane della moda. Da Londra a Parigi passando per Milano, i grandi stilisti impongono al mondo le tendenze per la stagione in arrivo, e di fronte all’avanzare dei cambiamenti climatici, la parola “stagione” assume un altro significato. Degrado ambientale e inverni miti sono fenomeni che non si vedono solo nelle analisi scientifiche, ma che sono sempre più percettibili nella vita quotidiana. Gli stilisti di oggi ne tengono conto?

I cambiamenti climatici potranno mai cancellare le stagioni, rendendo inutili, ad esempio, gli accessori invernali? Marie Schlumberger ha fondato la marca francese Un été en automne, dopo la gavetta da Sonia Rykiel e Yves Saint Laurent, e risponde così: «I cambiamenti del clima cominciano a farsi sentire, ma per ora credo che la scomparsa delle stagioni non avverrà dall’oggi al domani». La sua azienda però, aggiunge, prende in considerazione tali evoluzioni e per questo si inserisce sulla scia di quella nuova filosofia, molto popolare nel mercato della moda, che potremmo chiamare “bioetica”. L’azienda di Marie collabora, ad esempio, con degli atelier in India impegnati nella difesa dei diritti umani sul luogo di lavoro, della non discriminazione nei guadagni tra uomo e donna, a parità di posizione lavorativa, e nella produzione da cotone ecologico. Ad ottobre Un été en automne ha partecipato all’Ethical Fashion Show, il Salone della moda etica, a Parigi. In Europa e nel mondo le case di moda che si pongono come obbiettivo l’ecologia e la sartoria etica nascono come funghi. A volte sono designer nuovi, giovani, ma esistono marche impegnate da molti anni, coma la britannica Continental Clothing, attiva dal 1994 e che definisce le sue creazioni “biologicamente positive”. La Continental mette nelle foto del suo sito anche il logo della Envinonmental Justice Foundation. Altri paesi non sono da meno.Vi preoccupate della natura e abitate in Irlanda, Francia o Polonia? Allora marche come la Edun, fondata da Ali Hewson e Bono degli U2, la Jeans Nu e The Earth Collection fanno per voi.

Ma attenzione a quanto scrivevano, con un pizzico di irona, Martine Moriconi e Catherine George-Hoyau nel loro Dizionario della moda contemporanea (Dictionnaire de la mode contemporaine, ed. Minerva, 1998): «Basta che tre stilisti passino le vacanze in Senegal, in Giappone o in Nepal perché i giornalisti di moda vedano in questo il segnale di una etno-moda in arrivo». È ammessa l’ironia nella situazione in cui ci ritroviamo? Per Céline Foucault, altra stilista francese, stavolta abbiamo davvero a che fare con una svolta a tutto tondo: Céline parla dell’importanza dei collettori solari e dei progetti per la diffusione di scooter verdi, per lei ogni attività che porti a dei vantaggi per i nostri figli è importante, anche nella moda. Per questo per le sue produzioni Lili l’a fait ordina cotone ecologico.

«Dobbiamo dimostrare che le persone possono sostituire il loro attuale guardaroba con uno etico ed ecologico, senza però rinunciare alle ultime tendenze della moda», afferma Juan Hinestroza, assistente al Dipartimento di scienza dei tessuti e progettazione di moda alla Cornell University, negli Usa. Hinestroza Sé convinto anche che «il trend continuerà se il consumatore potrà distinguere i prodotti verdi e responsabili da altri prodotti». Il professor Hinestroza è una delle persone che presentano una visione innovativa del futuro dell’industria dell’abbigliamento. Conduce ricerche sulle nanotecnologie e sulle loro applicazioni pratiche: due anni fa la cronaca accademica parlò di capi d’abbigliamento in grado di prevenire il raffreddore e di altri che neutralizzano i gas nocivi presenti nell’aria, che il professore americano realizzò, assieme ad altri scienziati e ad una studentessa, grazie al connubio di fibre di cotone e nanoparticelle. Unico difetto, il prezzo elevato. Il professore sogna anche tessuti elettronici o colorati senza tinture… Riusciamo a immaginarci questi metodi applicati sempre più spesso in Europa? Forse sì, l’importante è che questo sviluppo vada di pari passo con il senso di responsabilità.

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Aniela

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