Via dal nucleare, ma senza correre

Pubblicato il 18 Marzo 2011 alle 12:46

In Europa il nucleare è come l'immigrazione: tutti ne hanno bisogno ma nessuno lo vuole. E in entrambi i casi le conseguenze si scontano per molto tempo. L'immigrazione e l'energia nucleare sono questioni di lungo periodo, e non conviene affrontarli sull'onda delle emozioni o in una prospettiva limitata alla durata di un singolo mandato o addirittura di una singola campagna elettorale.

I leader europei sembrano però incapaci di resistere alla tentazione di cavalcare - e in alcuni casi di incoraggiare - le paure dei cittadini. A seguito dell'incidente alla centrale giapponese di Fukushima, un po' ovunque in Europa - con la notabile eccezione della Francia - i governi hanno evocato pause di riflessione, moratorie e referendum sul nucleare, in una corsa a chi denuncia per primo e con più forza i rischi dell'atomo e invoca l'abbandono dell'energia atomica. Il primo premio va sicuramente ad Angela Merkel.

Quello che i politici non dicono è che una parte dell'elettricità consumata nei loro paesi è importata, ed è anche di origine nucleare. Per esempio, il 10 per cento dell'elettricità consumata in Italia viene prodotta nelle centrali nucleari francesi. In questo modo le scorie restano altrove e si può affermare con orgoglio che non c'è nessun bisogno di reattori. In materia di energia, come per l'immigrazione o la politica estera, gli stati membri applicano la legge del'"ognuno per se e lunga vita alla sovranità nazionale". Il problema però è che l'energia nucleare rappresenta oggi il 30 per cento dell'elettricità prodotta nell'Unione europea.

Se le previsioni sul consumo di energia non cambieranno e se l'Europa vuole raggiungere gli obiettivi fissati in materia di riduzione delle emissioni di CO2, non ci sono alternative. Magari si tratta solo di una soluzione temporanea, valida fino a quando non saranno abbastanza sviluppate le energie rinnovabili (che per ora soddisfano appena il 7,8 per cento del fabbisogno Ue). L'abbandono del nucleare può dunque avvenire solo in maniera graduale, e presuppone una visione lungimirante e concreta.

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