Ramiro Zardoya voxeurop

Dieci anni dopo la crisi migratoria del 2015, tra vecchi miti e nuove realtà

A dieci anni dall’inizio della “crisi” migratoria del 2015, un bilancio delle politiche europee, alla luce dell’aumento della popolarità di partiti di estrema destra. Analisi.

Pubblicato il 30 Settembre 2025

Dieci anni fa cominciava la cosiddetta “estate della migrazione”, un concatenarsi di grandi ondate migratorie verso l’Unione europea. Una “crisi” caratterizzata, per il solo anno 2015, dall’ingresso irregolare di più di un milione di persone nel territorio europeo, specialmente siriani, afgani e iracheni. 

Nel 2025, più di 95mila persone hanno intrapreso la strada dell’esilio e sono arrivate in Europa in condizioni irregolari. Secondo l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), dal 2014 a oggi sono morte più di 32mila persone che cercavano di raggiungere i confini europei attraverso il Mediterraneo.

Con il tempo “l’estate della migrazione” ha smesso di essere solo una stagione: è diventata una nuova realtà, e la crisi del 2015 si è rivelata solo uno degli episodi di una lunga serie. Le tensioni ai confini tra Polonia e Bielorussia nel 2021, ma anche ai confini con la Russia, in Finlandia o nei paesi baltici, il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan e, ovviamente, la guerra in Ucraina sono sono alcuni degli eventi a dimostrazione di ciò che alcuni ancora negano: in un mondo segnato dall’instabilità politica, dalla precarietà economica e sociale e dalla minaccia del riscaldamento globale, i movimenti migratori sono, e continueranno, ad essere inevitabili.

L’incapacità di concepire il presente e il futuro si unisce a una difficoltà nel comprendere il passato. Del 2015 ricordiamo ancora il “Wir schaffen das!” (“Ce la faremo!”, in tedesco), discorso storico della cancelliera Angela Merkel che esprimeva la volontà della Germania di affrontare con determinazione l’arrivo di persone migranti sul territorio tedesco, una sfida senza precedenti. 

Impossibile dimenticare la commozione destata dalla foto di Aylan Kurdi, bambino siriano di origini curde, trovato morto su una spiaggia turca, e la successiva ondata di solidarietà.

Ci si ricorda meno, invece, delle criticità e dei limiti dei sistemi di accoglienza, che questa crisi avrebbe rivelato e consolidato negli anni a venire: basti pensare alle ispezioni di frontiera tra la Macedonia del Nord e la Grecia, al progetto di chiusura delle frontiere tedesche, alle controversie tra gli stati membri riguardo la gestione dei richiedenti asilo, il tanto discusso accordo migratorio tra l’Ue e la Turchia... 

Per non parlare della reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere interne e delle violazioni dei diritti umani. Nel mezzo di una crisi di questa portata, la solidarietà europea non ha resistito a lungo. Se Angela Merkel, che pur disponeva del capitale politico necessario a non perdere consensi, è riuscita ad affrontare il problema, gli altri stati membri non sono riusciti a fare lo stesso.

Una nuova realtà

Nel frattempo, i sistemi di accoglienza europei e nazionali si sono adattati a questa nuova realtà. Una delle più rilevanti misure adottate da Matteo Salvini, ministro dell’Interno dal 2018 al 2019, è stata l’abolizione della protezione umanitaria, un sistema che aveva protetto circa il 40 per cento dei richiedenti asilo, permettendo loro di restare in Italia nel caso in cui non fossero riusciti a richiedere lo status di rifugiato. 

A moltissime persone è stato impedito di rimanere legalmente all’interno del paese, determinando così un aumento delle espulsioni. I decreti Salvini hanno, inoltre, introdotto delle procedure d’asilo accelerate, esteso i poteri della polizia e potenziato le norme relative alla detenzione dei migranti. 


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La limitazione delle politiche di accoglienza italiane è in linea con una tendenza internazionale. Gli accordi di gestione dei movimenti migratori e di lotta all’immigrazione irregolare tra l’Ue e paesi come la Mauritania, la Tunisia, l’Egitto o la Libia, alcuni dei quali considerati responsabili di violazioni dei diritti umani sul loro territorio, sono la dimostrazione della volontà di impedire l’arrivo dei migranti in Europa a ogni costo. 

Progetti sovranazionali come la creazione di centri di rimpatrio per migranti fuori l’Ue, o iniziative nazionali come la sospensione temporanea del diritto d’asilo in Polonia confermano questa volontà di chiusura.

“Oggi, la narrazione dei leader europei sull’immigrazione è molto lontana dalle dichiarazioni di apertura di Angela Merkel del 2015”, afferma Silvia Carta dell’ong Picum. “Il discorso dominante al momento presenta l’immigrazione e le persone migranti come un problema, che va risolto principalmente con più ostacoli posti all’ingresso in Europa e più deportazioni.” Lo stesso vale per il traffico di esseri umani che, secondo Carta, non viene posto come una conseguenza delle attuali politiche restrittive, ma viene visto come la causa della crescente criminalizzazione delle persone migranti e delle organizzazioni che le aiutano.

Per Carta, questo clima politico porta sempre più persone “a vivere nell’irregolarità e senza alcuna tutela giuridica, privandole dei diritti fondamentali, esponendoli alla precarietà, alla clandestinità, allo sfruttamento o alla detenzione prolungata.”

Il sentimento di solidarietà europea non si è però completamente spento. Nel 2022, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha causato ulteriori spostamenti di massa, spingendo l’Ue ad attivare la Direttiva sulla protezione temporanea, che ha garantito agli ucraini costretti all’esilio un soggiorno legale immediato, nonché l’accesso al lavoro, all’istruzione e all’assistenza sanitaria. 

Una internazionale anti-immigrazione?

Gli ultimi dieci anni sono stati segnati dall’ascesa dei partiti di estrema destra in Europa, favoriti, tra l’altro, da una retorica anti-immigrazione.

In Germania, l’Alternativa per la Germania (AfD, estrema destra) ha visto crescere la propria popolarità tanto da arrivare a rappresentare, in dieci anni, la seconda forza politica del paese (4,7 per cento dei voti alle elezioni federali del 2013 contro il 20,8 per cento nel 2025). 

Lo stesso fenomeno si osserva in Francia, dove il Rassemblement National (RN, estrema destra), che vent’anni fa non si era aggiudicato neanche un seggio, ha conquistato il 28,5 per cento dei voti alle ultime elezioni legislative, divenendo così il primo partito del paese. 

E colpisce ancora di più il caso di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, oggi al governo: nel 2013, dopo le elezioni parlamentari, disponeva di appena nove seggi su 630, che corrisponde a circa il 2 per cento.

L’ascesa dell’estremismo di destra va di pari passo con uno spostamento dell’intero campo politico sulle questioni legate all’immigrazione. Spinti dalla necessità di conquistare gli elettori attratti da idee reazionarie e di sopravvivere in un contesto politico in cui le questioni legate all’immigrazione occupano un ruolo centrale, anche alcuni partiti di centro e di sinistra iniziano ad adottare posizioni più restrittive in materia d’immigrazione e asilo. Basti pensare a Sahra Wagenknecht, ex Die Linke (sinistra) in Germania, a Keir Starmer, del Partito laburista nel Regno Unito, alle leggi anti-immigrazione del partito socialdemocratico danese. La storia è costellata da personalità politiche di sinistra che hanno tentato di trarre vantaggio dalla lotta all’immigrazione, con più o meno successo. 

“A livello europeo, avevamo già assistito a questo spostamento politico nel 2024, con l’entrata in vigore del Patto sull’asilo e la migrazione, votato anche dai socialisti europei, nonostante gli appelli contrari dell’opinione pubblica”, ricorda Silvia Carta. “I dati dimostrano che assecondare questo tipo di retorica non fa che rafforzare l’estrema destra, invece di indebolirla.”

Carta sostiene che la situazione mette in luce una lacuna politica. “Mancano dei leader [...] in grado di mettere in luce come l’immigrazione e le persone migranti vengano strumentalizzate come capri espiatori, per dividere l’elettorato e distrarlo dalle falle sempre più evidenti dello stato sociale e dalle disuguaglianze economiche, sociali e razziali delle nostre società.”  

L’integrazione resta difficile

Per le persone migranti, l’integrazione resta difficile. Secondo un’indagine dell’Eurobarometro pubblicata nel 2023, più della metà degli oltre 25mila cittadini dell'Ue intervistati pensano che esista una discriminazione generalizzata nel loro paese, soprattutto legata al colore della pelle o all’origine etnica. 

Se è vero che l’integrazione all’interno del mercato del lavoro sta migliorando in alcuni paesi, rimane comunque complessa a causa delle barriere linguistiche, dei costi degli affitti o dell’accesso limitato ai servizi. Il dibattito pubblico oscilla tra il sentimento di solidarietà, la necessità di far fronte all’invecchiamento della popolazione attraverso l’immigrazione e le preoccupazioni riguardanti il sistema di accoglienza.

Uno studio pubblicato nel 2022 dall’Istituto francese di relazioni internazionali dimostra che, nonostante ricerche attive di occupazione, in Francia i rifugiati svolgono spesso lavori precari e subiscono un declassamento professionale, assunti soprattutto nei settori a basso reddito come l’edilizia, l’industria alberghiera e la ristorazione.

Anche a livello europeo, per le persone migranti è difficile trovare un’abitazione e accedere all’istruzione.

In dieci anni, l’idea che la “Fortezza Europa” si trovasse in serio pericolo e che dovesse essere difesa a ogni costo si è imposta in numerosi paesi, superando le tradizionali divergenze tra partiti politici. D’altro canto, i migranti si ritrovano comunque esposti, durante il viaggio o nel corso del loro inserimento in Europa, alle conseguenze politiche di gestione dell’immigrazione giustificate dalla “crisi”. 

“L’estate della migrazione” non solo non si è mai conclusa, ma si è ormai radicata nel nostro quotidiano.

🤝 Questo articolo è stato realizzato nell'ambito del progetto PULSE, un'iniziativa europea a sostegno della collaborazione giornalistica internazionale. Hanno contribuito alla sua realizzazione Irene Brickner, Hans Rauscher, Gerald John (Der Standard, Austria), Silvia Martelli (Il Sole 24 Ore, Italia), Dimitris Angelidis (EfSyn, Grecia), Daniela Ionita e Federico Baccini (OBCTranseuropa, transfrontaliero).

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