È il 2016. Donald Trump ha vinto le presidenziali americane e la Brexit ha promesso l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Entrambe le campagne hanno usato i servizi di Cambridge Analytica, che ha raccolto i dati di milioni di utenti Facebook per inviare comunicazioni elettorali personalizzate, allo scopo di influenzarne le intenzioni di voto. Milioni di persone cominciano a chiedersi se nell’era digitale non abbiano perso qualcosa di inestimabile valore: la privacy.
Due anni dopo, le mail degli europei sono pieni di messaggi di aziende che chiedono il permesso per il trattamento dei dati personali. L’obiettivo era di rispettare il nuovo Regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD). Nonostante i difetti, questa normativa è servita come punto di riferimento per alcune leggi in Brasile e Giappone e ha dato inizio ad una nuova era per la protezione dei dati.
Ciò che era prima considerato una vittoria per la tutela della privacy, è ora percepito come un blocco nella ricerca europea per lo sviluppo di tecnologie digitali, soprattutto dell’intelligenza artificiale (IA). Può il regolamento europeo proteggere la privacy dei suoi cittadini di fronte ad una tecnologia così poco trasparente?
Priorità ai diritti digitali o all’innovazione?
Un sistema di intelligenza artificiale è uno strumento informatico che utilizza algoritmi per generare correlazioni, previsioni, decisioni e suggerimenti. La sua capacità di influenzare le decisioni umane pone l’intelligenza artificiale al centro dell’economia dei dati.
La capacità dell’intelligenza artificiale di produrre un processo decisionale più efficiente inoltre conseguenze geopolitiche. Gli stati stanno infatti investendo sempre più nella tecnologia, spinti forse dal motto coniato da Vladimir Putin nel 2017: “Chiunque domini l’intelligenza artificiale domina il mondo”. Nel 2019 gli investimenti nell’IA sono triplicati negli Stati Uniti rispetto al 2015, mentre nello stesso periodo di tempo in Giappone sono stati di 12 volte maggiori.
“Chiunque domini l’intelligenza artificiale domina il mondo” - Vladimir Putin
Quest’idea “emergenziale” ha avuto ripercussioni in altri settori, compreso quello dei diritti digitali in Europa. I legislatori europei hanno quindi prodotto leggi per la privacy, combattendo i grandi monopoli digitali e creando degli standard per l'archiviazione sicura dei dati personali. Questi progressi in materia di diritti digitali potrebbero però minacciare la prosperità economica del continente.
Quando l’RGPD è stato applicato nel 2018, le aziende avevano già avvertito che il rispetto delle condizioni di tutela dei dati, considerate troppo rigide, avrebbe costituito un ostacolo all’innovazione tecnologica. Tra le argomentazioni più diffuse contro l’RGPD ci sono la riduzione della concorrenza, la difficoltà nel conformarsi al regolamento europeo e la possibilità limitata di creare degli “unicorni” europei, ovvero giovani startup con più di un miliardo di dollari di capitalizzazione azionaria. Gli investimenti delle aziende “unicorno” tendono a verificarsi in mercati scarsamente regolati.
Al contrario, Bruxelles sostiene che il suo mercato con oltre 500 milioni di cittadini con garanzie di stabilità politica e libertà economica continuerà ad attirare gli investitori. La commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, ha aggiunto quest’anno che la Commissione interverrà se i diritti fondamentali dei cittadini europei saranno in pericolo.
Perché gli eco-investitori si ritrovano a finanziare le “Big Oil”? A quali stratagemmi ricorre la finanza per raggiungere questo obiettivo? Come possono proteggersi i cittadini? Quale ruolo può svolgere la stampa? Ne abbiamo discusso con i nostri esperti Stefano Valentino e Giorgio Michalopoulos, che per Voxeurop analizzano i retroscena della finanza verde.
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