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Le sorti del regime di Lukašenka sono legate a doppio filo alla guerra in Ucraina

Legato a Vladimir Putin dal punto di vista economico, politico e militare, il dittatore bielorusso sa che una sconfitta di Mosca in Ucraina avrà come conseguenza anche la sua caduta. Ma può contare sul disinteresse dell'Occidente e sull'assenza di un'opposizione interna per andare avanti.

Pubblicato il 23 Gennaio 2025

Un interrogativo costante degli esperti dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina è se Vladimir Putin costringerà il suo cosiddetto “fratello minore”, la Bielorussia, a inviare soldati in guerra. Finora, fortunatamente, non lo ha fatto. 

Perché? Perché forse il Cremlino si rende conto che Aljaksandr Lukašenka non ha abbastanza unità ben addestrate: le sue forze speciali sono composte da poche migliaia di uomini, cosa che non farebbe certo la differenza sul campo. Al contrario, un loro invio al fronte potrebbe persino minare la “stabilità” bielorussa. 

Probabilmente Lukašenka ha convinto Mosca che la Bielorussia è più utile come fornitore di prodotti militari e civili – viste le sanzioni internazionali a cui è sottoposta la Russia – e come alleato, grazie al fatto che può fare pressione militare sull’Ucraina, e impegnare una parte parte delle forze armate di Kiev su un altro fronte. 

Lukašenka potrebbe anche aver detto a Putin, in conversazioni private, che i bielorussi non vogliono combattere contro gli ucraini (come ampiamente confermato dai sondaggi d'opinione). C’è il rischio che, una volta mandati in battaglia, i soldati bielorussi si arrendano e passino allo schieramento opposto. Per non parlare del fatto che l’intero paese si solleverebbe all’arrivo di convogli carichi di cadaveri di connazionali.

Non c’è dubbio che Lukašenka abbia in mano una carta vincente, che sta giocando nella campagna presidenziale in corso (le elezioni si svolgono il 26 gennaio): si è infatti mostrato ai suoi connazionali come un saggio e forte garante della pace. La propaganda di stato ha inculcato ai bielorussi la convinzione che se le precedenti elezioni presidenziali, quelle del 2020, fossero state vinte dai suoi oppositori, oggi anche la Bielorussia sarebbe in guerra.

Ed è davvero così, almeno per una parte dell’elettorato. Soprattutto se si considera che la maggior parte delle persone in Bielorussia non ha accesso a mezzi d’informazione che non siano pro-regime. 

Il co-aggessore cerca di tenere il piede in due staffe

Il presidente della Bielorussia sta cercando di tenere il piede in due staffe: da un lato, vuole dimostrare di essere un fedele alleato di Mosca, in modo da ottenere la sua fetta di torta. 

Per l’economia bielorussa la guerra ha aperto l’opportunità di occupare nuove nicchie nel mercato russo, oggi schiacciato dalle sanzioni, e di vendere beni sottoposti a sanzioni al vorace complesso militare-industriale della Russia. Ma questa situazione è instabile e, in generale, la turbolenza nella regione è fonte di tensioni per Minsk.

Ed è proprio per questo che, dall’altro lato, Lukašenka vuole presentarsi come pacificatore e prepararsi all’eventualità che la guerra finisca in un altro modo.

Lukašenka ha anche fatto abbassare i toni ai suoi propagandisti, che avevano attaccato l’Ucraina in modo eccessivo. Fa spesso notare ai suoi subordinati che prima o poi dovranno ricostruire i rapporti con gli ucraini e che in un futuro potrebbero partecipare alla ricostruzione postbellica del paese, cosa che ha provocato le reazioni sarcastiche dei commentatori ucraini.

Va detto che la guerra ha decisamente peggiorato l’atteggiamento degli ucraini non solo verso Lukašenka e il suo regime, ma anche verso il popolo bielorusso nel suo insieme. A salvarne parzialmente la reputazione è il reggimento di volontari bielorussi Kastuś Kalinoŭski (PKK) e anche gli sforzi dell’opposizione bielorussa, dei volontari, dei mezzi d’informazione indipendenti, degli esperti (compreso un certo numero di ucraini, ad esempio Jevhen Magda) che dimostrano che il regime di Lukašenka e il popolo bielorusso non sono la stessa cosa.

Tuttavia Kiev non vede ancora la necessità di espandere la cooperazione con le forze democratiche bielorusse in esilio per organizzare un incontro tra Volodymyr Zelensky e la leader del Consiglio di coordinamento della Bielorussia, Svjatlana Cichanoŭskaja, e sono abbastanza scettici riguardo al potenziale degli esiliati politici bielorussi.

Sedere al tavolo dei negoziati sull’Ucraina a ogni costo

Allo stesso tempo Lukašenka vuole essere presente ai negoziati sull’Ucraina e lo ha fatto sapere in diverse occasioni. Era molto infastidito dal fatto che i suoi oppositori avrebbero voluto privarlo di questa opportunità chiedendo alla Corte penale internazionale un mandato di arresto per lui.

In ottobre Lukašenka ha avvertito Putin della necessità di includere anche i bielorussi ai negoziati di pace. Teme che l’Occidente (soprattutto gli Stati Uniti) e Mosca si occupino della situazione nella regione ignorando i suoi interessi. 

Che senso avrebbe infatti contrattare con uno stato vassallo?


la guerra ha decisamente peggiorato l’atteggiamento degli ucraini non solo verso Lukašenka e il suo regime, ma anche verso il popolo bielorusso nel suo insieme


Per i rappresentanti dell’opposizione democratica è ormai certo che il destino della Bielorussia si deciderà in Ucraina: se quest’ultima vincerà, e se la Russia uscirà indebolita, allora per i bielorussi si aprirà una possibilità di cambiamento. 

C’erano state speranze in questo senso anche dopo che gli ucraini avevano vanificato la guerra lampo di Putin nel 2022, o quando hanno respinto l’attacco su Kiev, e quando hanno riconquistato i territori nella regione di Charkiv, nel Nord. Anche la controffensiva ucraina nell’estate del 2023 aveva fatto sperare, ma è fallita. Nel frattempo le truppe russe avanzano lentamente ma metodicamente nel Donbass, a est. C’è il pericolo che il fronte ucraino crolli. Kiev ha grossi problemi con la mobilitazione degli uomini sul fronte e le armi scarseggiano.

Due mesi fa gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia hanno permesso agli ucraini di colpire il territorio russo con missili occidentali a lunga gittata. Ma questo può cambiare il corso della guerra? E Donald Trump potrebbe annullare questa decisione.

La vittoria elettorale di Trump ha sollevato timori su una possibile imposizione a Zelensky di una pace a condizioni sfavorevoli a Kiev. Lukašenka, al contrario, si è immediatamente dato da fare per ingraziarsi il vincitore delle elezioni americane.

Ma è ovvio che in tutto ciò la questione bielorussa non avrà un’importanza primaria: possiamo dire che l’Occidente tende a percepire Lukašenka come un burattino del Cremlino. A che pro avere un burattino al tavolo delle trattative?

Si può dire che il ruolo di Lukašenka in questa storia dipenderà in gran parte dalla riuscita degli accordi fra Trump e il Cremlino e dalle eventuali condizioni che verranno poste.

Anche la possibilità che i rappresentanti delle forze democratiche bielorusse in esilio siedano al tavolo dei negoziati sull’Ucraina sembra piuttosto remota.

La marcia del reggimento Kalinoŭski su Minsk: al momento, un miraggio

Tra gli oppositori del regime bielorusso ha preso piede, dopo la violenta repressione della rivolta pacifica del 2020, l’idea di una rivolta armata. Grandi speranze sono state risposte in particolare nel reggimento Kastuś Kalinoŭski: una formazione militare composta da volontari bielorussi sotto la direzione dei servizi segreti del Ministero della Difesa dell’Ucraina. 

C’è chi sogna di vedere il Reggimento Kalinoŭski marciare vittorioso su Minsk: uno scenario al momento del tutto irrealistico. Oggi il problema principale dell’Ucraina è di reggere il fronte. Se fosse costretta a concludere una tregua lungo la linea di contatto tra i due fronti è probabile che si scatenerebbe una profonda crisi politica interna. A cosa sarebbe servito il sangue versato? Per dirla senza giri di parole: la Bielorussia non è nell’agenda.

Anche se immaginiamo un miracolo e che l'Ucraina riesca a ripristinare le frontiere del 1991 (anche i più sfrenati fantasisti non sognano carri armati ucraini che sfilano sulla Piazza Rossa), questo non significa la fine della guerra. Il Cremlino non si rassegnerà mai a una situazione del genere.

E in ogni caso Kiev avrà abbastanza gatte da pelare prima di poter pensare alla liberazione della Bielorussia dalla dittatura. Per quanto riguarda il Kastuś Kalinoŭski, è e sarà utilizzato negli interessi ucraini. È in nome di questi interessi che Kiev cerca di tenersi buono Lukašenka, mantenendo i contatti con lui dietro le quinte.

Per smarcarsi dal reggimento Kalinoŭski, alcuni bielorussi con ambizioni politiche ed esperienza militare hanno formato un movimento chiamato “Kalinoutsy”, ma finora non si sono manifestati.


Per l’opposizione democratica è ormai certo che il destino della Bielorussia si deciderà in Ucraina: se quest’ultima vincerà, e se la Russia uscirà indebolita, per i bielorussi si aprirà una possibilità di cambiamento


È passato quasi un anno dalla conferenza di Kyiv intitolata “Il sentiero verso la libertà”, ma la miracolosa unificazione delle forze democratiche sulla base di una strategia per la liberazione della Bielorussia non è avvenuta. La nomina di Vadzim Kabančuk, attivista politico e vice comandante del Reggimento Kalinoŭski, nel gabinetto di Tsichanoŭskaja non ha ancora dato frutti.

A inizio novembre 2024 si è tenuto a Kyiv il Forum bielorusso-ucraino Ostrožskij, dove, secondo il servizio stampa del Gabinetto di transizione congiunto, sono state discusse “questioni relative alla finalizzazione della strategia generale delle forze democratiche bielorusse per la liberazione della Bielorussia dal regime di Lukašenka”, ma senza risultato.

Naturalmente, nel caso in cui il regime entri in una crisi acuta, la componente armata e violenta potrebbe essere molto importante e persino decisiva per abbatterlo. Ma perché questo avvenga dovranno essere riunite una serie di condizioni sia all’interno che all’esterno del paese, tra cui l’indebolimento della Russia. Questo, a sua volta, dipende in gran parte da quanto l’Occidente sosterrà l’Ucraina.

Diversi esperti ritengono che Washington non sia interessata a un suo eccessivo indebolimento, tanto meno alla sua dissoluzione: teme che le armi nucleari possano cadere in mani sconosciute; spera che Mosca possa essere utilizzata nella lotta contro la Cina. E l’ascesa al potere di Trump aumenta l’incertezza.

I bielorussi dovranno risolvere da soli il “problema” della dittatura

I bielorussi devono essere consapevoli della dura realtà: per Washington, e per l’Ue, la sovranità e la democratizzazione della Bielorussia non sono, per usare un eufemismo, una priorità. I politici occidentali possono esprimere la loro profonda preoccupazione, ma di fatto molti di loro hanno già ceduto all’idea che la Bielorussia faccia parte dell’impero russo, e si sono barricati dietro una cortina di ferro simbolica.

Come abbiamo visto, l'Occidente non si è esattamente affrettato a soccorrere l'Ucraina. È quindi ancora meno probabile che i marines americani muoiano per la Bielorussia. Ma non c'è nulla di cui scandalizzarsi: dopo tutto, il sangue è più denso dell'acqua.

Ricordiamo che per il Cremlino la Bielorussia è una testa di ponte strategica di vitale importanza. È estremamente conveniente poter minacciare l'Ucraina e i paesi della Nato dal “balcone bielorusso”. Non è un caso che, quando nel febbraio 2022 Putin ha lanciato la sua “guerra lampo” contro Kiev, lo abbia fatto proprio dalla Bielorussia, e che in seguito vi abbia stazionato armi nucleari tattiche.

A prescindere dal resto, la presenza di armi nucleari tattiche in Bielorussia serva a fornire una comoda scusa alla Russia per invadere, se improvvisamente dovesse scoppiare una “rivoluzione colorata” in quel paese: “Non possiamo lasciare che cadano nelle mani degli estremisti, giusto?”.

Da molti anni Lukashenka paventa a Mosca la prospettiva di quel che accadrebbe in caso di vittoria dei nemici della Russia: ci sarebbero missili della Nato molto vicini a Smolensk. Questo ha fatto leva sugli istinti imperiali russi, e per ora ha avuto anche un certo successo. 

La leadership russa considera il cambio di regime in Bielorussia, e la conseguente perdita di uno stato satellite, come una minaccia esistenziale. Proprio come il timore di “perdere perdere l'Ucraina”, insieme alle fobie anti-Nato di Putin, ha spinto il Cremlino ad attaccare Kiev. L'Impero ha inferto un duro colpo all'Ucraina, e la Bielorussia si trova nella trappola imperiale.

Tutti coloro che desiderano la sconfitta dell'aggressore e un’opportunità di cambiamento per la Bielorussia saranno difficilmente confortati da slogan primitivi e allegri. Al momento sono più appropriate le parole del primo ministro britannico Winston Churchill, pronunciate nel 1940 sullo sfondo dell'espansione nazista: “Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore”.

All'epoca molti hanno pensato che Hitler non potesse essere fermato, ma alla fine il Regno Unito e i suoi alleati vinsero.

L'incertezza che avvolge le sorti della guerra russo-ucraina cela una parte del futuro della Bielorussia. Qualunque sia l’esito, i bielorussi devono prendere atto del fatto che nessuno verrà dall’esterno per liberare il loro paese. Ci potranno essere condizioni esterne più o meno favorevoli (e sicuramente non nell’immediato) ma, a prescindere, i bielorussi dovranno risolvere da soli il problema della dittatura.

👉 L'articlolo originale su Pozirk 
🤝 Questo articolo è pubblicato in collaborazione con Internazionale

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