Concepito all'indomani della fine del Comunismo come un canale di collaborazione per l'Europa centrale, il Gruppo di Visegrad, che comprende la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Polonia e l'Ungheria, mirava a far entrare queste nazioni nell'arazzo euro-atlantico. Oggi, il quartetto sembra biforcarsi, diviso dalle diverse strategie nei confronti dell'aggressione russa in Ucraina. I cechi e i polacchi sono favorevoli agli aiuti militari, mentre Ungheria e Slovacchia sostengono che un maggior numero di armi non risolverà il conflitto.
I malumori all'interno del Gruppo hanno raggiunto un livello tale che si è parlato di rottura.
Tuttavia, all'indomani del vertice del Gruppo di Visegrad, convocato a Praga nel febbraio scorso in un clima di palpabile tensione, nella stampa e nei media dell'Europa centrale è emerso un consenso, che trascende le divisioni regionali e politiche, sul fatto che l'alleanza resiste e deve continuare a collaborare.
Sulla Pravda, il politologo slovacco Tomas Strazay dissipa lo spettro della scomparsa del V4, affermando che il conclave dei ministri non ha segnato la fine dell'iniziativa, come alcuni avevano previsto. Il V4, dopo tutto, "non ha mai aspirato ad essere un'entità regionale monolitica, che parla in coro. È proprio la mancanza di istituzioni rigide che conferisce al gruppo la latitudine per intrattenere una pluralità di punti di vista, anche su questioni di importanza strategica".
Proprio questa assenza di uniformità permette coalizioni pragmatiche su fronti ritenuti reciprocamente vantaggiosi; si pensi, ad esempio, al sostegno all'agricoltura, all'energia o alla migrazione. Facendo eco a questo sentimento, Ivan Hoffman, in un intervento sempre sulla Pravda, caratterizza il V4 come un conclave di Stati dell'Europa centrale, "legati non tanto da legami economici o da ambizioni politiche condivise, quanto da un ricordo collettivo dell'esistenza dietro la cortina di ferro, una fraternità di nazioni unite da destini geopolitici affini ai margini orientali dell'Occidente".
"Anticipando un funerale a Praga, è emersa la rinascita del V4", titola il quotidiano conservatore ungherese Magyar Hírlap, che propone un'intervista ad Ágnes Vass, direttrice di ricerca dell'Istituto ungherese per gli affari esteri. Vass sostiene che il tallone d'Achille del blocco, ma anche la sua risorsa più formidabile, è la sua malleabilità: una caratteristica che, nonostante le voragini scavate dalla crisi ucraina, sancisce ancora una sorta di consenso pragmatico in ambiti come l'energia e la migrazione.
Martin Ehl di Hospodářské noviny propone una diagnosi simile da Praga: "Il Gruppo di Visegrad non sta morendo, come qualcuno potrebbe immaginare, ma si è solo ricalibrato verso l'approccio, forse il più pragmatico, dei suoi tre decenni di vita". Alla vigilia del vertice, i primi ministri del Gruppo si sono affrettati a respingere qualsiasi voce in questo senso, affermando il potenziale di Visegrad come blocco di difesa all'interno dell'Unione europea.
I quattro paesi hanno trovato un accordo su un dilemma che minaccia di suscitare future discordie in tutta l'Europa centrale: l'afflusso di prodotti ucraini a basso prezzo. È una questione che risuona nel presente, tra le proteste degli agricoltori, e getta un'ombra lunga sul quadro finanziario dell'Unione europea, dove un terzo abbondante del bilancio alimenta il settore agricolo.
Sulle pagine del quotidiano polacco Rzeczpospolita, il politologo Tomasz Kubin sposa una posizione altrettanto utilitaristica, con un testo intitolato "Non uccidiamo il Gruppo di Visegrad: potrebbe ancora rivelarsi molto utile". Kubin è favorevole a un "congelamento" delle attività del V4 piuttosto che a un suo completo arresto e sostiene che l'alleanza potrebbe essere un attore significativo nei dibattiti sulle riforme dei trattati dell'Ue o nelle trattative diplomatiche con le nazioni al di fuori del suo ambito, spesso condotte nel formato allargato "V4+". Kubin sottolinea come sia più pratico rilanciare un quadro già esistente rispetto al laborioso compito di assemblare una nuova coalizione dalle fondamenta.
Budapest apre le porte alla presenza della polizia cinese
L'amministrazione ungherese, che ha un'evidente inclinazione al nazionalismo e che ha promulgato l'anno scorso una legislazione - in palese violazione delle norme dell'Ue - per proteggersi dalle ingerenze politiche straniere, è pronta a cedere una fetta della sua sovranità a Pechino, autorizzando agenti cinesi a posizionarsi il suolo ungherese in veste ufficiale. Világgazdaság, quotidiano economico di Budapest, non vi trova nessun motivo di allarme, inquadrando la partnership con la polizia come un vantaggio per rafforzare la sicurezza nei luoghi turistici e in occasione di raduni di massa.
Il settimanale Heti Világgazdaság ha una posizione diversa: diffidando prima di tutto delle implicazioni che vanno ben al di là della mera salvaguardia dei turisti, il settimanale evidenzia il timore che il mandato di questi agenti comprenda anche la sorveglianza della comunità cinese locale e della forza lavoro asiatica nelle fiorenti fabbriche di batterie cinesi che spuntano nel paesaggio ungherese. Per anni la rivista ha raccontato il funzionamento surrettizio delle "stazioni di servizio" in almeno tre città ungheresi: stabilimenti che, secondo gli attivisti, sono in realtà avamposti della polizia cinese che esercitano pressioni sulla diaspora.
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L’Ue e la neutralità dell’Austria
Ralph Janik | Die Presse | 13 marzo | DE
All'ombra delle incursioni ucraine della Russia, Finlandia e Svezia hanno messo da parte la loro storica neutralità per unirsi ai ranghi della Nato. L'Austria, incastonata tra le nazioni della Nato, sembra invece un'isola. Ralph Janik, ricercatore di diritto internazionale che scrive per la Die Presse, osserva che l'appartenenza dell'Austria all'Ue la coinvolge nella rete della Politica estera e di sicurezza comune, in qualche modo in contrasto con l'affermazione del Ministro della Difesa, Klaudia Tanner, di non intervenire in caso di attacco a un alleato dell'Ue.
L'Austria mantiene la prerogativa di eludere alcune azioni dell'Ue, come il finanziamento delle armi ucraine. Tuttavia, l'adesione all'Ue amplia il margine di manovra diplomatico di Vienna. Il marchio di neutralità dell'Austria è diventato un sfumato: flessibile, ma vincolato alle azioni collettive dell'Ue. Se volesse, potrebbe estendere il sostegno militare, in un gesto di solidarietà piuttosto che di neutralità.