A Bruxelles le casse sono vuote

Le competenze dell'Ue aumentano, ma non i fondi per sostenerne i costi. Mentre la crisi rende i membri ancora più avari di contributi, la necessità di trovare altre fonti di entrate si fa pressante.

Pubblicato il 24 Settembre 2010 alle 14:26

Difficile non compatire un'Europa già in crisi. L'Unione ha sempre meno peso sulla scena internazionale e all'interno delle sue frontiere suscita tutt'al più l'indifferenza dell'opinione pubblica. E di recente i suoi dirigenti hanno dato vita a uno scontro senza precedenti sui rom. Ma a tutto ciò bisogna aggiungere un altro problema: l'Europa va verso il fallimento finanziario. Non si tratta del debito sovrano accumulato dai membri dell'Unione europea, ma del suo bilancio di esercizio e investimento. Ormai a Bruxelles le casse sono vuote.

Quella sul bilancio sarà la grande battaglia di quest'autunno, quella che dominerà i lavori del Parlamento europeo. Una battaglia che rischia di essere sanguinosa. Per la prima volta quest'anno lo scontro si svolgerà secondo le regole del trattato di Lisbona, che danno l'ultima parola al Parlamento. E se c'è un settore nel quale l'Ue continua a progredire, questo è certamente quello della sua democratizzazione, in particolare dei poteri attribuiti ai 736 membri del suo parlamento. E oggi abbiamo finalmente un'assemblea degna di una democrazia, un'assemblea che vota il suo bilancio.

Ma le buone notizie finiscono qui. La Commissione infatti ha presentato una bozza di bilancio 2011 da 126,6 miliardi di euro, pari all'1,02 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione. A causa della crisi e del debito pubblico il bilancio è stato ridotto all'osso. La priorità degli stati membri è risanare le finanze pubbliche, non alimentare quelle dell'Unione. Ma per il Consiglio europeo è ancora troppo, e il bilancio è stato rivisto al ribasso prima di essere presentato alla commissione finanze del Parlamento europeo. "Siamo all'impasse", osserva il presidente della commissione, il francese Alain Lamassoure.

L'Ue è diventata un gigante legislativo. A ogni nuovo trattato – Maastricht (1993), Amsterdam (1999), Nizza (2003), Lisbona (2009) – il Consiglio europeo ha aggiunto nuove competenze all'Unione. I capi di stato e di governo gli hanno assegnato sempre più compiti: energia, ambiente, ricerca, insegnamento superiore, creazione di un servizio diplomatico da 6mila impiegati.

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Ma il Consiglio non ha mai voluto dotare l'Ue di mezzi all'altezza dei suoi obiettivi. Al contrario, negli anni ottanta il suo bilancio rappresentava l'1,28 per cento del pil europeo, contro l'1,02 di oggi.

Da ciò deriva l'impressione che l'Europa sia una potenza velleitaria, i cui vertici partoriscono progetti grandiosi che non vedranno mai la luce. A Lisbona il Consiglio aveva annunciato che l'Europa si sarebbe dotata "dell'economia della conoscenza più competitiva del mondo". Oggi possiamo chiederci quanti sono i brevetti europei.

Nano economico

Ma mentre è diventata un gigante legislativo, l'Unione è rimasta un nano economico, continua Lamassoure. Alla sua nascita, con il trattato della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (Ceca, 1951), l'istituzione disponeva di proprie risorse: i diritti doganali percepiti alle sue frontiere (la tariffa esterna comune). Nel corso dei grandi negoziati sulla riduzione mondiale delle barriere doganali, questi redditi sono scomparsi. Per rimpinguare le sue casse, si è deciso nel 1984 a titolo provvisorio, come strumento complementare, di dotare l'Europa dei contributi di tutti i suoi paesi membri, calcolati in base al loro pil e all'iva.

Il sistema provvisorio è diventato permanente e la complementarità ha assunto un carattere principale. Nessuna fonte di redditi propria dell'Unione è stata decisa e oggi gran parte del bilancio europeo è costituito dai contributi nazionali. Si tratta della voce Ue presente nelle varie leggi finanziarie dei 27, impopolare sia nei ministeri delle finanze che tra i parlamentari nazionali.

Oggi trionfa quindi la logica del "giusto ritorno" – l'Europa deve restituire quello che le viene dato – cioè l'antitesi dello spirito comunitario. Lamassoure osserva con discrezione: ieri "i ministri delle finanze non volevano pagare"; oggi con la crisi "non possono più pagare". Bisogna uscire da questa situazione, liberandosi dalla gabbia dei contributi nazionali.

Questo significa una sola cosa: creare risorse proprie per l'Europa. Il gruppo conservatore al Parlamento europeo (il Partito popolare europeo, gruppo di maggioranza) propone di instaurare un'imposta europea (tassa sulle transazioni finanziarie o sulle emissioni di anidride carbonica). Lamassoure suggerisce di attribuire direttamente all'Ue l'iva su alcune importazioni dai paesi esterni, per esempio sulle automobili. (traduzione di Andrea De Ritis)

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