A quanto pare 11 giorni di discussione non sono serviti quasi a nulla. A poche ore dalla fine della Conferenza delle Nazioni unite sul cambiamento climatico (COP15), nessuno sembra credere alla possibilità di raggiungere l'obiettivo che si erano fissati i partecipanti. Un accordo vincolante per ridurre le emissioni di anidride carbonica e di limitare l'aumento del riscaldamento a due gradi sembra politicamente impossibile.
I responsabili di questa situazione sono numerosi, a cominciare dal governo danese che ha ospitato il vertice. "I danesi sono incompetenti", titola Politiken, sintetizzando il giudizio internazionale sulla presidenza della conferenza. Tra i principali accusati, secondo Berlingkse Tidende, c'è il ministro del clima, Connie Hedegaard, "criticata per la sua mancanza di pazienza e di educazione". Ma se i grandi paesi non hanno permesso alla Danimarca di arrivare a un accordo, assicura il quotidiano, è perché non volevano che "il successo di un accordo sul clima andasse al governo danese".
La conferenza di Copenaghen si concluderà con un "grande fallimento", anticipava il quotidiano spagnolo Abc. "L'opinione pubblica internazionale assiste perplessa a un negoziato fra posizioni inconciliabili", scrive il giornale conservatore, criticando "l'ecologia istituzionale" di alcuni dirigenti, che "rivela i suoi punti deboli" visto che " i grandi interessi economici hanno la meglio sull'ideologia".

Siamo quindi di fronte al fallimento di una certa forma di diplomazia non più adatta ai tempi in cui viviamo? Su Dziennik Gazeta Prawna, il filosofo inglese John Gray spiega che "il mondo non parla con una sola voce né sul riscaldamento climatico né su altri argomenti. Più che a un nuovo ordine mondiale, assistiamo a un caos globale".
"Ogni paese cerca di raggiungere degli obiettivi di breve e lungo periodo, che pone al di sopra degli obiettivi globali", aggiunge Gray, per il quale "è assurdo pensare di poter salvare la Terra".

In fin dei conti, riflette Naomi Klein sul Guardian, "è meglio un non accordo a Copenaghen che un accordo sinonimo di catastrofe". Per l'intellettuale canadese, "l'Africa è stata sacrificata" durante le discussioni. "La posizione del G77, che comprende i paesi africani, era chiara: un aumento di due gradi della temperatura globale si traduce in un aumento di 3-3,5 gradi in Africa". Citando "Matthew Stilwell, dell'Istituto per la governance e lo sviluppo sostenibile, uno degli esperti più influenti in questi negoziati", Naomi Klein osserva che "le discussioni non hanno riguardato il modo di impedire il cambiamento climatico, ma si sono concentrate su una risorsa molto preziosa: i diritti sul cielo. Poiché l'anidride carbonica può essere emessa solo in quantità limitata, se i paesi ricchi non ridurranno le loro emissioni, finiranno per inghiottire anche la parte già insufficiente del Sud".

Sullo Standaard un economista assicura che "l'interesse personale e l'idea che l'atteggiamento e il mondo imprenditoriale verde possano contribuire positivamente, avrà più successo delle misure imposte o di un sentimento di colpevolezza collettivo". Geert Noels, fondatore della società di consulenza economica Econopolis, spiega che "l'economia verde ha una crescita forte quanto quella dell'economia cinese. Un paese che adotta un'economia sostenibile, ha forti potenzialità di crescita. La Danimarca e la Germania lo hanno capito bene […] e non hanno atteso le misure vincolanti di Copenaghen o di Bruxelles. […] Non considerano la sfida verde come una palla al piede, ma come una salvagente per l'economia".
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