Farsa e tragedia a Bucarest

La corruzione dilagante e la crisi politica degli ultimi mesi, con lo scontro tra il presidente Băsescu e il premier Ponta, dimostrano che la transizione verso la democrazia tarda a compiersi. I romeni sono amareggiati e rassegnati, ma c’è ancora chi giura che il paese ha un futuro radioso davanti a sé.

Pubblicato il 27 Agosto 2012 alle 14:32

La Romania è piena di banche e di chiese, come l'Italia. Ma è soprattutto piena di farmacie e di Case de amanet, banchi dei pegni. Innumerevoli farmacie, a pochi metri l'una dall'altra: non è un buon segno. La durata media della vita è di otto anni più bassa di quella italiana. La gente non si cura e rincorre i malanni con le medicine. Le ricette valgono per tre mesi: nel mese della prescrizione e dell' acquisto si tira di più la cinghia. Molti medici e infermieri emigrano, nella sanità la corruzione è capillare. Le paghe sono irrisorie, le pensioni derisorie.

I pazienti si presentano all' ospedale con gli infimi gruzzoletti destinati a ciascuno, accettazione, infermiere, portantino, medico, fino all' anestesista aspettato su una barella dall' operando nudo che tiene stretti i suoi lei nella mano, prima di addormentarsi.

La corruzione è universale, nella scuola, nella polizia, nel commercio, nel fisco, nei concorsi, e soprattutto nella politica, che ha tradotto le privatizzazioni, caldeggiate da Europa e Fondo Monetario senza troppi riguardi al modo di attuazione, in liquidazioni madornali delle risorse nazionali.

La situazione istituzionale romena è un pasticcio pittoresco. Il partito socialdemocratico (il nome non inganni: è l'epigono del partito comunista), oggi guidato dal quarantenne Victor Ponta, ha ottenuto la maggioranza parlamentare grazie a un'alleanza col partito nazional-liberale, e ha usato il governo per compiere una serie di colpi di mano sugli organi giudiziari e per mettere in stato di accusa e dichiarare decaduto Traian Băsescu, 61 anni, del partito democratico, ma già coinvolto anche lui, come chiunque avesse incarichi responsabili sotto Ceauşescu, nelle reti della famigerata Securitate.

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La destituzione di Băsescu è stata oggetto, lo scorso 29 luglio, di un referendum, come già nel 2007, quando vinse largamente: da allora la sua popolarità è crollata, per la spietatezza delle misure economiche imposte sul dettato di Fmi e Ue, per il fallimento dei proclami anticorruzione e per un atteggiamento giudicato arrogante e fazioso, incapace di favorire il dialogo fra le parti.

L'obiettivo di Ponta e del suo alleato Crin Antonescu, intanto nominato presidente al posto di Băsescu, è però fallito perché al voto ha partecipato il 46 per cento degli elettori (era necessario che votasse il 50 per cento più uno degli aventi diritto). Ma poco meno del 90 per cento di loro ha votato contro Băsescu, che però non ha intenzione di lasciare.

Pressioni e manovre su giudici ordinari, per ogni genere di frodi elettorali, e sulla Corte suprema, hanno imperversato, in un paese in cui è difficile trovare una qualche carica che non sia di nomina diretta di un capofazione. È probabile che Ponta e i suoi facciano buon viso alla “coabitazione”, fino alle elezioni politiche di autunno che dovrebbero confermare il loro successo, già registrato alle amministrative. I più smaliziati pensano che la questione stia nel trovare una onorevole via d'uscita, cioè un salvacondotto, a Băsescu, perché se ne torni tranquillamente agli affari privati e non in carcere: problema peraltro notissimo agli italiani.

Pensano che anche a questo servisse la visita a Bucarest nei giorni scorsi di Phillip Gordon, sottosegretario Usa ai rapporti con l' Europa: gli americani sono stati amici di Băsescu, e sono interessati a bilanciare i legami dei suoi avversari con la Russia: a questo si riduce infatti l' alternativa fra destra e sinistra, che soprattutto in Romania è per il resto la perpetuazione di un tristo equivoco. Dietro Ponta e i suoi compagni di scalata c'è sempre Ion Iliescu, 82 anni, il marpione della “seconda fila” di Nicolae Ceauşescu che, se non fu il burattinaio, come in tanti ormai sostengono, della “rivoluzione” dell'89, ne fu certo il manipolatore e l'usufruttuario, così da farne una rivoluzione dimezzata e cruenta.

Iliescu fu poi l' uomo che mandò migliaia di minatori a pestare a sangue gli studenti di Bucarest nel 1990, e che guidò nella continuità la "transizione" romena. Poveri studenti - e poveri anche i minatori, alla lunga. Che i giochi di mano del potere romeno siano pesanti lo mostra la sorte toccata all' ex premier socialdemocratico, e rivale di Băsescu nel 2004, Adrian Nastase, il quale è in galera da giugno dopo una condanna a due anni per l'utilizzo illegale di fondi elettorali: accusa forse fondata, ma che ha fatto da pretesto a una ennesima prova di forza di Băsescu. Farsa e tragedia si mescolano, naturalmente. Ponta, per esempio, scoperto anche lui ad aver copiato un buon terzo della sua tesi di dottorato, ha variamente reagito sciogliendo d'autorità il Comitato responsabile della validità dei titoli di studio, o sostenendo che nel 2003, anno di redazione della tesi, l'uso delle virgolette nelle citazioni non era in vigore...

Non sorprende che, in un simile contesto pubblico, le opinioni dei cittadini romeni siano al tempo stesso estreme e intercambiabili. Si sentono usare con altrettanta indignazione e amarezza gli stessi argomenti per sostenere o per deplorare Băsescu e Ponta (o Iliescu), e molto spesso l'uno e l'altro. Qualcuno dice che bisogna aspettare che i giovani arrivino e cambino tutto; altri, i più, dicono di averli già aspettati e che i giovani sono arrivati e non cambiano niente, e tutt' al più se ne vanno dal paese, o non vedono l'ora di andarsene. I più dicono: “Che cosa vuoi farci, noi romeni siamo fatti così, non c'è niente da fare”; è l'espressione più proverbiale.

Resta quella sfilata ininterrotta di Case de amanet, banchi dei pegni. Cominciarono, pare, dopo Ceauşescu, quando arrivarono i turchi a comprare l'oro, e poi si aggiunsero gli arabi e gli zingari ricchi. Ci si impegna di tutto. Sono, come le farmacie le banche e le chiese, le istituzioni solide della Romania povera: che è davvero molto povera. Certe Case de amanet inalberano la scritta: Aperte 24 ore su 24. La gente può aver bisogno di impegnare la fede alle tre di notte, per bussare alla farmacia. Però Sergiu Shlomo Stapler, 65 anni, uomo d' affari di successo, mi ha ammonito a non fraintendere: la Romania in vent'anni sarà una Svizzera, dice, ha giovani intelligenti e preparati, ha risorse che imparerà a sfruttare, a partire dal petrolio - che oggi è affare di austriaci e kazaki, e russi e francesi italiani e americani, mentre i romeni prendono la mancia coloniale.

Visto da Bucarest

L’Europa è la nostra ancora di salvezza

L’adesione all’Unione europea non significa solamente poter ottenere “denaro da Bruxelles”, ma anche proteggere la nostra democrazia, recentemente messa in crisi dalla lite feroce tra fazioni politiche opposte, sottolinea Adevărul. Senza l’Europa,

avremmo già visto l’affermazione di un regime, non autoritario ma costituito da accordi locali che non rispettano alcuna legge e manipolano i principi della Costituzione in funzione di chi è al potere. Senza l’Ue e la Nato la stampa internazionale ci avrebbe considerato un paese lontano, un po’ bizzarro, buono per la rubrica ‘notizie in breve’ e niente di più.

La situazione creata dal referendum [sulla validità della destituzione del presidente Traian Băsescu] ha portato anche aspetti positivi: oggi possiamo guardarci allo specchio.

[Siamo] una società immatura, […] senza finezze, dotata di una democrazia debole e affetta da debolezza emotiva collettiva. […] La ragione non sembra ancora essere un valore della società romena. Forse però ora le cose saranno più chiare e potremo fare un’opera di pulizia generale. Sempre che lo vogliamo, ovviamente.

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