Con una crescita economica del'1,7 per cento nel 2009, la Polonia è stata il paese dell'Europa centro-orientale meno colpito dalla crisi. Neanche la tragica scomparsa della gran parte dell'élite responsabile di tale successo ha interrotto l'ascesa del paese. E così migliaia di tedeschi dell'est attraversano l'Oder in cerca di un impiego.
Ufficialmente i tedeschi che lavorano nei call center, nell'edilizia e in altri settori nei dintorni della citta di Szczecin sono più di 2.500, ma le cifre reali sono molto più grandi. Un lavoratore tedesco qualificato può guadagnare circa mille euro al mese in Polonia. Non molto, ma meglio che niente. A un tiro di schioppo, nel distretto tedesco di Uecker Randow, il tasso di disoccupazione è arrivato al 20 per cento.
Si tratta di un fenomeno nuovo, che costituisce un'ulteriore prova dell'inversione delle tendenze migratorie. Se negli anni cinquanta e sessanta i turchi e i greci migravano verso la Germania, oggi la crisi economica costringe i tedeschi a emigrare in Polonia o addirittura in Turchia.
I giovani tedeschi di origine turca lasciano la terra dove sono nati per tornare al paese dei loro genitori. Secondo uno studio dell'Institut Futureorg di Dortmund, il 38 per cento dei giovani turchi diplomati in Germania vuole tornare in Turchia. La metà di loro afferma "di non sentirsi a casa" in Germania, dove sono trattati da stranieri. Nel 2008 sono emigrati in cinquemila.
Oltre alla mancata integrazione, l'altra ragione che spinge i tedeschi di origine turca a partire è la discriminazione sul mercato del lavoro. Secondo uno studio realizzato dall'Università di Costanza i cittadini tedeschi con il cognome turco hanno il 14 per cento di probabilità in meno di ottenere un colloquio di lavoro. La Turchia, in pieno boom economico, offre invece opportunità d'impiego allettanti e accoglie a braccia aperte una manodopera altamente qualificata e per di più poliglotta.
Il diplomato in economia o ignegneria, bilingue e impregnato di un'etica di lavoro tipicamente tedesca, rappresenta il profilo preferito dai datori di lavoro turchi. "La Germania perde non solo manodopera specializzata di cui ha finanziato la formazione, ma anche individui che potrebbero contribuire in maniera decisiva all'integrazione delle minoranze etniche", si lamenta Astrid Ziebarth in un'analisi per il German Marshall Fund.
Il ritorno dei colonizzatori
Come prevedibile, i paesi più colpiti dalla crisi registrano anch'essi un esodo di giovani qualificati. Molti giovani greci rientrati in patria dopo aver terminato gli studi all'estero hanno perduto il lavoro e valutano l'idea di ripartire.
Durante il boom economico, quando era soprannominata la Tigre Celtica, l'Irlanda era orgogliosa che le nuove industrie trattenessero gli autoctoni e attirassero gli irlandesi della diaspora disposti a lavorare nell'edilizia e nei servizi finanziari. Oggi le vittime della riduzione salariale emigrano in massa.
Con un tasso di disoccupazione al dieci per cento, decine di migliaia di portoghesi cercano fortuna in Angola, ex colonia lusitana in Africa australe. Grazie ai ricavati del petrolio l'economia angolana ha registrato una crescita annuale del 16 per cento nell'ultimo quinquennio, mentre il Portogallo si è fermato all'1,1 per cento.
Lo sviluppo angolano assicura un gran numero di opportunità professionali, a causa della forte penuria di manodopera qualificata in ingegneria, nelle telecomunicazioni, nel commercio e nel settore bancario.
Circa 25mila portoghesi sono emigrati nel corso degli ultimi tre anni. Tra loro ci sono titolari di piccole imprese, funzionari statali e operai qualificati (muratori, elettricisti, capicantiere eccetera). L'integrazione dei portoghesi, nonostante i traumi del periodo coloniale e della lotta per l'indipendenza, è agevolata dai forti legami linguistici, storici e culturali che uniscono i due paesi. (traduzione di Andrea Sparacino)
Romania
Viva la fuga dei cervelli
"Se il capo dello stato in persona tesse le lodi dell'emigrazione, il fallimento del paese è ormai un dato di fatto", scrive Jurnalul National a proposito delle recenti dichiarazioni di Traian Băsescu. Il presidente ha lodato il "coraggio" dei romeni che hanno lasciato il paese e che hanno contribuito alla sua ricchezza inviando denaro e non pesando sulla previdenza sociale. Cosa importa se la Romania rimarrà "senza medici, se lo stato abbandonerà i pazienti e se i cervelli migliori lasceranno il paese", ironizza il giornale. La fuga di cervelli non preoccupa solo la Romania. Secondo Lidové Noviny, mentre la disoccupazione torna a crescere in tutta Europa, in alcuni paesi come Germania e Gran Bretagna i "cacciatori di teste" si rivolgono sempre di più all'estero per riempire posizioni strategiche come quelle di ingegnere, informatico, cuoco e medico.