Inondazioni nel distretto di Madhepura, nello stato indiano del Bihar, nel 2008. (AFP)

Copenaghen o morte

Il mondo è a un bivio, e dovrà fare una scelta estremamente chiara alla conferenza sul clima al via nella capitale danese: o un taglio drastico alle emissioni o un pianeta che nessuno potrà neppure riconoscere, scrive Johann Hari.

Pubblicato il 7 Dicembre 2009 alle 14:06
Inondazioni nel distretto di Madhepura, nello stato indiano del Bihar, nel 2008. (AFP)

Mohammed Nasheed sa bene cosa significa “riscaldamento globale”, perché lo constata di persona ogni giorno. È sopravvissuto ad anni di prigione e di tortura per aver spinto il suo paese – le Maldive – verso la democrazia. Adesso che ne è il presidente è costretto a guardarlo svanire dalle cartine geografiche. Di anno in anno l’oceano reclama sempre più terra, erode la costa e ben presto potrebbe farlo sparire del tutto.

Tutto ciò accade perché noi uomini abbiamo rilasciato quantità incalcolabili di gas serra nell’atmosfera. E perché non abbiamo smesso di farlo. A meno di un’inversione di rotta immediata, le Maldive scompariranno. Un numero incredibile di studi scientifici ipotizza che entro questo secolo la temperatura terrestre aumenterà di sei gradi centigradi. A prima vista non sembra molto, ma l’ultima volta che il pianeta si è riscaldato di sei gradi centigradi in così poco tempo è stato alla fine del Permiano, 251 milioni di anni fa. Quali ne furono le conseguenze? Quasi ogni forma di vita sulla faccia della Terra si estinse.

Gli unici sopravvissuti allora furono poche creature degli abissi marini, e una specie simile ai maiali che si ritrovò a disposizione per milioni di anni l’intera superficie terrestre. La Terra fu devastata da uragani così potenti da lasciare addirittura il segno sul fondo degli oceani. I livelli di ossigeno nell’atmosfera precipitarono al 15 per cento, così poco che ogni animale sopravvissuto si trovò a corto di ossigeno. Soltanto sei gradi centigradi, dunque, ci separano da un pianeta nel quale non potremo vivere.

Negare tutto ciò è istintivamente naturale, ma negli ultimi anni ho scritto articoli da tre luoghi nei quali il riscaldamento terrestre sta avendo effetti catastrofici, per la precisione l’Artico, il Bangladesh e il Darfur. Ho parlato con gli inuit, che vedono increduli il loro mondo sciogliersi letteralmente sotto i loro piedi. Ho visitato la costa alluvionata del Bangladesh, dove gli abitanti dei villaggi indicavano un punto imprecisato in mezzo al mare dicendo: "Ecco, la mia casa era lì".

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È stato in Darfur, tuttavia, che ho avuto la più evidente anteprima di un mondo più caldo. Gli agricoltori e i pastori nomadi hanno sempre condiviso le sorgenti, ma negli anni novanta l’acqua ha iniziato a scarseggiare. Uno sfollato mi ha raccontato: "La fonte si è prosciugata e abbiamo iniziato ad ammazzarci tra di noi per contenderci la poca rimasta". Quando le cose che ci sono indispensabili per vivere svaniscono, per esse siamo disposti a uccidere.

Ogni volta che si riportano le conclusioni degli scienziati, i negazionisti ci accusano di essere “allarmisti”. Esiste una differenza, però, tra l’essere allarmisti e allarmarsi per fatti concreti. Sapere ciò che sappiamo e al contempo continuare a pompare nell’atmosfera i gas serra che provocano il riscaldamento del clima non è soltanto da stupidi, ma è un vero e proprio crimine. Eppure perfino i politici che si intendono di scienza non credono che a Copenaghen si faranno dei progressi, perché dobbiamo aderire alla “realtà politica”. In un conflitto tra realtà politica e fisica vincerà sempre la seconda. Non si può restare fermi immobili al cospetto di un mega uragano in avvicinamento e gridare: "Il gruppo di esperti dice che non è ancora venuto il momento di affrontarti!".

Secondo altri, per evitare la catastrofe non c'è bisogno di spaventare l’opinione pubblica: dovremmo "sottolineare gli aspetti positivi”. Certo, è positivo avere l'occasione per combattere insieme per una causa comune, diventando una generazione che verrà ricordata per il proprio eroismo. Ma sarebbe bizzarro e condiscendente concentrarci su questo aspetto. Nel 1936, quando Winston Churchill e George Orwell misero in guardia dall’ascesa del nazismo, non usarono mezzi termini né eufemismi. Trattarono la popolazione da adulta. Una minaccia terribile incombeva e la si doveva fermare. Adesso spetta a noi fare altrettanto: fare la Storia o suicidarci tutti.

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