Presseurop, Electrofervor

È ora di parlare chiaro

Espressioni come “cambiamento climatico”, “commercio equo” e “mortalità infantile” sono entrate ormai a far parte del lessico di tutte le lingue europee. Sull’Independent, Johann Hari sostiene che simili espressioni nascondono fini politici che plasmano poco alla volta il nostro modo di pensare. E afferma che è giunta l’ora di eliminarle una volta per tutte.  

Pubblicato il 15 Settembre 2009 alle 16:14
Presseurop, Electrofervor

La lingua necessita periodicamente di una bella ripulita a fondo, con la quale raschiare via le frasi rimaste appiccicate al pavimento o buttare via una volta per tutte le metafore in putrefazione scivolate inavvertitamente tra le fessure dello schienale del divano. George Orwell aveva messo in guardia da tale pericolo: disse infatti che un giorno la lingua sarebbe inevitabilmente diventata un insieme indistinguibile di espressioni che hanno perso il loro significato originario oppure – eventualità di gran lunga peggiore – “sono state concepite di proposito per far sì che le menzogne suonino veritiere e l’omicidio rispettabile, per dare un’apparenza di solidità alle folate di vento”. Aveva anche consigliato come procedere: "Se si tolgono di mezzo queste cattive abitudini, si riesce a pensare più chiaramente, e pensare chiaramente è il primo passo indispensabile da compiere verso una rigenerazione politica".

Faccio qui riferimento a frasi e modi di dire che pur ponendosi come altrettante descrizioni obiettive del mondo, contengono di fatto una sorta di programma politico segreto, che agisce su chi le ascolta modificandone e plasmandone le opinioni. Un esempio lampante e recente è l’espressione “tecniche aggressive di interrogatorio”, un eufemismo creato ad hoc dalla destra americana per rendere asettica la tortura e soprattutto per farla risultare accettabile. Capita spesso che la lingua debba piegarsi ed essere alterata di proposito per motivi strettamente politici. Negli anni Ottanta, per esempio, i propugnatori della fallita “guerra agli stupefacenti” lottarono strenuamente per cambiare l’espressione “uso di stupefacenti” (drug use) – diretta, semplice, senza ulteriori implicazioni – in “abuso di stupefacenti”. Questa seconda espressione evoca al contrario immagini sinistre, essendo per esempio rapportabile a “child abuse”, violenza o maltrattamenti su minore. In ogni caso, che cosa significa di preciso? Come può qualcuno che fuma marijuana una volta alla settimana “abusare” dello stupefacente? Significa forse che “maltratta le proprie canne”?

E il commercio iniquo?

Quali sono le espressioni che depennerei ed eliminerei volentieri dall’uso comune? Eccone un breve elenco: etichettare i generi alimentari come prodotti del “commercio equo”. Questa espressione lascia supporre che pagare un salario decente a chi è disperatamente povero sia un gratificante cambiamento di direzione rispetto alla norma. In realtà, dovrebbe essere dato per scontato: si tratta di un errore e di una grave mancanza degli esseri umani civilizzati. Se credessimo una cosa simile, occorrerebbe cambiare tutte le altre etichette: dovrebbero essere dunque tutti gli altri prodotti a fregiarsi di etichette di altro tenore, per esempio “commercio iniquo”, “commercio rapace”, “commercio-paghiamolo-una-miseria”.

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E poi: “mortalità infantile”. Questa espressione suona asettica, puramente clinica. Chi si commuove sentendola? In realtà è un’espressione che si riferisce a neonati che muoiono. Volete un esempio? Eccolo: in Malawi, nell’Africa sud-orientale, la terra si era impoverita dopo essere stata sfruttata in modo esagerato. Di conseguenza, il governo democratico ha adottato la zelante politica di elargire sussidi per l’acquisto di fertilizzanti. Gli agricoltori affamati del Paese ne hanno ricevuti sacchi interi a un terzo del prezzo reale, e il Paese è letteralmente rifiorito. A quel punto la Banca Mondiale è intervenuta, condannando l’accaduto come una “pratica distorsiva del mercato” e ha fatto sapere che se il Malawi intendeva continuare a ricevere prestiti doveva interrompere immediatamente tali pratiche. I sussidi così si sono fermati e i raccolti del Paese sono crollati. È iniziata una carestia e la “mortalità infantile” è aumentata. Ciò di cui parliamo usando questa espressione sono tantissimi neonati morti in modo assolutamente immotivato. Tre anni fa il governo del Malawi ha finalmente ingiunto alla Banca Mondiale di pagare i suoi prestiti, e i sussidi per i fertilizzanti sono ripresi. Adesso nessuno muore più di fame in Malawi e il Paese è diventato il principale esportatore unico di cereali per il World Food Programme dell’Africa meridionale.

I bambini non hanno dio

Altra espressione da cancellare: “bambini cristiani/musulmani”. Sistematicamente i bambini sono definiti “cristiani” o “musulmani” o “ebrei” o ancora in altri modi, conformemente alla religione praticata dai loro genitori, per legittimare il loro inserimento in scuole dove vige la segregazione imputabile alla superstizione, dove saranno indottrinati in tale confessione. I bambini, però – come Richard Dawkins ha fatto presente – non hanno religione. Non hanno letto i testi sacri, non hanno meditato su di essi, non sono giunti a una conclusione plausibile sulla base di prove. Chi utilizza dunque quell’espressione non vuole che lo facciano, o meglio vuole che lo facciano a un’età in cui le loro facoltà razionali sono ancora insufficientemente formate, e vogliono che idee, testi e parole si imprimano così a fondo nelle loro menti da far sì che si incolleriscano o si sentano confusi quando ascoltano argomenti razionali di contenuto esattamente contrario. Dovremmo pertanto riferirci a loro chiamandoli “bambini con genitori cristiani/musulmani/ebrei”, con la chiara implicazione che avranno il diritto di farsi le loro idee in fatto di religione.

Disfacimento dell'ecosistema

“Cambiamento climatico”: questa espressione è stata inventata dal sondaggista repubblicano Frank Luntz quando ha scoperto che i focus group ritenevano troppo terrificante l’espressione “riscaldamento globale”. “Cambiamento climatico” invece risulta dolce, gentile, evoca la nostra latente consapevolezza che il clima è cambiato naturalmente lungo tutta la sua storia. Anche “riscaldamento globale” è un modo di dire problematico, poiché ci fa immaginare qualcosa che sia rimasto troppo a lungo sotto il Sole. L’espressione più accurata per indicare tale fenomeno potrebbe essere “disfacimento dell’ecosistema”, o anche “scompiglio climatico” oppure “catastrofico riscaldamento globale provocato dall’uomo”. Si tratta innegabilmente di formule difficilmente utilizzabili, ma quanto meno sono oneste.

Di espressioni da cancellare ne potrei suggerire molte altre. Per esempio, l’uso dei titoli nobiliari da parte di commentatori e giornali della repubblica è alquanto bizzarro: perché non possiamo semplicemente chiamare per nome la famiglia Windsor, come facciamo con chiunque altro? Perché non parlare della “regina” chiamandola semplicemente Elizabeth Windsor? Perché non chiamare suo figlio Charles Windsor? Servirebbe a intaccare la loro ridicola e immeritata aura e contribuirebbe a introdurre una logica repubblicana nella nostra lingua. Orwell disse che dovremmo “lasciare che sia il significato a cercare la parola giusta, e non il contrario”. Se ci sono neonati morti chiamiamoli così: neonati morti. Se l’ecosistema si sta disfacendo, diciamo: l’ecosistema si sta disfacendo. Soltanto se inizieremo a descrivere in tutta onestà il mondo potremo iniziare a cambiarlo.

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